Europa
Forse molti politici considerano la banda larga poco sexy perchè si tratta di un’infrastruttura intangibile, “…ma la recessione è molto meno sexy” e se venissero tagliati gli investimenti nel broadband di prossima generazione, si taglieranno le prospettive di quella crescita di cui l’Europa ha attualmente urgente bisogno. Parola di Neelie Kroes.
L’energico commissario per l’Agenda digitale europea commenta così al Wall Street Journal l’ipotesi che i fondi destinati alla banda larga nell’ambito del piano Ue Connecting Europe Facility (CEF) – circa 9,2 miliardi di euro nell’ambito di un piano da 50 miliardi – possano essere dirottati dalle reti a banda larga alle altre infrastrutture (energia e trasporti), come trapelato nel corso del meeting informale dei ministri e segretari di Stato per gli Affari Europei di Nicosia dello scorso 30 agosto.
“Pur riconoscendo l’importanza strategica del Connecting Europe Facility, la Presidenza prende atto che la parte delle telecomunicazioni ha ricevuto meno supporto da parte degli Stati membri rispetto ai trasporti e all’energia”, rende noto un’informativa firmata dalla presidenza cipriota e inviata ai ministri.
“E’ pertanto necessario riconsiderare le dimensioni e il peso relativo attribuito alle tre componenti”, aggiunge la nota.
Ma secondo la Kroes, un dietrofront in questo senso sarebbe controproducente: bisogna mantenere le promesse e c’è bisogno, secondo il Commissario, “di un programma di investimenti equilibrato che privilegi i settori a più forte prospettiva di crescita”.
Le reti a banda larga sono ormai considerate fra quelle infrastrutture decisive per una crescita intelligente e per la realizzazione di un vero mercato unico europeo.
Come indicato anche da un rapporto di Mario Monti datato maggio 2010, “un mercato unico realmente integrato non sarebbe possibile in presenza di discontinuità nei collegamenti fra tutte le sue parti: i collegamenti di trasporto, le reti elettriche e le reti a banda larga sono vitali per il funzionamento e l’integrazione dello spazio economico e per la coesione sociale e territoriale”.
In base all’Agenda digitale, tutti i cittadini europei dovrebbero avere accesso alla banda larga di base entro il 2013 e alla banda larga veloce e superveloce entro il 2020. Gli investimenti necessari per conseguire questi obiettivi sono stimati in un massimo di 270 miliardi di euro e verranno in parte dal settore privato. Tuttavia, in assenza di un intervento dell’Unione, gli investimenti del settore privato probabilmente non supereranno i 50 miliardi di euro da qui al 2020: all’appello mancherebbero quindi fino a 220 miliardi di euro di investimenti. Poiché i benefici sociali che si otterrebbero investendo in infrastrutture digitali superano di gran lunga gli incentivi privati agli investimenti, saranno necessari interventi pubblici mirati per stimolare il mercato.
In termini di occupazione, ad esempio, la Ue ha calcolato che investendo in tecnologie dell’informazione e della comunicazione si possono creare 2,6 posti di lavoro per ognuno perso, mentre uno studio di McKinsey & Company stima che un aumento di 10 punti percentuali nella penetrazione della banda larga delle famiglie fornisce una spinta al prodotto interno lordo che varia dallo 0,9% all’1,5%.
Tra gli interventi comunitari, anche quelli indicati nel piano CEF, che rischia però di essere rivisto e di riservare alla banda larga meno fondi del previsto.
Eventualità stigmatizzata anche dall’associazione europea degli operatori tlc (ETNO) che in vista del meeting di Nicosia ha insistito sulla necessità di mantenere i livelli di investimento previsti dal piano Connecting Europe Facility, uno strumento importante per lo sviluppo delle infrastrutture cross-border e in grado di ridurre i rischi degli investimenti sia pubblici che privati.
“ETNO è preoccupata che una riduzione dei fondi assegnati metterebbe seriamente in pericolo l’efficacia del piano e limiterebbe il suo impatto complessivo sull’economia europea”, ha sottolineato il direttore di ETNO, Daniel Pataki, secondo cui i fondi CEF dovrebbero essere usati per incoraggiare progetti di sviluppo privati e, nei casi in cui questi non fossero commercialmente redditizi, dovrebbero essere usati per sostenere partnership pubblico-privato.
La Commissione europea, dal canto suo, sta vigilando attentamente sull’implementazione della Direttiva sulle telecomunicazioni negli Stati membri ed è intervenuta nelle ultime settimane sui casi di Repubblica Ceca e Polonia.
Nel primo caso, la Commissione ha intimato al regolatore nazionale di ritirare la proposta di includere le tecnologie via cavo e le piattaforme Wi-Fi dalla definizione del mercato all’ingrosso dei prodotti a banda larga. Questa eventualità, infatti, solleverebbe l’operatore dominante dall’obbligo di garantire agli operatori alternativi accesso alla propria infrastruttura.
In Polonia, invece, la Ue ha chiesto al regolatore UKE di modificare o ritirare la proposta di garantire agli operatori alternativi accesso limitato alla rete in fibra ottica di Telekomunikacja Polska. Tale decisione avrebbe infatti un impatto negativo sulla concorrenza e sul futuro sviluppo delle reti ultrabroadband.