Italia
La modalità con cui si consumano i contenuti televisivi è ormai mutata. Il proliferare di dispositivi mobili web-based, come smartphone e tablet, sta spingendo sempre più utenti a orientarsi su una fruizione personalizzata.
Siamo passati dal prime time al my time, ha indicato Flavia Barca, responsabile dell’Istituto di Economia dei Media della Fondazione Rosselli, commentando al Corriere Economia gli ultimi trend che vedono i telespettatori statunitensi allontanarsi dal piccolo schermo al contrario di quanto sta, invece, avvenendo in Italia.
Tra metà marzo e metà aprile le principali reti televisive USA hanno registrato perdite di teleutenti nel prime time (dalle ore 20.30 alle 22.30) che variano dal 3% della NBC al 21% della ABC.
Più precisamente, gli americani dedicano mediamente 33 ore settimanali alla televisione, ma per 150 milioni di loro lo schermo preferito è quello del computer.
Per gli analisti la situazione è allarmante: gli USA erano l’unica tra le grandi economie a non aver ancora registrato un calo dell’audience.
A questo bisogna, poi, aggiungere che sono sempre di più gli americani che non guardano più uno spettacolo quando viene trasmesso in Tv, ma comodamente quando vogliono loro, grazie ai DVR (Digital Video Recording), provocando gravi danni al mercato pubblicitario, perché si sa che chi usa questi registratori solitamente salta gli spot commerciali, che rappresentano il principale sostentamento dell’industria televisiva.
L’Italia non sta ancora vivendo questa fase che, comunque, molto presto ci riguarderà. La sfida futura, ha indicato la Barca, sarà probabilmente vinta da un prodotto ibrido, tra pc e televisione, che permetterà di selezionare che cosa più interessa rendendola visibile in qualsiasi momento. Una televisione liquida, sempre più su misura.
Per la Barca, negli USA è ormai giunta a maturazione la fase di passaggio verso la fruizione multiscreen dello spettacolo televisivo.
Come? Gli americani vedono sul pc o sul tablet i programmi che vogliono, quando vogliono e spesso su piattaforme sagomate su esigenze personali come Netflix.
Diversamente in Italia, stando ai dati elaborati dalla Fondazione Rosselli su rilevazioni dell’Auditel, dal 2006 al 2010 i telespettatori hanno mediamente dedicato 20 minuti in più al giorno alla televisione, passando da 238 a 258 minuti, ben oltre le quattro ore.
Nello stesso periodo nel prime time si è registrato un numero considerevolmente superiore di telespettatori: erano 24,4 milioni nel 2006, sono diventati 25,1 milioni cinque anni dopo, con un incremento medio di 700 mila spettatori.
“La platea aumenta – ha evidenziato Flavia Barca – ma il pubblico viene spalmato su un numero superiore di canali e la fruizione è frammentata, personalizzata”.
Ne hanno risentito soprattutto i principali broadcaster italiani come Rai e Mediaset che hanno perso pubblico per via della migrazione dei telespettatori sui canali del digitale terrestre e della pay-Tv satellitare Sky.
Gli utenti sono disposti a pagare per avere contenuti di qualità specie se si tratta di cinema e sport. Questi fanno il successo delle Tv a pagamento.
La chiave del prime time resta la fiction, le produzioni originali, che però negli ultimi anni hanno subito la crisi.
Sono strumento di pregio e fidelizzazione del brand, ma ce ne sono sempre meno e concentrate nelle fasce di maggior visione, perché costano molto.
Nel 2011, l’Italia s’è distinta come primo mercato Tv europeo per l’importazione di fiction americane, come rileva un recente studio di tre società londinesi: Essential Television Statistics, Madigan Cluff e Digital Tv Research.
Lo scorso anno gli americani hanno fornito il 63% (1.192 ore) di fiction in prima serata all’Italia, che ha importato in totale 10.668 ore.
Le entrate pubblicitarie generate dalla fiction importata sono arrivate a 873 milioni di euro, con un incremento di 31 milioni rispetto all’anno precedente.