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L’Italia non attira gli investimenti digitali per via dei ritardi accumulati nel campo dell’istruzione e delle innovazioni, oltre che di un potere politico che non accelera sulle iniziative che potrebbero far decollare il nostro Paese.
Situazione che fa finire l’Italia al 48° posto della classifica mondiale contenuta nel Report “The Global Information Technology Report 2012: Living in a Hyperconnected World“ del World Economic Forum (Wef), della società di consulenza globale Booz & Co e della Business School Insead.
Una valutazione a livello globale di 142 Stati su condizioni infrastrutturali e competenze umane necessarie a fornire tecnologie informatiche e di comunicazione oltre che internet.
I Paesi al vertice della classifica del Networked Readiness Index (NRI), indice adottato dal World Economic Forum per misurare la propensione dei Paesi a sfruttare le opportunità offerte dalle tecnologie ICT, sono Svezia (5,94), Singapore (5,86) e Finlandia (5,81). Italia in 48a posizione con il 4,17, ultima al 142° posto Haiti con 2,27.
Il Networked Readiness Index è un indice composito mediante cui si esaminano i singoli paesi in rapporto all’uso delle ICT sotto tre aspetti: contesto generale economico, normativo e infrastrutturale per le ICT; grado di preparazione di individui, imprese e pubblica amministrazione a utilizzare le ICT e a trarne vantaggio; effettivo uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione più avanzate da parte di questi tre soggetti chiave (stakeholders).
Ma anche prendendo in considerazione il solo raffronto europeo, l’Italia si colloca appena al 26° posto, preceduta addirittura da Paesi come Croazia (4,22) e Montenegro (4,22).
Nel Report si legge che l’Italia presenta un profilo simile a quelli di Portogallo (33° posto con 4,63) e Spagna (38° posto con 4,54), con un paio di peculiarità che hanno relegato il Paese in tale posizione. Oltre alla prestazione inferiore sui sistemi dell’istruzione e dell’innovazione, la prima caratteristica particolare del caso italiano riguarda il funzionamento debole dell’ambiente politico e regolamentare (85° nella graduatoria), che ostacola il funzionamento complessivo dell’economia. La seconda caratteristica particolare, è quella che il Governo è chiaramente in ritardo nello sforzo di spingere le tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni per aumentare la competitività (113° posto).
L’Italia ha, quindi, bisogno di recuperare terreno, perché un buon uso delle tecnologie ICT e informatiche significa anche essere più competitivi sui mercati internazionali.
Lo chiede anche la Ue che con la Digital Agenda fissando una serie di impegni che l’Italia dovrebbe avviare con il decreto che il Ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, presenterà entro il prossimo giugno.
Ma sarà sufficiente per colmare il gap che ci divide dal resto d’Europa e del mondo?
Cesare Mainardi, CEO di Booz & Co, nella prefazione al Report scrive che nel 2001, quando il WEF ha pubblicato il primo Global Information and Technology Report, era appena scoppiata la bolla delle dot-com, c’erano meno di 20 milioni di utenti di telefonia mobile in tutta l’Africa e la linea di Apple era limitata solo ai computer Mac.
Le previsioni sul futuro impiego delle tecnologie ICT per la crescita globale della società e del mercato erano molto ottimistiche.
Oggi sono 500 milioni gli abbonati in Africa e Apple è la più grande società al mondo per capitalizzazione di mercato con la produzione di iPhone, iPod e iPad, oltre che di Mac.
Nonostante i progressi realizzati, commenta Mainardi, solo oggi si comincia a sentire l’impatto della digitalizzazione e di tecnologie ICT smart e connesse, con l’adozione di massa di consumatori, aziende e governi.
Per Mainardi, “il successo nel mondo della digitalizzazione – dove i concorrenti da Shenzhen a Schengen possono apparentemente emergere da un giorno all’altro -richiede che i decisori politici e i leader delle aziende tornino al ‘tavolo da disegno’ per identificare e costruire le capacità ‘giuste per vincere’ nelle rispettive sfere d’influenza”.
“Le nostre ricerche più recenti – continua il CEO di Booz & Co – mostrano che la digitalizzazione moltiplica l’impatto della connettività, creando un sostanziale incremento di valore non solo in termini di creazione di lavoro e di crescita economica, ma di benessere della società e trasparenza del Governo”.
Per i politici la sfida della digitalizzazione, secondo il rapporto, oramai non passa più solo dall’assicurare l’accesso a internet e alle tecnologie digitali, ma nel fare sì che tali strumenti vengano effettivamente utilizzati in un’ottica organizzata. Negli ultimi anni, infatti, la proliferazione delle nuove tecnologie è stata sostanziale: il numero di personal computer utilizzati nel mondo è passato dai 100 milioni del 1990 agli 1,4 miliardi del 2010 con i telefoni portatili che nello stesso lasso di tempo sono schizzati da 10 milioni a oltre 5 miliardi di unità e gli utenti internet che sono passati da 3 milioni a 2 miliardi. Per dare una prospettiva più concreta, solo vent’anni fa c’erano tanti utenti internet quanto gli abitanti di Madrid, mentre oggi gli utenti online equivalgono all’intera popolazione asiatica.
“I politici – si legge ancora nel Report – hanno un ruolo importante nell’assicurarsi che i rispettivi Paesi stiano procedendo verso gli stadi avanzati della digitalizzazione e devono riconoscere dove attualmente si collocano, riconoscendo i benefici di tale processo”.
Ma devono anche “spostare la loro attenzione dall’accesso alle reti per mettere in moto programmi e progetti che puntino all’adozione e utilizzo diffusi della tecnologia. E ciò include la digitalizzazione dell’agenda nazionale, inclusa la sistematica pianificazione e monitoraggio dei loro sforzi, l’evoluzione della struttura del governo e l’adozione di una prospettiva a ecosistema; attivazione della concorrenza e stimolo della domanda”.
Booz & Co crede nel potere della digitalizzazione per aiutare a risolvere le sfide economiche e sociali di domani: “La digitalizzazione consente alle persone con buone idee di collegarsi tra loro in modo efficace ed efficiente per apprendere da successi e fallimenti gli uni dagli altri per costruire soluzioni scalabili e capacità durevoli”.
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