Sostenibilità di internet e ITR: il Financial Times rilancia il dibattito internazionale, in vista dell’appuntamento ITU di dicembre

di di Raffaele Barberio |

Al prossimo WCIT-12 di Dubai, la posta in gioco è la sostenibilità di internet: un problema di economia piuttosto che di democrazia

Mondo


Raffaele Barberio

A dicembre l’International Telecommunications Union (ITU) discuterà a Dubai sul futuro di Internet  al World Conference on International Telecommunications (WCIT-12).

Si tratterà della prima occasione di dibattito sulle ITR (International Telecommunications Rules) dopo 24 anni che coinvolgerà poco meno di 200 nazioni.

L’ultima assise dedicata all’argomento risale al 1988, quando il traffico delle telecomunicazioni era sostanzialmente solo voce, il mercato era dominato quasi ovunque da imprese nazionali che operavano in regime di monopolio e internet era ben poca cosa, mentre i cellulari addirittura non esistevano.

Oggi le reti di tlc si usano per molto altro e la voce è diventato un servizio praticamente senza margini, il mercato è fortemente articolato e competitivo, internet è diventato il motore di ogni attività. Inevitabile che l’argomento facesse infiammare il dibattito riscaldando le posizioni e configurando schieramenti pro o contro questa o quella posizione.

In tale contesto appare provvidenziale l’uscita di oggi del Financial Times che ricostruisce i punti di vista in modo coerente e non ideologico.

La posta in gioco è molto alta, ma va evitata, appunto, ogni ideologizzazione del dibattito per evitare di guardare il dito invece che la Luna.

Il punto di partenza è che oggi il modello di sviluppo di Internet sta divenendo insostenibile in considerazione dell’aumento esponenziale del traffico dati sulle reti.

E’ il punto di vista degli operatori di Tlc, che hanno visto nel corso degli anni un’erosione inarrestabile dei margini e da quattro anni chiudono in Europa gli esercizi con segno negativo.

Noi investiamo – sostengono gli operatori di telecomunicazioni – ma i grossi profitti vengono raccolti dai fornitori di servizi Over The Top (tutti americani, va specificato) che non investono nulla nella rete e godono di modelli di business ovunque o quasi fondati su tariffe flat per il consumatore, indipendentemente dal traffico consumato o generato.

Tale posizione ha scatenato la reazione di uno schieramento avverso molto composito e sostenuto dagli Over The Top: uno schieramento che focalizza la propria posizione sul principio della “intoccabilità” di internet, il cui successo e requisito imprescindibile è proprio quello della libertà di espressione e di circolazione dei contenuti. Se così non fosse stato, sostengono i rappresentanti di questa posizione, non avremmo avuto la primavera araba, mentre quotidianamente i filtri di paesi autoritari come Cina ed Iran (per citare i più evidenti) impediscono a milioni di persone l’accesso alla rete.

Come dargli torto?

Ma alla base di tale confronto di posizioni (qui fortemente semplificato) ritengo vi siano degli equivoci di fondo determinati dal fatto che, anche in questo caso, schieramenti apparentemente univoci sono invece motivati da ragioni strutturalmente diverse.

Nessuno può approvare o considerare perseguibile un’ipotesi di ingabbiamento della rete per consentire ai paesi non democratici di isolare il dissenso, di tappare la bocca a chiunque non sia in linea con i regimi al governo. Nessuno che appartenga al consesso delle nazioni avanzate e democratiche.

Ma – sostengono alcuni – ITU vuole proprio creare le condizioni per assicurare a tali regimi la possibilità di controllare internet, usando come cavallo di Troia le misure di rinnovamento dei business plan oggi inadeguati. Non a caso – insistono – la proposta è sostenuta da Paesi come Cina e Russia, per citare alcuni tra i campioni dei regimi autoritari (come ha peraltro più volte sottolineato Vinton Cerf, Chief Internet Evangelist di Google).

Naturalmente, in questo caso il controllo sulla rete riguarderebbe immediatamente anche tutti gli altri Paesi, con un effetto domino che giustificherebbe le campagne di Freedom of expression che l’appuntamento di Dubai sembrerebbe aver scatenato.

 

In realtà, è il caso di ribadirlo, il dibattito in corso per la revisione degli accordi internazionali affronta il tema del rapporto fra i costi crescenti per lo sviluppo delle reti e il declino nei ricavi dell’industria.

Ed è questo il punto di partenza da non smarrire.

 

Tutti vogliono la banda larga mobile e i benefici che essa porta con sé – ha dichiarato qualche mese fa Hamadoun Touré, segretario generale dell’ITU – ma pochi sono disposti a pagare, inclusi gli Over-The-Top – che con le loro applicazioni stanno contribuendo alla crescita della domanda – e i consumatori, che si sono abituati ai pacchetti illimitati“.

E il riferimento è a una situazione che sta mettendo sotto pressione gli operatori, che hanno bisogno di investire in reti a banda ultra larga per garantire che la qualità del servizio vada di pari passo con l’aumento della domanda e il dibattito in corso per la revisione degli accordi internazionali affronta il tema dell’attuale scollamento fra fonti di ricavi e fonti di costo e decidere qual è il modo migliore per superarlo.

