Corte di Giustizia Ue: il giudice nazionale non può riformulare una clausola vessatoria inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore

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Il caso e le questioni pregiudiziali

Unione Europea


Portolano Cavallo Studio legale

Pubblichiamo di seguito un contributo tratto da Portolano Cavallo INFORM@, Newsletter di Portolano Cavallo Studio Legale

Con sentenza del 14 giugno 2012, causa C‑618/10, Banco Español de Crédito SA c. Joaquín Calderón Camino, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha affermato alcuni rilevanti principi in materia di clausole vessatorie contenute nei contratti stipulati tra consumatori e professionisti.

Nel 2007 il sig. Calderón Camino stipulava un contratto di mutuo per un ammontare di 30.000 Euro con la banca spagnola Banco Español de Crédito SA (“Banco Español“) per l’acquisto di un autoveicolo, con interessi moratori al 29%.

A seguito di reiterati inadempimenti nei pagamenti, nel settembre 2008, il Banco Español presentava con ricorso una domanda d’ingiunzione di pagamento del prestito concesso. Il giudice investito del ricorso (Juzgado de Primera Instancia n. 2 de Sabadell) rilevava che:

  • Il contratto di mutuo in questione era un contratto di adesione, stipulato senza reali possibilità di trattativa; e che
  • Il tasso degli interessi moratori del 29% era stabilito in una clausola dattiloscritta che non si distingueva rispetto al resto del testo, per quanto riguarda, in particolare, la tipologia e la dimensione dei caratteri utilizzati.

Di conseguenza, il giudice spagnolo dichiarava d’ufficio con ordinanza la nullità della clausola contrattuale sugli interessi moratori, in quanto vessatoria, e ne rideterminava il contenuto attraverso l’indicazione di un tasso di interesse più basso, ordinando al Banco Español di effettuare un nuovo calcolo dell’ammontare degli interessi.

Il Banco Español presentava appello innanzi all’Audiencia Provincial de Barcelona, sostenendo, in sostanza, che il giudice della fase monitoria non poteva né dichiarare d’ufficio la nullità della clausola contrattuale relativa agli interessi moratori, da esso ritenuta vessatoria, né procedere alla revisione della medesima.

Nell’ordinanza di rinvio, l’Audiencia Provincial de Barcelona constatava che la normativa spagnola non autorizza i giudici investiti di una domanda d’ingiunzione di pagamento a dichiarare d’ufficio la nullità delle clausole vessatorie, in quanto la verifica della legittimità di queste ultime ricade nell’ambito del procedimento di diritto comune, il quale è instaurato soltanto nel caso di opposizione al pagamento proposta dal debitore/consumatore.

Nutrendo dubbi sull’interpretazione di alcune norme del diritto comunitario rilevanti ai fini del caso di specie, l’Audiencia Provincial de Barcelona, sospendendo il giudizio principale, ha chiesto alla Corte di Giustizia di chiarire:

  1. Se la direttiva 93/13/CEE concernente le clausole vessatorie (o “abusive” secondo il linguaggio utilizzato nella direttiva) nei contratti stipulati con i consumatori osti ad una normativa di uno Stato membro, quale quella del procedimento principale, che non consente al giudice investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento di esaminare d’ufficio la natura vessatoria di una clausola inserita in un contratto stipulato con un consumatore;
  2. Se la normativa spagnola che consente ai giudici non solo di disapplicare, ma altresì di rivedere il contenuto delle clausole vessatorie sia compatibile con la direttiva.

Ruolo del giudice nazionale rispetto alle clausole vessatorie

In primo luogo, nella sentenza, la Corte di Giustizia ha affermato che, nel sistema di tutela del consumatore istituito dalla direttiva 93/13/CEE sulle clausole vessatorie e in conformità alla giurisprudenza della Corte medesima, il ruolo del giudice nazionale non si limita alla semplice facoltà di pronunciarsi sull’eventuale natura vessatoria di una clausola inserita in un contratto stipulato con un consumatore, bensì comporta l’obbligo di esaminare d’ufficio tale questione, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine (principio affermato in passato dalla Corte, ad esempio, nella sentenza del 4 giugno 2009, causa C-243/08, Pannon GSM Zrt. c. Erzsébet Sustikné Győrfi).

