Italia
Il mercato delle telecomunicazioni in Italia, secondo dati Assinform, ha perso nel 2011 il 2,7% di valore nel suo complesso, portandosi a 20,1 miliardi di euro sommando tutti i suoi comparti: apparati, terminali, servizi per rete fissa e mobile. Un dato negativo che consente di comprendere immediatamente la condizione di sofferenza in cui grava il settore oggi costretto a competere con players operanti in segmenti tradizionalmente diversi, ma che la società dell’informazione ha aggregato e posto in concorrenza.
Un mercato che il convegno “Telecomunicazioni: Infrastrutture, Mercato e Consumatori“, promosso dal Consumers’ Forum e che si è svolto stamattina a Roma, ha consentito di conoscere meglio approfondendo temi di stretta attualità attraverso il contributo di esperti, associazioni, accademici, operatori e rappresentanti dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom). Come ha sottolineato nel suo intervento di apertura il presidente di Consumers’ Forum, Sergio Veroli: “L’obiettivo di questo appuntamento è mettere sul tavolo gli argomenti chiave per lo sviluppo futuro delle telecomunicazioni in Italia, a partire dall’Agenda Digitale, dalle reti a banda ultralarga, dalla regolazione dei rapporti tra operatori Tlc e Over-the-Top, dalla tutela specifica dei diritti dei consumatori“.
Punti salienti di un percorso che è in continua ed imprevedibile evoluzione, in cui il Governo italiano ha la possibilità di intervenire, nei prossimi mesi, con il recepimento delle direttive europee 136 e 140 del 2009. In esse, ha ricordato Veroli, torna centrale il digital divide: “Inteso non solo come mancanza di infrastrutture al servizio del cittadino, ma anche come problema economico di una famiglia che non può permettersi in termini di costi l’accesso alla rete“. D’altronde il Consumers’ Forum, dal 1999, ha come obiettivo la facilitazione del dialogo tra imprese e consumatori, cercando con ogni mezzo di promuovere le politiche a favore di un consumo più giusto e tese a migliorare la qualità della vita dei cittadini.
Cittadini consumatori e imprese che si trovano assieme, in questo momento storico particolarmente critico, a dover affrontare una condizione di arretratezza davvero rilevante nei confronti dei partner europei, sia da un punto di vista della qualità e della gamma dei servizi, sia da un punto di vista competitivo. “In tale contesto – ha ricordato Raffaele Barberio, direttore di Key4biz e moderatore del convegno – appare fondamentale agire in termini di realizzazione dell’Agenda Digitale nel nostro Paese che da troppo tempo è in fase di stallo e che invece dovrebbe velocemente supportare la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in chiave di sviluppo economico, di posti di lavoro e di rinnovata competitività delle nostre aziende in Europa e nel mondo“.
Una sfida, ha spiegato Fabio Bassan, professore di Diritto dell’Unione Europea presso l’Università di Roma Tre, che “difficilmente le nostre aziende riusciranno ad affrontare da sole in un mercato in cui gli OTT si muovono più velocemente e riescono ad incidere maggiormente in termini di modelli di business, perché entrambi, telcos e OTT, si trovano a lavorare sulla stessa rete, solo che i primi hanno investito e continuano a farlo per mantenerla, i secondi invece non hanno intenzione di condividere tali oneri“. In tal senso, le direttive 136 e 140 del 2009 sopra citate, all’interno delle quali si affermano con più enfasi le garanzie per i consumatori attraverso il rafforzamento della sicurezza e dell’integrità delle reti e dei servizi, potrebbero divenire anche strumenti per riequilibrare il rapporto tra operatori i diversi players grazie al lavoro delle autorità nazionali di regolamentazione.
Queste devono sostanzialmente assicurare che le imprese che forniscono reti pubbliche di comunicazioni, o servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico, siano in grado di fornire le informazioni necessarie per valutare la sicurezza e l’integrità del servizio, in particolare i documenti relativi alle politiche di sicurezza; nonché di sottostare a verifica da parte di un organismo qualificato o dall’autorità nazionale competente mettendo a disposizione i risultati. Un riequilibrio che poi in definitiva deve essere finanziario, visto che le telcos hanno sostenuto delle spese ingenti per tirare su le infrastrutture e gli OTT oggi ne usufruiscono in maniera sostanzialmente gratuita. Le direttive possono essere utili proprio in tal senso, individuando il modo in cui gli OTT possono contribuire al mantenimento e al rafforzamento delle reti, anche in un’ottica di servizio universale che include l’accesso a internet ultra veloce. Riguardo alle direttive sopra menzionate, Bassan ha inoltre spiegato che nell’Agenda Digitale internet e il suo accesso sono considerati un diritto e un servizio universale, sia su rete fissa che mobile: “Qui gli operatori possono concorrere per la fornitura dei servizi in ambito nazionale e internazionale, potendo contare su risorse pubbliche“.
“La banda larga come principio base da cui partire per riprendere ad investire nella rete è un dato di fatto, ma la disponibilità di banda è legata a due fattori: la domanda di servizi da parte dei consumatori, gli enti pubblici e la business community, e la volontà degli investitori. Davvero c’è così tanta domanda da dover investire subito nell’ultra broadband? In che modo i consumatori accedono alla rete e una volta dentro che cosa fanno davvero? Quali servizi chiedono? A queste domande è facile rispondere nell’immediato – ha spiegato Alessandro Frova, professore di Finanza Aziendale Università Luigi Bocconi – ma molto più difficile cercare di capirne gli sviluppi futuri. Dalla velocità con cui la domanda di banda crescerà nel nostro Paese dipenderà anche il ruolo che gli operatori vorranno avere nell’ammodernare o meno le infrastrutture“.
