Google: lo ‘split’ azionario sotto scrutinio. Volontà di mantenere il controllo o paura per un futuro sempre più ‘mobile’?

di Alessandra Talarico |

Il dibattito, all’indomani dell’annuncio dello split, verte sulla capacità di mantenere il successo in un’epoca in cui la ricerca diventasse una parte meno importante della web experience. Le autorità Usa già pronte a intervenire?

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Larry Page

Google ha chiuso il primo trimestre con un utile netto di 2,9 miliardi di dollari, in crescita del 61%, e ha annunciato, per la prima volta nella sua storia, uno split azionario, ossia la creazione di una nuova classe di azioni senza diritto di voto che saranno distribuite agli azionisti esistenti sottoforma di dividendo.

Una decisione a sorpresa che, come hanno spiegato i cofondatori Larry Page e Sergey Brin in una lunga lettera, nasce dalla necessità di “preservare la struttura azionaria che ha consentito alla società di restare concentrata sul lungo periodo”, ma che non ha mancato di mettere in allerta le Autorità Usa le quali temono – secondo quanto riferito da Bloomberg – che l’operazione possa tagliare fuori gli azionisti.

 

La struttura corporate di Google, che dà ai fondatori la maggioranza dei diritti di voto e permette loro di esercitare una forte influenza sulle strategie, è stata imitata anche da altre web company come Zynga e Facebook.

L’operazione sul capitale – approvata all’unanimità dal Consiglio e che ha l’effetto di congelare i diritti di voto degli azionisti esistenti – è stata annunciata subito dopo il completamento del primo anno di gestione Page e mentre Google si prepara a prendere il controllo di Motorola Mobility per 12,5 miliardi di euro. Dovrà comunque essere sottoposta al vaglio dell’assemblea annuale degli azionisti il prossimo 21 giugno. Anche se si escludono problemi riguardo l’approvazione perchè Page, Brin ed Eric Schmidt detengono la maggioranza dei diritti di voto.

 

Secondo gli analisti, tuttavia, la decisione di effettuare il cosiddetto split azionario va oltre la necessità di mantenere il controllo sull’azienda.

Gli osservatori si chiedono infatti quale impatto avrà sul business dell’azienda la forte concorrenza nel segmento dei device mobili e la crescita del mercato tablet che sta ridisegnando il panorama tecnologico.

 

La stessa acquisizione di Motorola, che dovrebbe essere conclusa entro il primo semestre, solleva preoccupazioni riguardo la capacità di gestire un business, quello dell’hardware, in cui Google non ha alcuna esperienza e che, per di più, presenta margini di profitto sensibilmente minori rispetto alla pubblicità.

 

Pur non soffermandosi sul deal Motorola, nella conference call successiva alla presentazione dei risultati, Larry Page ha difeso la strategia incentrata sugli obiettivi di lungo termine, citando il successo delle ‘scommesse’ della società su prodotti come Android – diventato il sistema operativo mobile più diffuso –  Google+ (arrivato a 170 milioni di utenti) e YouTube.

 

Il modo migliore per continuare a massimizzare queste opportunità – ha detto Page – è “…mantenere la speciale struttura che conferisce a me e Sergey Brin il 56,7% dei diritti di voto”.

“Investendo in Google, state piazzando una scommessa a lungo termine sul team, specialmente su me e Sergey e sul nostro approccio innovativo”, ha aggiunto.

 

Tornando nello specifico ai risultati, i ricavi netti hanno segnato una crescita del 24% a 10,65 miliardi di dollari (eps a 10,08 dollari per azione). Tolte le commissioni versate ai siti partner, i ricavi si attestano a 8,14 miliardi, appena sotto gli 8,15 miliardi attesi dagli analisti.

Il costo di ogni “click” pubblicitario effettuato negli Usa è aumentato del 39% rispetto al 2011 e del 7% sul trimestre precedente. Il costo medio pagato dai pubblicitari per ogni click è invece sceso del 12% anno su anno e del 6% sul trimestre precedente.

 

“La questione – sottolinea però l’analista Ben Schachter di Macquarie Research – non riguarda tanto i numeri del trimestre, quanto le strategie a un livello più alto”.

 

Sono in molti infatti a temere che la transizione da un business Pc centrico a uno incentrato sul mobile possa trovare Google impreparato. Il gruppo, certo, ha messo a segno un colpaccio con Android, attualmente il sistema operativo mobile più usato, ma è pure vero che Android è un sistema gratuito e che il grosso dei profitti arriva sempre dalla pubblicità  e il secondo calo consecutivo trimestrale del costo medio ‘per click’, evidentemente, è un segnale preoccupante per la compagnia, tanto da spingere il responsabile finanziario Patrick Pichette a correre a rassicurare gli analisti sottolineando che “il business è sano”.

Page ha quindi spiegato che la quota di mercato nelle ricerche da dispositivi mobili è anche più alta di quella da desktop – e siamo ancora all’alba dell’era della ricerca mobile – e che il cost-per-click della pubblicità mobile sarà maggiore rispetto a quello pagato per i click sulle pubblicità web tradizionali.

 

Il dibattito, all’indomani dell’annuncio dello split, non verte, insomma, su quello che Google sa fare bene – la ricerca – ma sulla capacità di mantenere il successo in un futuro in cui la ricerca diventasse una parte meno importante della web experience.

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