Stati Uniti
L’Agenzia americana per la sicurezza nazionale (NSA) non è obbligata a rivelare la natura dei propri legami con Google, atti a proteggere l’azienda di Mountain View da eventuali cyber attacchi.
È quanto ha stabilito la Corte d’appello di Washington, sottolineando che lo statuto speciale dell’Agenzia – incaricata della sicurezza in ambito nazionale – permetterà di mantenere il segreto sull’intesa stretta nel 2010 col gigante californiano.
“Ogni notizia relativa al rapporto tra Google e la NSA rivelerebbe informazioni secretate”, ha sentenziato il giudice Janice Rogers Brown in risposta alla richiesta avanzata dall’associazione Electronic Privacy Information Center (EPIC), secondo cui questi accordi dovrebbero essere resi pubblici in nome del diritto dei cittadini di sapere se sono sottoposti a sorveglianza.
L’accordo fra Google e la NSA fa seguito agli attacchi informatici subiti da diversi militanti cinesi a gennaio 2010, attraverso il loro account Gmail (Leggi articolo Key4biz).
Per proteggere i suoi utenti, quindi, la società aveva fatto ricorso ai servizi della NSA per individuare i punti deboli di Google, valutare il grado di complessità degli attacchi e determinare se le difese messe in atto dalla società fossero adeguate.
Ma la notizia dell’alleanza, riportata dai principali quotidiani americani, non ha mancato di inquietare le associazioni a tutela della privacy, che temono un’ulteriore escalation dei controlli ‘segreti’ del governo sulle attività online dei cittadini.
Controlli che potrebbero addirittura essere agevolati da molte web company, da Facebook a eBay, che secondo quanto riportato dal diversi organi di stampa lascerebbero una porta aperta nei loro sistemi di sicurezza proprio per facilitare le operazioni di monitoraggio da parte delle agenzie governative a caccia di criminali e terroristi.
Che l’avvento dei nuovi strumenti di comunicazione digitale – dalla messaggistica istantanea ai social network – abbia reso più difficile le indagini della polizia sui presunti criminali, è un dato di fatto, denunciato dall’FBI già nel 2008. Un fenomeno che, secondo il Fedaral Bureau, pone forti rischi per la sicurezza nazionale.
Per questo, sarebbe allo studio una proposta di legge che obbligherebbe social network, fornitori di servizi di posta elettronica, VoIP e messaggistica istantanea di lasciare una ‘porta d’accesso’ ai loro sistemi per consentire alle forze dell’ordine di effettuare indagini e intercettazioni più agevolmente.
La proposta estenderebbe anche alle comunicazioni elettroniche la portata di una legge del 1994, il Calea Act (Communications Assistance for Law Enforcement Act) che già prevede che gli operatori tlc lascino delle backdoor di sorveglianza per consentire alle autorità il controllo delle linee telefoniche.
Una bozza di questo progetto di legge circolava già dal 2006, quando in base a una sentenza della corte d’appello di Washington, anche i fornitori di accesso ai servizi internet tradizionali, a banda larga, via satellite e via cavo nonchè i fornitori come Vonage, avrebbero dovuto assumere un atteggiamento definito “wiretap friendly” e, dunque, mettere in atto tutti gli strumenti tecnologici per consentire all’FBI di intercettare le chiamate di potenziali terroristi.
La proposta non è mai andata in porto a fronte della forte resistenza non solo degli attivisti per la privacy, ma anche delle stesse web company che hanno opposto problemi tecnici e logistici.