Libertà d’espressione: Google fornisce i dati del suo Report sulla Trasparenza e fa la lista dei Paesi ‘censori’

di Raffaella Natale |

Il sottile confine tra libertà d’espressione e calunnia. Il potere di Google che con un clic può eliminare ciò che reputa ‘scomodo’ o utile.

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Google ha aggiornato il suo Transparency Report al secondo semestre del 2011, svelando le richieste provenienti dai governi di rimozione di specifici contenuti dai risultati delle ricerche.

Dall’analisi sono esclusi Cina e Iran, Paesi che oscurano direttamente i contenuti web senza presentare domande ufficiali.

L’azienda deve trovare il giusto equilibrio tra acconsentire alle richieste dei singoli Stati, per portare avanti il business nei rispettivi Paesi, e prendere le distanze dalle politiche che ledono diritti fondamentali dell’uomo quali la libertà di informazione ed espressione.

 

Per la maggior parte, ha dichiarato l’analista della società, Dorothy Chou, si tratta di notizie di natura politica.

“Questo preoccupa – ha detto Chou – non solo perché si mette in discussione la libertà d’espressione, ma perché alcune di queste richieste arrivano da Paesi insospettabili, democrazie occidentali che solitamente nessuno accosterebbe mai a comportamenti censori”.

 

Stando ai dati forniti da Google, nel secondo semestre del 2011 il numero di queste  richieste è raddoppiato e per la prima volta sono entrati nella lista Paesi come l’Ucraina, la Giordania o la Bolivia.

 

Tra luglio e dicembre, il gruppo ha accolto quasi il 65% in più delle 467 richieste giudiziarie di soppressione di contenuti pervenute e il 46% delle 561 che invece non provenivano da autorità.

“Si evidenzia che aumentano gli enti governativi che ci chiedono di cancellare messaggi politici messi online da nostri utenti”, ha commentato la Chou.

 

Dall’Italia sono arrivate 844 richieste riguardanti dati e informazioni degli utenti, 1.124 su specifici account. Google ha accolto il 51% di queste domande.

 

“Le autorità spagnole, per esempio, hanno chiesto a Google di ritirare 270 risultati di ricerca che rinviavano a blog o articoli dove si menzionavano alcuni personaggi pubblici, come sindaci o procuratori”.

In Polonia, un’istituzione pubblica ha chiesto a Google di eliminare il link a un sito che criticava il suo operato.

Richieste, sia quella spagnola che polacca, che non sono state accolte da Google. Ma non sempre è stato possibile. In Brasile, per esempio, un tribunale ha imposto alla web company di ‘sopprimere’ le pagine di quattro utenti del suo social network Orkut per via dei contenuti politici che contenevano.

In questo Paese, la legge sulla diffamazione permette infatti di ottenere la cancellazione di alcune informazione, anche se queste vengono verificate. In periodo elettorale è, inoltre, vietato fare parodie dei candidati, per questo si può fare espressa richiesta e ottenere che vengano eliminati dalla rete video, su YouTube per esempio, di spettacoli satirici.

 

In Canada, Google s’è rifiutato di eliminare da YouTube un video nel quale si vedeva un cittadino canadese urinare sul proprio passaporto prima di farlo sparire nel water, come invece avevano richiesto le autorità.

In Francia, le domande riguardavano 58 link. Google ha accolto solo il 67% delle richieste supportate da motivazioni legali e il 47% delle altre.

In India, le domande sono cresciute del 49% tra il primo e il secondo semestre. In Pakistan, il Ministero dell’Informazione ha chiesto di ritirare sei video nei quali venivano derisi militari ed esponenti politici. La domanda non è stata accolta. Per contro, però, sono stati oscurati cinque account su YouTube dietro espressa richiesta della British Association of Chief Police Officers, di sospetta matrice terroristica.

 

In Thailandia, il Ministero della Comunicazione ha chiesto di ritirare 149 video nei quali si insultava la monarchia. Google ha quindi provveduto a limitare del 70% la visione di questi video.

 

Le richieste ufficiali della Turchia riguardano fondamentalmente i video su Mustafa Kemal Atatürk e Google è intervenuta rendendo in questo Paese inaccessibili alcuni clip.

 

“Ci rendiamo conto che le nostre cifre non rappresentano che un piccolo spaccato di ciò che avviene nel web in generale”, ha detto la Chou, “ma speriamo che sostenendo la trasparenza su queste informazioni si possa contribuire al dibattito pubblico su come il governo cerca di orientare il web”.

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