Italia
Formazione, archiviazione e restauro, produzione, attività editoriale e bibliotecaria, queste sono alcune delle principali attività di una istituzione prestigiosa come il Centro Sperimentale di Cinematografia, ma che hanno senso solo se tenute insieme da una spinta unificante e fondativa, identificata da due parole chiave: ricerca e innovazione.
Soltanto se animate da una interna spinta alla sperimentazione (iscritta nel nome stesso del Centro) che le varie attività possono essere sottratte al loro esercizio autonomo e distinto che si esaurisce, nel migliore dei casi, nell’esecuzione corretta di un compito. Troppo poco per la massima istituzione formativa italiana di ambito cinematografico e che per il suo proprio profilo potrebbe permettere di ripensare profondamente che cosa significa formare, e formare dei professionisti del cinema in Italia.
La vocazione pratica della scuola è proprio il banco di prova per pensare come una formazione pratica diventa tanto più importante, originale e caratterizzante, quanto è integrata in un insieme di attività e di discorsi a carattere storico, teorico, filologico che le danno corpo e anima.
Non sono solo apparecchiature e docenti che fanno la differenza (non è su questo che si batte la concorrenza: i luoghi di formazione del cinema in Italia sono diverse centinaia, come si è evidenziato da una recente ricerca Prin di alcune università italiane), ma è il fatto che tutto ciò si svolge in un luogo che porta con sé una storia antica fatta da una fitta rete di scambi fra pratiche e discorsi, docenti ed allievi, archiviazione ed esposizione, ideazione e produzione, come i due nomi fondativi del Centro, Chiarini e Barbaro, testimoniano.
Allora, questa tradizione del Centro di cui restano tracce attive è quella che colloca la ricerca sui linguaggi, sulle forme, sui dispositivi, sulle tecnologie, anche quella digitale, al suo centro. La storia del Centro non è scindibile per esempio dalla storia della sua rivista, “Bianco & Nero”, la cui importanza è data proprio dall’aver saputo rappresentare la sede primaria di un innesto fertile, e in molti momenti unico, fra pratiche e discorsi, fra il fare cinema e il pensarlo, tra l’apertura al nuovo e il senso di appartenenza ad una tradizione.
E questo innesto che va riattivato, è questa rete che va rialimentata, e per fare questo è necessario un cambiamento: valorizzare le esperienze e le competenze specifiche, presenti per esempio nell’università italiana, che in questi anni ha dato segni importanti di vitalità e di innovazione nell’ambito della formazione e della ricerca (è del tutto condivisibile su questo il documento della Consulta Universitaria del Cinema).
Collocare il Centro nel vivo di un tessuto di relazioni (che in questi anni sono mancate), non solo con il mondo della produzione, ma anche con quello della formazione e della ricerca, e dunque anche con l’università.
Solo facendo rete tra istituzioni di alta formazione, solo lavorando su innesti e scambi di esperienze, non subordinando totalmente la formazione alla professione, l’archivio alla filologia, la ricerca all’astrattezza teorica, la produzione al mercato, solo facendo questo possiamo dare nuova linfa alla formazione del cinema in Italia, e far acquisire al Centro Sperimentale di Cinematografia una centralità che in questi anni si è andata smarrendo.
Per maggiori informazioni:
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