Italia
La nuova Agcom, appena insediatasi, avrà una bella gatta da pelare: il dossier delle frequenze e la nuova asta con cui è stato annullato il beauty contest.
Una situazione difficile e ulteriormente complicata da un quadro normativo ancora poco chiaro, dove si intrecciano le posizioni delle telcos con quelle dei broadcaster alla luce della rapida avanzata degli OTT.
“La televisione digitale terrestre è una modalità temporanea di distribuzione del segnale di broadcasting, una tecnologia di transizione verso la trasmissione in banda larga”.
Di questo è convinto Francesco Siliato, Ricercatore al Politecnico di Milano, che in un articolo pubblicato oggi dal Sole24Ore, analizza il mercato italiano e parla di sfida tra telco ed editori tradizionali.
In tutto questo, aggiunge Siliato, “si direbbe che l’industria televisiva si faccia battere sul tempo e sul proprio terreno da imprese abituate ad operare con internet e spinga la politica ad ostacolare i processi innovativi”.
L’industria televisiva opera pressioni per complicare la vita alla OTT television realizzata da imprese non già editoriali.
“La politica – secondo Siliato – dovrà essere giusto arbitro per essere in grado di intervenire con un progetto chiaro”.
Ma come? “La strada è tortuosa“, scrive Marco Mele sempre sul Sole24Ore, “Sia per l’insufficiente penetrazione della banda fissa e mobile, sia perché le normative e le recenti autorizzazioni definitive ventennali, rilasciate dal ministero dello Sviluppo, tendono a congelare l’attuale assetto del sistema” (Leggi Articolo Key4biz).
Il nodo centrale della questione riguarda appunto la prevista durata dei diritti d’uso che, analogamente a quanto previsto da altri settori delle tlc, è di 20 anni, così come consentito dal Codice delle Comunicazioni Elettroniche e dal regolamento Agcom 353/11/CONS, secondo cui il periodo di rilascio dev’essere adeguato per consentire l’ammortamento degli investimenti necessari per la valorizzazione delle infrastrutture che operano su tali frequenze.
In altre parole, per 20 anni le tv avranno il diritto di usare quelle frequenze per la tv digitale terrestre mentre prima avevano solo un ‘titolo provvisorio’.
Mele sottolinea che “Queste autorizzazioni, rilasciate alle tv nazionali e promesse a quelle locali, sono ‘trasferibili su iniziativa dell’assegnatario’ (…) Sono cedibili, insomma”.
Inoltre, puntualizza Mele, “sono stati autorizzati canali il cui diritto d’uso è stato già ceduto dallo Stato, con l’asta, agli operatori telefonici, come il canale 69 (…) o come il canale 24, che faceva parte del beauty contest e che dovrebbe essere oggetto dell’asta da tenersi entro fine agosto, ma che sarà rinviata. Nell’autorizzazione è scritto che si tratta di frequenze soggette a sostituzione con altri canali della banda Uhf”.
Ma Mele si chiede “dove si troveranno le frequenze sostitutive di canali destinati ad altri soggetti? Si aspetterà la chiusura di qualche emittente locale? O si vorranno utilizzare quelle del “fu” beauty contest: in questo caso niente più gara riservata alle tv su quelle frequenze”.
“Sarebbe stato meglio attendere, insomma, prima di rilasciare tali autorizzazioni e di attuare una legge di fine 2010 che va rivista alla luce delle novità intervenute nel settore. Tra le ragioni vi sono il mancato coordinamento con i paesi confinanti e i contenziosi aperti su molte delle frequenze in gioco”.
Inoltre, Marco Mele ricorda che recentemente i ricercatori britannici della Redshift hanno dichiarato che la piattaforma digitale terrestre subisce la forte pressione competitiva del satellite e del cavo che offrono un’alta definizione superiore a quella (attuale) terrestre.
Dopo la conferenza mondiale di Ginevra 2012, commenta ancora Mele, la cessione alle Tlc della banda 700 Mhz (canali 50-60 UHF), dal 2015, potrebbe ridurre di un terzo le frequenze a disposizione per l’attività televisiva. In Italia sarà difficile che l’intera banda 700 – assegnata alla tv per vent’anni – venga messa interamente all’asta per la banda mobile. Lo faranno però i Paesi confinanti, a partire ad esempio dalla Tunisia, rendendo difficile il coordinamento delle frequenze e l’uso di diversi canali da parte delle tv italiane; nel caso della Tunisia in Sicilia e nella Calabria meridionale.
“In ogni caso – scrive Mele – in vista di quello che accadrà nella seconda metà del decennio, il Piano delle frequenze dell’Agcom andrebbe rivisto da subito. Anche perché non lo si è rispettato nell’assegnazione dei canali digitali regione per regione, assegnando tutti quelli disponibili senza lasciare le “aree bianche” prive di assegnazioni previste dall’Agcom”.
L’ascolto dei canali terrestri lineari, a sua volta, subisce l’erosione dovuta all’aumento costante del consumo on-demand di contenuti televisivi, grazie a nuovi device come le connected tv o i tablet.
Tale consumo, a sua volta, produrrà una forte pressione per destinare altre frequenze, oggi utilizzate dalle tv, alla banda larga, con relativo introito della gara da parte dello Stato.
“La tv, insomma, – conclude Mele – deve integrarsi alla banda larga per trovare nuovi sfruttamenti dei propri contenuti: tenerla sotto “protezione” rischia di togliere ai nostri operatori concrete opportunità di sviluppo, ritardando la crescita della concorrenza e dell’intero sistema della comunicazione”.