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I vertici di Google, accusati dall’industria dei media di far ben poco contro la pirateria, si difendono e parlano di difficoltà giuridiche, e non tecniche, nel gestire una situazione che resta alquanto complessa.
Nell’ambito della Conferenza annuale organizzata dal sito di informazioni All Things Digital, che s’è chiusa ieri a Palos Verdes in California, Ari Emanuel, CEO di una delle più note agenzie cinematografiche di Hollywood, la William Morris Endeavor, ha incolpato gli operatore via cavo e Google, per i video di YouTube, di ‘consentire’ il furto di materiali protetti da diritto d’autore.
“Voi avete il potere di fermare il furto dei contenuti, così come lo avete per bloccare la diffusione di programmi pedopornografici“, ha detto Emanuel.
“E’ un paragone ingiusto”, ha, però, replicato Susan Wojcicki, Senior Vice President di Google per la pubblicità.
La manager ha spiegato che quando ci si trova davanti a video pedopornografici, non si ha alcun dubbio sul loro contenuto. Diversa è la situazione per i programmi protetti da copyright, per i quali l’azienda non può sempre essere a conoscenza di chi ne possiede i diritti, specie quando sono gli utenti stessi che li rielaborano per poi postarli in rete.
Emanuel, ha dichiarato senza mezzi termini la Wojcicki, è “malinformato, molto malinformato”.
“Google sta facendo tutto il possibile“, per lottare contro la pirateria, in particolare rendendo disponibile un sistema di riconoscimento dei contenuti che permette ai titolari dei diritti di sfruttare la loro distribuzione o richiedere la rimozione dei video in questione.
“E’ un problema di gestione, dove la tecnologia non c’entra nulla”, ha sottolineato la manager di Google.
Per la Wojcicki non spetta quindi a Google verificare i diritti su ogni contenuto, ma a chi opera sul mercato della cultura, che è in una posizione privilegiata per risolvere questo tipo di problemi.
Questo acceso confronto evidenzia la questione di fondo che sta intorno alla pirateria. Ricordiamo che negli Stati Uniti le due proposte di legge, SOPA e PIPA, si sono arenate dopo la forte mobilitazione della web community, ma anche grazie all’incisiva azione di lobbying esercitata da grosse compagnie, come Google, appunto, o Wikipedia, Facebook, Twitter, Yahoo! ed eBay (Leggi Articolo Key4biz).
Un testo che, invece, aveva il forte appoggio dell’industria cinematografica e discografica e della Camera di Commercio americana.
La scorsa settimana, poi, Google ha presentato l’ultimo Report sulla Trasparenza, dal quale emerge che le violazioni del diritto d’autore sono una delle principali cause della rimozione dei link dai risultati di ricerca del suo motore (Leggi Articolo Key4biz).
Fred von Lohmann, Senior Copyright Counsel, sul blog ufficiale dell’azienda, ha spiegato: “Non vogliamo che i nostri risultati di ricerca conducano gli utenti a dei posti nella rete dove vengono infranti i diritti d’autore”.
Ma è davvero così?
Per Enzo Mazza, presidente di FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana), la Federazione di Confindustria che raggruppa le principali aziende discografiche italiane, questo Rapporto dimostra che “il colosso di Mountain View fa in realtà ben poco e soprattutto rende il contrasto al fenomeno molto complicato per i titolari dei diritti” (Leggi Articolo Key4biz).
Più precisamente, ha dichiarato Enzo Mazza a Key4biz, “Il meccanismo di rimozione posto in essere da Google è strutturato in modo molto abile per rendere complicato e burocratico l’invio di diffide, disincentivando l’attività di contrasto al fenomeno”.
“Spesso – ha aggiunto il presidente FIMI – ci vogliono settimane per ottenere la rimozione di un link da blogspot. Questo è molto grave se consideriamo che Google spende tanto del proprio tempo nel dimostrare che l’uso dei propri servizi favorisce le PMI, semplificandone il lavoro. In questo caso il motore di ricerca fa esattamente l’opposto”.
Brad Buckles, executive vice president, Anti-Piracy, della RIAA (Recording Industry Association of America), potente associazione americana dell’industria discografica, ha incalzato: basta effettuare una ricerca su Google, digitando il nome di un artista e il termine ‘Mp3‘, per rendersi conto che la maggior parte dei primi risultati indirizzano gli utenti verso siti che offrono materiale illegale.
E purtroppo la stessa cosa avviene quando si cercano contenuti popolari seguiti dalle parole “free download“.
Accuse non condivise da Google. Un portavoce della compagnia ha dichiarato a Key4biz: “Non abbiamo mai imposto limiti numerici al numero di segnalazioni DMCA che possono essere effettuate da un detentore di diritti. Ci sono casomai dei meccanismi di salvaguardia di natura tecnica per il programma di trusted partner, che hanno solo l’obiettivo di prevenire il rischio che il sistema venga accidentalmente sommerso di segnalazioni, in quanto all’interno di questo programma potrebbero essere utilizzati sistemi automatici per effettuare grandi volumi di segnalazioni.”
ATTENZIONE:
Sono disponibili impianti di connessione a internet via satellite, destinati a uffici pubblici e imprese.
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