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Google avrebbe un piano segreto per sfondare sul mercato della pubblicità online. Secondo le indiscrezioni, riportate dal Sole24Ore, pare che Big G stia mettendo a punto una strategia che punterebbe a “conquistare entro il 2015, nel nostro Paese, il 20% del mercato totale dell’advertising e arrivare a raccogliere 2 miliardi di euro, il doppio dell’attuale raccolta della Rai e in teorico pareggio con Mediaset, che potrebbe scendere in tre anni proprio a quota 2 miliardi dagli attuali due miliardi e quattrocento milioni”.
Il Sole24Ore parla di “un piano “segretissimo”, non confermabile e non confermato, che tuttavia sarebbe noto a molti centri media“.
Questo, ovviamente, ipotizzando una rivitalizzazione del comparto tutta focalizzata sul digitale, che dovrebbe salire tra 36 mesi a circa dieci miliardi di euro dagli attuali 8-8,2 miliardi.
Il quotidiano arriva addirittura a ipotizzare l’acquisto di una televisione italiana da parte della web company. Ma questa possibilità sembra proco realistica, del resto che farsene di una Tv quando il mercato audiovisivo tende sempre più a internet, dove Big G è fortissimo proprio con la sua piattaforma di video-sharing YouTube (Leggi Articolo Key4biz)?
Sulla raccolta di Google non esistono dati ufficiali anche perché è assente dai panel Nielsen e Audiweb (almeno per la parte di monitoraggio), ma secondo alcuni esperti il gruppo e la sua controllata YouTube avrebbero in mano oltre il 50% dell’eAdvertising, pari ad almeno 650 milioni di euro, su un totale a fine anno di circa 1,2 miliardi.
Le mosse della società di Mountain View non sono di certo passate inosservate al presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, che nella relazione annuale dello scorso giugno aveva lanciato l’allarme: “I motori di ricerca come Google e i cosiddetti social network ormai costituiscono un passaggio obbligato per la distribuzione dei contenuti web e Google…nel giro di pochi anni potrebbe diventare monopolista in questo mercato”. (Leggi Articolo Key4biz)
Da qui la proposta del Garante di “inserire nel novero delle attività ricomprese nel Sistema Integrato delle Comunicazioni (SIC) quelle svolte da operatori fornitori di contenuti, gestori di portali, motori di ricerca, social network, che competono con gli editori tradizionali nell’attività di vendita degli spazi pubblicitari agli inserzionisti”.
In luglio poi il Parlamento ha convertito in legge il decreto editoria, che dava appunto il via libera a questi limiti anche per l’ePub.
“Del resto Google – sottolinea ancora Il Sole24Ore – con la sola search (poco meno di 500 milioni), supera ampiamente la raccolta di un gruppo come Rcs, che tra quotidiani e periodici dovrebbe chiudere l’anno a 350 milioni. Mentre YouTube potrebbe attestarsi su una raccolta di 100 milioni (anche se le stime più prudenti parlano della metà, circa 50 milioni), quando La7 arriverà al termine del 2012 a portare a casa 185 milioni di spot, più un’altra decina di La7D”.
Bisogna poi considerare un altro fattore importante: Google fa affari miliardari in tutti i Paesi, Italia compresa, ma versa nelle casse di questi Stati imposte sui redditi risibili, quando non pari a zero, perché ha sede in Irlanda.
A riguardo, la Guardia di Finanza italiana, che sta indagando dal 2006 e presto potrebbe chiudere il caso, ha rintracciato 80 milioni di euro di imposte non versate (Leggi Articolo Key4biz).
Il gruppo s’è sempre difesa, sostenendo che “paga le tasse anche in Italia“, ma anche che ha l’obbligo verso i suoi azionisti “di mantenere un sistema fiscale efficiente“.
Google, quindi, in piena in espansione su ogni mercato, dal web alla tv, è questo sta provocando la forte reazione di molti, specie degli editori che in Germania, e adesso anche in Francia, stanno chiedendo provvedimenti normativi per far pagare ai motori di ricerca l’uso delle loro notizie (Leggi Articolo Key4biz).
E mentre i tedeschi attendono il varo della proposta di legge da parte del Parlamento, in Francia il Ministro della Comunicazione, Aurélie Filippetti, s’è detta favorevole a che i motori di ricerca e gli aggregatori di notizie contribuiscano al finanziamento della stampa.
Per la Filippetti, “alcuni grossi attori del web usano la materia prima fornita da altri, senza fare alcun investimento, indispensabile invece per il mantenimento del giornalismo e della libertà di stampa“. Il Ministro ha anche confermato che il Sindacato dei quotidiani nazionali ha presentato due testi al Dicastero della Cultura e a quello del Digitale, che vanno in questa direzione.