State of Broadband 2012. Onu: ‘Più flessibilità e certezza normativa per sostenere investimenti privati nelle reti’

di Alessandra Talarico |

L'Italia rappresentata da Giancarlo Innocenzi Botti che è intervenuto con due speech sugli investimenti nelle infrastrutture e l'internet del futuro alla luce delle modifiche degli ITRs che saranno discussi al WCIT-12.

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Banda larga

Ieri a New York la Broadband Commission for Digital Development dell’Onu ha presentato davanti a un’autorevole platea il Rapporto ‘State of Broadband 2012: Achieving Digital Inclusion for All, che, oltre a valutare i progressi compiuti dai diversi paesi in termini di diffusione della banda larga, riassume le diverse opzioni tra cui governi e decisori politici possono scegliere per implementare nuove reti e servizi digitali e rafforzare la competitività del loro paese nell’economia digitale.

Gli autori del rapporto sottolineano come le reti e i servizi a banda larga siano più di una semplice infrastruttura: rappresentano un insieme di tecnologie in grado di trasformare il nostro modo di comunicare, lavorare, giocare  e fare affari.

 

Oggi, inoltre, la Broadband Commission for Digital Development lancia la campagna ‘B more with #Broadband’: un esperimento online per capire quante persone possono essere mobilitate per ‘prestare’ il loro supporto al messaggio di inclusione lanciato dalla Commissione.

Tra coloro che hanno promosso all’appello c’è Giancarlo Innocenzi Botti, membro della Broadband Commission e presidente di Invitalia.

 

La posizione dell’Italia nelle classifiche mondiali ed europee non brilla: nel nostro Paese, la penetrazione della banda larga fissa si attesta al 22,8%. Usa internet il 56,8% della popolazione, contro il 95% dell’Islanda, il 94% della Norvegia, il 92,3% dei Paesi Bassi.

Le sottoscrizioni mobile broadband sono 31,3 ogni 100 abitanti, contro 110,9 di Singapore, 105,1 della Corea, 93,7 del Giappone, 91,5 della Svezia, 87,1 della Finlandia.

Giusto per fare un confronto, gli effetti della banda larga sull’economia svedese si sono tradotti, tra il 1998 e il 2007, con una crescita della produttività annua del 2,32%, contro lo 0,39% per l’Italia e una madia dell’1,66% nei paesi Ocse.

 

Nel 2010, la Banca Mondiale ha stimato che a ogni aumento del 10% nella penetrazione della banda larga corrisponde una ulteriore crescita del PIL dell’1,21% nei paesi sviluppati e dell’1,38% in quelli in via di sviluppo.

 

E’ quindi essenziale, spiega il rapporto, “che ogni paese tenga conto dello sviluppo della banda larga nella programmazione delle politiche sociali ed economiche, concentrandosi sia sul lato della domanda che su quello dell’offerta”.

Tre i pilastri sui quali costruire i programmi nazionali sulla banda larga: 1) lo sviluppo delle competenze, essenziali per incrementare la domanda di servizi broadband; 2) la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione di concordo con il settore privato e attraverso politiche volte a: a) ridurre le tassi e i dazi sull’importazione di servizi e terminali a banda larga; b) accelerare l’assegnazione dello spettro adatto per i servizi 2G, 3G e 4G senza aspettare il completamento del passaggio alla Tv digitale per assegnare la banda 700 Mhz per il mobile broadband; 3) migliorare il quadro giuridico e normativo per accelerare lo sviluppo della banda larga nelle famiglie e nelle aziende.

Aumentare la certezza normativa e abbassare le barriere all’ingresso del mercato sono altri elementi chiave.

 

Il rapporto evidenzia altresì che nel settore dell’ICT non vale la strategia del ‘una misura va bene per tutti’ e afferma che, nella valutazione delle diverse opzioni politiche e regolatorie dovrebbe essere analizzato a fondo il rapporto costi-benefici.

“Sono necessari – si legge nel report – nuovi modelli di investimento per connettere nuove persone e per gestire l’esplosione dei dati negli anni a venire. Al momento, il settore privato ha avuto un considerevole successo ed è ben posizionato per guidare l’evoluzione tecnologica e valutare il mix appropriato di tecnologie. Gli investimenti privati – continua il documento – devono essere facilitati dalle autorità per assicurare una prospettiva a lungo termine”.

Per connettere nuovi utenti e gestire l’esplosione dei dati, serve flessibilità normativa: bisogna lasciare agli operatori maggiore libertà di scelta; migliorare uso dello spettro e delle configurazioni di rete e introdurre nuove tecnologie come le small cells.

 

“Investire in banda larga è una sfida complessa: i governi – sottolinea ancora il rapporto – si concentrano sugli obiettivi di lungo termine, ma anche le esigenze e i rendimenti degli investimenti nel breve periodo devono essere tenute in conto allo stesso modo”.

Una rete è composta da tre livelli distinti con caratteristiche molto diverse rispetto al loro costo e al ritorno sugli investimenti. Il primo livello, quello passivo (opere civili e dark fiber), può rappresentare fino all’80% del costo e ha un ritorno di circa 15 anni. Il secondo il livello delle infrastrutture attive, dove si concentra l’intelligenza della rete, con un tasso di rendimento di circa 5-7 anni. Infine, il livello dei servizi ha una struttura di costi molto diversa e un tasso di ritorno molto più breve.

Servono quindi diversi tipi di finanziamento in base ai diversi tipi di investimento, caratterizzati da diversi periodi di ‘ritorno’.

 

Il rapporto è stato presentato ieri a New York in occasione del sesto meeting della Commissione che ha coinciso con la 67esima sessione dell’Assemblea generale dell’Onu.

Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha definito la banda larga una “tecnologia di trasformazione, in grado di stimolare progressi su tutti e tre i pilastri dello sviluppo sostenibile: prosperità economica, inclusione sociale e sostenibilità ambientale”.

 

Alla fine del 2011 c’erano 589 milioni di sottoscrizioni alla banda larga fissa a livello globale e quasi il doppio (1,09 miliardi) di connessioni a banda larga mobile (circa il 18,3% del totale di 5,97 miliardi di sottoscrizioni mobili). Il numero delle sottoscrizioni alla banda larga mobile cresce al ritmo del 60% l’anno e potrebbe superare i 5 miliardi nel 2017 (dati Ericsson), trainato dai paesi dell’Africa e del Medio Oriente.

 

Con il graduale calo dei prezzi dei dispositivi, sottolinea il rapporto, ben presto la maggioranza degli abitanti del pianeta avrà in mano un dispositivo più potente dei più potenti Pc degli anni ’80. Dal 2020, inoltre, il numero di dispositivi in rete potrebbe potenzialmente superare quello delle persone con una proporzione di 6 a 1, trasformando così il nostro concetto di internet e della società.

Secondo uno studio di Boston Consulting Group, la net economy varrà 4,2 milioni di miliardi nel 2016, contro i 2,3 milioni di miliardi del 2010. E tra quattro anni ci saranno 3 miliardi di utenti internet nel mondo – erano 1,9 miliardi del 2010 – un po’ meno della metà della popolazione mondiale.

 

 

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