Ad alimentare ulteriormente questo dibattito, è sopraggiunta la proposta di ETNO, l’associazione degli operatori europei, volta a riequilibrare le attuali regole internazionali sulle telecomunicazioni per garantire agli operatori un ‘equo compenso’ per il traffico generato dai servizi OTT, attraverso la stipula di specifici accordi commerciali tra le parti.

 

E allora, è proprio vero che l’Onu avrebbe mire di controllo sul web e che dietro tale pretesa si celerebbero i voleri delle nazioni antidemocratiche?

 

La posta veramente in gioco – ha sottolineato Eric Pfanner dell’International Herald Tribunesono i soldi“.

Il conflitto reale, insomma, non verte tanto sulla governance di internet né tanto meno sulla net-neutrality o la libertà di espressione, quanto sugli interessi economici, con le telco che si battono, anche attraverso la contingenza degli ITR, per convincere le compagnie internet americane, ovvero gli Over The Top, a condividere oneri e onori dell’aumento del traffico internet.

Insomma il cuore del dibattito ci riporta ad un problema di economia piuttosto che a un problema di democrazia.

 

Secondo Milton L. Mueller – professore presso la Syracuse University e autore del libro ”Ruling the Root: Internet Governance and the Taming of Cyberspace” – “…Sarebbe sbagliato e un pò sciocco sostenere che l’ITU voglia controllare internet”.

E’ una mossa molto astuta quella di far passare il tutto come un tentativo dell’ITU di prendere il controllo di internet“, sottolinea ancora Mueller, che aggiunge: “è internet, piuttosto, che sta assumendo il controllo sulle telecomunicazioni, stabilendo i termini e le condizioni alla base del funzionamento dell’ITU e delle sue unità operative“.

 

In sostanza quello che si intravede, sotto sotto, è anche un confronto serrato tra industrie americane e industrie europee.

Gli Over The Top sono figlie dirette della ricerca militare e spaziale degli anni ’60 e ’70. Ecco perché sono tutte americane. Sono il primo surrogato dell’ultimo colpo di coda di R&D rappresentato dallo scudo spaziale di Reagan.

Su di esse punta il rilancio dell’economia americana nel mondo. Internet ha sostituito in sostanza la vecchia economia, le vecchie forme di controllo, la vecchia diplomazia.

Puntare al rilancio della propria economia sfruttando le infrastrutture degli altri Paesi è in effetti un’idea niente male e uno strumento straordinario per un immenso trasferimento di ricchezza sull’altra sponda dell’Atlantico.

 

Da canto suo la Commissione Europea sta ancora considerando la proposta di ETNO che si fonda sugli accordi commerciali. Per il Commissario Neelie Kroes “…esistono gli spazi per una negoziazione commerciale che sostenga tutti quegli investimenti che consentiranno a tutti i players presenti nella catena del valore di beneficiare delle grandi potenzialità di crescita dell’economia digitale“. Ma anche qui sembra che le posizioni si stiano definendo.

 

Infine, abbiamo chiesto ad ETNO, cui viene ricondotta la scossa iniziale che ha fatto partire il dibattito internazionale, le ragioni concrete e le valutazioni sullo stato attuale del confronto.

 

Vorrei chiarire ancora una volta che ETNO non chiede alcun intervento regolamentare o modifica dell’attuale modello di Internet Governance basato sulla leadership del settore privato e sul dialogo multi-stakeholder – ha dichiarato a Key4biz Luigi Gambardella, presidente dell’Executive Board di ETNO – Al contrario, ETNO insiste sul fatto che i nuovi modelli di business dovrebbero essere basati esclusivamente su liberi accordi commerciali tra le parti e vuole evitare nuove misure normative che impediscano ai nuovi modelli di business di emergere o ostacolino la proposta di offerte differenziate, limitando la scelta dei consumatori“.

 

In effetti, la proposta di ETNO sembra puntare uno scenario  win-win sia per gli OTT sia per i consumatori. Gli OTT saranno in grado di scegliere tra diverse “offerte di fornitura” concorrenziali proposte dalle Telco. “Questo scenario avrà come risultato finale una migliore fornitura di servizi su Internet – ha concluso Luigi Gambardella – incoraggiando quindi l’innovazione. I consumatori potranno beneficiare di una scelta più ampia in quanto saranno in grado di optare per  pacchetti su misura che soddisfino le loro esigenze, al di là del best-effort Internet.

 

Insomma nessuna tassa sui bit di traffico, ma semmai una valutazione economica differenziata (condivisa da chi trasmette e da chi riceve) in base all’importanza dei contenuti trasmessi.

Del resto, inimmaginabile che dopo 25 anni non ci possano o debbano essere cambiamenti negli ITRs?

Internet è tutt’altra cosa rispetto allo scenario del 1988 e il mondo in cui si colloca è un altro mondo.

E’, pertanto, una partita che appare credibile e ragionevole. E non è un caso se proprio dietro alle proposte ETNO si stia consolidando un consenso internazionale sino a pochi mesi fa imprevedibile.

Staremo a vedere: la posta in gioco è la sostenibilità della rete.

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