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Facebook-Instagram: bolla o non bolla? Questa volta sono gli smartphone a fare la differenza

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Proprio nel momento in cui il gigante della fotografia Kodak è finito in bancarotta, come può un’app mobile valere 1 miliardo di dollari, tanto quanto Facebook ha pagato Instagram? Non sarà forse una bolla? È quello che si sono chiesti un po’ tutti all’indomani dell’acquisizione da parte del principale social network mondiale, del servizio di photo-sharing che, sì, è molto popolare, ma vale non più di 500 milioni di dollari, non genera utili e ha appena 13 dipendenti.

 

Sono queste le stesse reazioni che si ebbero nel 2006 quando Google sborsò 1,6 miliardi per YouTube che non generava ricavi, aveva uno staff ridottissimo e sembrava sotto scacco per le diverse accuse di violazione di copyright. Anche le reazioni dei molti fan di YouTube, all’epoca, furono decisamente negative, come lo sono state quelle dei molti utenti di Instagram che nel fine settimana hanno cancellato le loro foto dal servizio per protesta.

 

Secondo l’analista Gartner Ray Valdes, ci sono un sacco di buone ragioni che hanno spinto Facebook a comprare Instagram: la visibilità e la qualità del servizio, la fedeltà degli utenti, il valore del brand, il talento dello staff. E per Facebook era anche importante tenere la società fuori dalle grinfie dei rivali, Google in primis che sta cercando di far decollare il suo social network Google+, che conta attualmente circa 100 milioni di utenti contro gli oltre 850 milioni di Facebook.

 

Se, quindi, si tratta di bolla, sarebbe la terza nella storia di Internet, ha spiegato al Guardian Valdes, che pure crede che lo sia e ha indicato nella valutazione da 1 miliardo di dollari “l’indicatore più significativo (di una bolla)”.

La prima iniziò a gonfiarsi con la quotazione di Netscape nel 1995: la società all’epoca almeno aveva registrato un fatturato (20 milioni di dollari nel trimestre in cui sbarcò in Borsa) anche se non generava utili. La quotazione di Netscape generò tutto un fiorire di startups, come pets.com che vendeva cibo per animali online e puntò così in alto da acquistare uno spazio pubblicitario durante il Superbowl del 2000, salvo poi chiudere pochi mesi dopo perchè aveva finito i soldi. L’apice di quella bolla si toccò con la fusione da 164 miliardi di dollari tra AOL e Time Warner: il crollo del mercato, nel 2001, vennero bruciati miliardi di dollari.

 

L’acquisizione di YouTube nel 2006 sancì quindi una tappa sul cammino delle seconda bolla, che raggiunse il suo apice nel febbraio 2008, quando Microsoft mise sul piatto 44,6 miliardi di dollari per acquisire Yahoo! che già allora cominciava a perdere smalto di fronte a neonate stelline come Bebo e MySpace (Facebook si cominciava appena ad affacciare in alcuni network universitari).

I vertici di Yahoo!, all’epoca, erano certi che nel breve periodo la compagnia avrebbe raggiunto un valore più alto, ma pochi mesi dopo anche loro vennero colpiti dalla crisi del credito. Oggi, Yahoo! vale 18 miliardi di dollari, sta per licenziare 2.000 persone e quei vertici sono stati spazzati via.

 

Il settore hi-tech si sta dunque muovendo verso una nuova ‘irrazionale esuberanza’, come la definì all’inizio del nuovo millennio l’ex presidente della Federal reserve Alan Greenspan?

 

Se sì, sottolinea Valdes, ci sono due fattori che differenziano questa nuova bolla dalle precedenti: il primo è il ruolo degli smartphone. Le prime due bolle si sono gonfiate attorno a siti e prodotti incentrati sui Pc: il browser Netscape, le connessioni internet dialup di AOL, il predominio di Yahoo! nel settore della posta elettronica e delle news online.

Ora è lo smartphone a dominare: la maggior parte degli utenti Instagram possiede un iPhone (la versione per gli smartphone Android è stata lanciata poche settimane fa ed è stata scaricata già 5 milioni di volte).

Gli smartphone sono il futuro: il prossimo anno supereranno il Pc diventando lo strumento privilegiato per l’accesso a internet (secondo Gartner, il rapporto sarà 1,82 miliardi vs 1,78 miliardi).

 

Il secondo elemento di differenziazione, strettamente legato al primo, è la crescente importanza dell’elemento ‘social’ nell’uso di computer e prodotti e gli smartphone sono intrinsecamente sociali e permettono oltre che di comunicare con parenti e amici, anche di lavorare.

 

Mark Zuckerberg sa bene che il predominio di Facebook, che al momento è il ‘re’ dei social network, deve fare i conti con l’ascesa del mobile, un segmento sul quale è molto popolare (la metà dei suoi utenti si collega da un device mobile) ma da cui non trae alcun beneficio economico.

Mettere Instagram sotto il suo ombrello è dunque un modo per inserirsi nel futuro social che avanza. Commentando l’acquisizione, Zuckerberg ha sottolineato che è la prima volta che Facebook acquista un prodotto e un’azienda con così tanti utenti “Non abbiamo intenzione di farne molti di più, se non proprio nessuno”, ha scritto.

 

Se con l’IPO Facebook arriverà a valere 100 miliardi di dollari, spendere l’1% del suo valore è quindi un modo intelligente per costruire il futuro.

 

Secondo l’analista Wedbush Michael Pachter, l’acquisto di Instagram non solo elimina un rivale, ma fornisce una tecnologia che sta guadagnando un’enorme trazione.

 

Ma resta ancora la domanda: è una bolla o no? E quando scoppierà? Al prezzo di 1 miliardo, Facebook ha sborsato 33 dollari per ogni utente Instagram. Si tratta di una piccola frazione dei 118 dollari che gli investitori pagheranno per ogni utente Facebook se dopo l’IPO la società varrà 100 miliardi di dollari. Facendo questo paragone, dice Pachter, il prezzo non sembra poi così folle.

 

Il punto centrale, dice ancora Valdes, è che “se anche accettiamo che sia in corso una bolla, non siamo necessariamente al suo apice, che viene raggiunto quando c’è una frenesia diffusa e nessuno scettico”. Al momento, però, c’è molto scetticismo, sottolinea l’analista, spiegando che “quando c’è unanimità di opinione, è allora che l’apice è stato raggiunto. Ma al di fuori di internet e del mondo mobile c’è un’economia globale molto sobria”.

 

Certo, è difficile credere che un’app la cui funzione è semplicemente quella di modificare i colori di una foto e condividerla – e che sparirebbe se andasse via la corrente – possa valere qualcosa figuriamoci 1 miliardo di dollari. Restiamo dunque in attesa dell’apice della bolla e della sua esplosione.

 

Facebook, intanto, prevede di sbarcare in Borsa tra il 17 e il 24 maggio, sempre se la SEC non decidesse di posticipare la quotazione proprio in virtù della necessaria valutazione dell’acquisizione di Instagram.

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