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Libertà d’espressione: cresce la censura ma anche l’attivismo per difendere la libertà del web. Il caso Italia nel Freedom House

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Attacchi brutali ai blogger, sorveglianza di matrice politica, manipolazione dei contenuti e leggi restrittive della libertà di espressione online: sono queste le minacce più pericolose alla libertà di internet individuate dal nuovo reportFreedom on the Net 2012: A Global Assessment of Internet and Digital Media’ di Freedom House.

A fronte di queste minacce, l’associazione non profit evidenzia tuttavia una forte reazione della società civile e delle aziende tecnologiche che ha portato anche a importanti vittorie.

 

Dallo studio emerge che è l’Estonia il paese col più alto livello di internet freedom tra quelli presi in esame, seguita dagli Usa. L’Iran, la Cina e Cuba hanno ricevuto invece i punteggi più bassi.

Altri 11 paesi hanno ricevuto lo status di ‘Not Free’, inclusi Bielorussia, Arabia Saudita, Uzbekistan e Thailandia. Un totale di 20 dei 47 paesi esaminati ha percorso una traiettoria negativa dal gennaio 2011. Tra questi Bahrain, Pakistan ed Etiopia hanno registrato il regresso più vistoso.

 

Il capitolo dedicato all’Italia sottolinea che nel nostro paese le autorità generalmente non esercitano forme di ‘censura politica’, nonostante i diversi tentativi, nel 2011, di “sfidare la libertà di internet”, tutti “decaduti o messi in attesa”.

Diversi interventi giudiziari hanno quindi affermato il principio che gli intermediari non sono responsabili per i contenuti postati dagli utenti.

“Nonostante questi sviluppi positivi, non sono mancati i tentativi di limitare i contenuti politici, inclusa la chiusura di un noto blog. Inoltre, la troppo ampia interpretazione di responsabilità in caso di diffamazione o diritti di proprietà intellettuale è sfociata in decisioni giudiziarie e oneri sproporzionati in capo ai provider di notizie online”, sottolinea il rapporto.

Viene altresì sottolineato come la spinta a restringere la libertà di internet sia derivata in parte dal forte peso di Silvio Berlusconi nel settore media che – unita alla sua posizione politica – ha dato all’ex premier una “significativa influenza sulla nomina dei funzionari della Tv pubblica e dei regolatori del settore delle telecomunicazioni”.

L’arrivo di Mario Monti, spiega Freedom House, “ha modificato queste dinamiche e ridotto la pressione sulle comunicazioni online”.

 

Il rapporto ricorda come – stando alle informazioni di Google – il governo abbia emanato 65 richieste di rimozione dei contenuti tra gennaio e dicembre 2011, incluse 20 senza l’ordine di un tribunale. Google ha soddisfatto il 74% di queste richieste. In particolare, evidenzia Freedom House, Google ha riferito di aver ricevuto una richiesta di rimozione di un video che ironizzava sullo stile di vita dell’ex premier Berlusconi. Richiesta rifiutata. Metà delle richieste hanno riguardato contenuti giudicati diffamatori, a conferma dell’ampia interpretazione di questo concetto.  

Un altro caso emblematico risale al maggio 2011, quando in seguito a un ordine giudiziario, Google ha chiuso il blog del giornalista freelance Frank Sfarzo per dei contenuti legati al caso dell’omicidio di Meredith Kercher e che erano molto critici nei confronti dell’accusa: una decisione che ha sollevato forti critiche perchè giudicata inappropriata e sproporzionata. Sfarzo ha risposto creando un blog ‘specchio’, rimasto disponibile sino a maggio 2012.

 

I risultati dello studio, sottolinea Sanja Kelly, project director dello studio, dimostrano che “le minacce alla libertà di internet stanno diventando sempre più diversificate”. Dal momento che le autorità percepiscono l’effetto boomerang del blocco dei siti web o dell’arresto di attivisti, le autorità stanno ripiegando su “metodi più oscuri ma non meno pericolosi per controllare le conversazioni online”, cercando di restringere il libero flusso delle informazioni e violando i diritti degli utenti.

 

In 19 paesi si sono registrate iniziative legislative volte a restringere la libertà di espressione o punire gli autori di contenuti indesiderabili. In 26 paesi, incluse molte ‘democrazie’ almeno un blogger è stato arrestato per via di contenuti postati online o inviati via sms. In 5 paesi, una attivista o un citizen journalist è stato ucciso per aver postato contenuti di denucnia sulla violazione dei diritti umani.

Cresce inoltre il fenomeno dei commentatori pagati dai governi per pubblicare contenuti favorevoli alle loro iniziative (in 14 paesi), mentre in 19 paesi si sono registrati cyberattacchi a siti critici verso  le autorità.

E ancora, denuncia Freedom House, in 12 paesi sono state emanate nuove leggi o direttive che hanno aumentato in maniera sproporzionata la facoltà di sorvegliare la rete o hanno ristretto l’anonimato degli utenti.

 

Il rapporto sottolinea infine un importante aumento dell’attivismo civile legato ai temi della libertà di internet che, insieme a importanti decisioni giudiziarie, ha prodotto notevoli vittorie in diversi paesi.

“Campagne di sensibilizzazione, manifestazioni di massa, blackout di siti web, e decisioni delle Corti costituzionale hanno portato all’accantonamento di progetti censori, al ribaltamento di leggi pericolose al rilascio di attivisti incarcerati. In 23 dei 47 paesi presi in esame dal rapporto si è verificata almeno una vittoria in questo senso”, conclude il rapporto.

 

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