La normativa spagnola, al contrario, non consente al giudice investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento di esaminare d’ufficio – anche qualora disponga già di tutti gli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine – la natura vessatoria delle clausole inserite in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, rimanendo l’accertamento del carattere vessatorio delle clausole di un simile contratto ammesso soltanto nel caso di opposizione al pagamento proposta dal consumatore.

La Corte ha ritenuto che un simile regime procedurale possa compromettere l’effettività della tutela che la direttiva 93/13/CEE sulle clausole vessatorie ha inteso conferire ai consumatori. Infatti, alcuni fattori potrebbero scoraggiare i consumatori dal proporre opposizione (ad esempio, il termine particolarmente breve previsto per tale opposizione – secondo la normativa spagnola, 20 giorni dalla notifica di un’ingiunzione, le spese processuali, la mancata conoscenza dei loro diritti, etc.).Pertanto, sarebbe sufficiente che i professionisti promuovessero un procedimento d’ingiunzione di pagamento, invece di un procedimento civile ordinario, per privare i consumatori della tutela prevista dalla normativa comunitaria.

Di conseguenza, la Corte ha rilevato che la normativa processuale spagnola non è conforme alla normativa comunitaria e al principio di effettività, che esige che l’applicazione del diritto dell’Unione non sia resa in pratica impossibile o eccessivamente difficile. In proposito, secondo la Corte, la normativa processuale spagnola rende impossibile o eccessivamente difficile, nei procedimenti instaurati dai professionisti avverso i consumatori, l’applicazione della tutela che tale normativa intende conferire a questi ultimi.

Di diverso avviso era invece l’Avvocato Generale della Corte di Giustizia Trstenjakl, il quale, nelle conclusioni rese nel caso di specie, aveva osservato che:

  • L’imposizione, nell’ambito di un procedimento di ingiunzione, dell’obbligo di compiere un’indagine approfondita e di deliberare in limine litis in merito alla nullità di una clausola vessatoria sugli interessi moratori inserita in un contratto di credito al consumo indurrebbe un cambiamento radicale del funzionamento di tale procedimento, annullandone un vantaggio essenziale, cioè la possibilità di far valere in tempi rapidi i crediti pecuniari non contestati;
  • Il procedimento d’ingiunzione di pagamento non è un procedimento caratterizzato da contraddittorio, per cui, qualora il giudice nazionale dovesse dichiarare d’ufficio la vessatorietà di una clausola contrattuale e respingere la domanda di emissione di decreto ingiuntivo, non verrebbe data al professionista alcuna possibilità di prendere posizione sull’addebito consistente nell’avere utilizzato clausole vessatorie nei rapporti con i consumatori, con pregiudizio del principio del contraddittorio e del diritto di difesa del professionista medesimo;
  • Il procedimento nazionale di ingiunzione di cui al caso di specie non viola il principio di effettività, in quanto per assicurare la tutela del consumatore da pretese creditorie fondate su clausole contrattuali vessatorie sarebbe sufficiente consentire al consumatore contro cui è stata chiesta l’emissione di un decreto ingiuntivo, come prevedono in genere i procedimenti nazionali di ingiunzione, di tutelarsi in sede giudiziaria proponendo un’opposizione.

Integrazione del contenuto delle clausola vessatorie

Circa la seconda questione pregiudiziale, la Corte rammenta che, secondo la direttiva 93/13/CEE sulle clausole vessatorie (articolo 6, paragrafo 1), partendo dal presupposto che il consumatore versa in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione, una clausola vessatoria inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore “non vincola quest’ultimo” e che il contratto contenente una clausola siffatta resta vincolante tra le parti qualora possa sussistere nonostante la nullità (e quindi l’inefficacia) della clausola vessatoria (nullità parziale).