Reti su cui si è sviluppato quello che Nicola D’Angelo, Commissario Agcom, ha definito nuovo ordine mondiale economico: “Determinato su nuove modalità di produzione e distribuzione di beni e servizi che ha portato alla nascita dei cosiddetti ‘giardini chiusi’, in cui le aziende vendono ai propri clienti contenuti e servizi di varia natura che però sempre più spesso sono di rilevanza pubblica, tanto da chiederci se sia giusto che contenuti ad alto valore culturale e sociale debbano essere offerti a fronte di un pagamento che genera di per sé esclusione“.
Una riflessione sul concetto stesso di cittadinanza democratica oltre che sulle dinamiche di mercato che comunque vedono l’Europa schiacciata tra USA e Asia e che sempre di più necessita di un’Agenda Digitale che sappia sviluppare linee di pensiero più articolate, come nel caso del cloud computing e della disposizione geografica dei data center, o della stessa privacy. L’Europa per questi motivi si è voluta dotare di un’Agenda che consenta di raggiungere traguardi importanti da qui al 2020. Ad ogni Stato membro, Italia compresa, spetta il compito di aderire con un’Agenda Digitale Nazionale. Per noi significa affrontare ritardi strutturali e colmare il digital divide. “C’è da stabilire la grandezza di tale divario e dello stesso digital divide – ha dichiarato D’Angelo – cercando di realizzare un catasto delle infrastrutture esistenti, migliorando le condizioni di accesso alla rete e penando il modo di realizzare una New Generation Network“.
Proprio gli operatori di telecomunicazione sono stati i protagonisti del secondo Panel del convegno, arricchito dalle associazioni dei consumatori e dall’intervento di esperti del settori. Secondo Rosario Trefiletti, presidente Federconsumatori, “a stimolare la domanda di servizi è sempre l’offerta del mercato e il diritto universale di accesso alla rete a sua volta garantisce la qualità dei servizi“. Di parere divergente Francesco Nonno, responsabile Antitrust e Tutela del Consumatore di Telecom Italia, che vede la domanda di servizi legata al tipo di consumo che l’utente fa degli stessi, una volta fatto l’accesso a internet: “L’accessibilità è un tema sia regolatorio, sia culturale; le reti ci sono già volendo, ma il consumatore non sembra esigere più banda o servizi particolarmente avanzati, motivo per cui le aziende non sono invogliate ad investire ulteriormente se l’uso che si fa della rete è piuttosto di basso profilo“. Un problema che riguarda più che altro la rete fissa, visto che quella mobile continua addirittura a crescere, nonostante una penetrazione del 150% sul territorio. Per invertire il trend del mercato della rete fissa, ha spiegato Cecilia Lugato, responsabile Consumer affairs di Vodafone: “Si deve investire in NGN ma con un modello di costo più sostenibile ed equilibrato che consenta di superare le asimmetrie di mercato tra operatori di rete e OTT“. Una situazione che non solo danneggia il mercato, ha ribadito Massimo La Rovere, responsabile Regulatory and Antitrust Affairs di Wind, ma che ci pone di fronte anche ad altri problemi, “relativi alla mancanza di un’industria manifatturiera italiana e alla perdita di competitività per scarsa innovazione tecnologica“,
Più indulgente verso gli OTT è stato invece Stefano Maruzzi, autore del libro “La fine dell’era del buon senso“, che ha spiegato alla sala il ruolo positivo che gli Over the Top hanno nel mercato delle comunicazioni elettroniche e dei servizi digitali: “I grandi data center dislocati in giro per il mondo hanno bisogno di connettività, che viene fornita dagli operatori ad un determinato costo, e di un certo numero di occupati; così come i fulfillment center che occupano migliaia di persone“. OTT che quindi producono ricchezza e la ridistribuiscono, perché Apple o Google sono state capaci di generare nuovi modelli di business che poi possono essere replicati anche se in piccolo, implementando la quantità e la qualità dell’offerta di mercato, fenomeno che poi, ha affermato Maruzzi, a sua volta stimola nuova domanda di mercato.
Ma allora, quale sarà il vero valore economico del broadband o dell’ultra broadband? La sfida, sempre secondo Maruzzi è tutta qui, cercare di capire quali siano le grandi opportunità per le aziende nell’investire ora in tali infrastrutture nonostante non si veda nell’immediato la convenienza economica. Un dilemma, più che una sfida, perché di soldi ne servono molti per ammodernare la rete e proseguire sulla strada dell’innovazione. In conclusione di convegno, Nicola D’Angelo ha cercato comunque di tracciare la strada da seguire, pur tra difficoltà di ogni genere, anche politiche, che il Paese deve saper superare: “Non c’è altro modo per vincere la concorrenza internazionale che investire in innovazione tecnologica e mantenere alti li livello di competitività delle nostre aziende, che devono tornare a parlare di NGN, strumento fondamentale per lo sviluppo del Paese e del suo mercato interno, dove i venture capitalist devono trovare il coraggio di scommettere sulle start up“. Un panorama in continua evoluzione che necessità al più presto, secondo D’Angelo, di inteventi non più rimandabili, per fare in modo che l’Italia non perda le occasioni di crescita che la società dell’informazione offre al mondo delle imprese e alla Pubblica Amministrazione, e sintetizzabili in alcuni punti chiave: cultura e formazione digitale, promuovere il sistema delle transazioni online, promuovere moneta elettronica ed ecommerce, realizzare reti di nuova generazione o NGN, favorire la circolazione di beni e servizi digitali in mabiente concorrenziale, ridurre il digital divide, rendere le tecnologie e le reti socialmente inclusive.