Sul punto, la Corte ricorda che la disposizione sopra citata ha carattere imperativo, e, come più volte affermato in passato dalla stessa Corte di Giustizia, essa, “in considerazione dell’inferiorità di una delle parti contrattuali, mira a sostituire all’equilibrio formale, che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza delle parti stesse” (sentenza 26 ottobre 2006, causa C-168/05, Elisa María Mostaza Claro c. Centro Móvil Milenium SL, par. 36).

Pertanto, la Corte ha dichiarato che la direttiva 93/13/CEE sulle clausole vessatorie osta alla normativa spagnola, laddove quest’ultima consente al giudice nazionale, qualora accerti la nullità di una clausola vessatoria, di rivedere il contenuto di tale clausola.

Infatti, secondo la Corte, il riconoscimento di una facoltà siffatta al giudice nazionale potrebbe conferire ai consumatori una tutela meno efficace di quella risultante dalla non applicazione delle clausole vessatorie: se il giudice nazionale potesse rivedere il contenuto di tali clausole, i professionisti potrebbero essere incentivati ad utilizzarle nei contratti stipulati con i consumatori, consapevoli che, quand’anche esse fossero dichiarate nulle, il contratto potrebbe nondimeno essere integrato dal giudice in via equitativa.

Di conseguenza, secondo la Corte, una volta accertata l’esistenza di una clausola vessatoria, i giudici nazionali sono tenuti unicamente ad escluderne l’applicazione affinché non produca effetti vincolanti nei confronti del consumatore, senza essere autorizzati a rivedere il contenuto della medesima.
In concreto, dunque, il contratto in cui è inserita una clausola vessatoria deve sussistere senz’altra modifica che non sia quella risultante dalla soppressione della clausola in questione, purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto sia giuridicamente possibile.

Rispetto alla seconda questione pregiudiziale, la Corte di Giustizia ha confermato le conclusioni dell’Avvocato Generale Trstenjakl.

Il testo integrale della sentenza della Corte di Giustizia è disponibile a questo link.

Spunti di riflessione con riferimento al diritto italiano

La sentenza esaminata presenta alcuni significativi profili di interesse in relazione alla normativa italiana in materia di clausole vessatorie (articoli 33 e ss. del Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206 – “Codice del Consumo“), con particolare riferimento ai poteri di sindacato del giudice in caso di accertamento della nullità di dette clausole.

In Italia il giudice ha la facoltà ma non l’obbligo di rilevare d’ufficio la nullità delle clausole. Se rileva la nullità, il giudice integra il contratto applicando eventuali norme inderogabili (es: art. 1815 c.c.). Diversamente da quanto avviene in Spagna, in Italia la legge non conferisce espressamente al giudice la facoltà di rivedere/integrare in via equitativa il contenuto di una clausola vessatoria dichiarata nulla (facoltà peraltro dichiarata ora illegittima dalla sentenza in esame).

Tuttavia, nella sentenza in esame, la Corte di Giustizia, poiché non investita della questione, non si è pronunciata su un’altra rilevante modalità di integrazione del contratto successivamente alla dichiarazione di nullità della clausola vessatoria. In particolare, il caso frequente in cui il giudice, in presenza di una clausola vessatoria dichiarata nulla, integri il contenuto inserendo norme dispositive/derogabili di diritto interno, così come avviene quando, di fronte alla nullità di una clausola, il giudice applica le norme del codice civile che sono derogabili dalle parti nell’ambito di un contratto tipico, laddove le parti stesse non abbiano previsto nulla a riguardo.

Una nuova questione pregiudiziale, pertanto, potrebbe essere posta in riferimento alla possibilità di integrazione del contenuto di una clausola vessatoria dichiarata nulla attraverso l’applicazione di norme derogabili di diritto interno.

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