Italia
Le recenti vicende relative alla pubblicazione di un parere sui principi giuridici costituzionali che vanno applicati nell’emanazione di un regolamento promanante dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni in materia di tutela del diritto d’autore online, non sorprendentemente, hanno agitato molti degli esperti sostenitori delle c.d. “libertà digitali“, i quali temono che l’opinione di un presidente della Corte Costituzionale possa avallare l’emanazione di un atto che per oltre due anni è stato progettato e coltivato, prima dai consulenti[1] e poi dal Presidente, dai Commissari e dai dirigenti dell’AGCOM[2], nell’intento di adottare nel nostro Paese una procedura di Notice &Take-Down, già prevista dalla Direttiva 2000/31/CE[3] sul commercio elettronico.
Circa il fondamento dei poteri dell’AGCOM ad emanare il provvedimento in questione, avevamo da tempo espresso la nostra motivata opinione,[4] non senza ricordare l’art. 10 della L. 177 del 31 luglio 2005 che conferisce specifici poteri all’Authority in questione, poteri successivamente confermati avuto riguardo alla materia della tutela del diritto d’autore dall’art. 32-bis del Decreto Romani (D.Lgsl. 44/2010), norme tutte che il Prof. Onida ha ampiamente e convincentemente analizzato nel proprio approfondito lavoro. Il ragionamento svolto in detto parere appare poi assolutamente in linea con la giurisprudenza italiana e comunitaria più recenti in materia di misure volte ad impedire la commissione di violazioni derivanti dalla abusiva messa a disposizione del pubblico di opere protette.
A tale stregua, infatti, appare del tutto fuori luogo il richiamo fatto da taluni alla sentenza resa dalla Corte di Giustizia UE nel caso SABAM[5], la quale ha deciso nel merito di una fattispecie in cui erano stati imposti ai service providers dei sistemi di “filtraggio” dei contenuti, che nulla hanno a che vedere con il procedimento di rimozione dei contenuti illeciti dai siti cui fa riferimento il Regolamento studiato da AGCOM. Infatti, il filtraggio chiesto da SABAM è stato dichiarato illegittimo dalla Corte in quanto esso risultava essere eccessivamente oneroso ai sensi dell’art. 3 n. 1 della Direttiva 2004/48/CE, richiedendo l’analisi da parte degli ISP dei contenuti trasmessi in Rete, nonché la raccolta e la identificazione degli indirizzi IP dei medesimi, relativamente: a) a tutti gli utenti indistintamente; b) a titolo preventivo; c) a totale costo degli ISP; d) senza limiti di tempo. Sono queste quattro le condizioni concomitanti che la Corte ha rigettato con la sentenza C-70/10, senza peraltro escludere che sistemi di filtraggio aventi connotazioni meno stringenti possano essere adottati, purché in conformità ai valori della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Totalmente diverso dal “filtraggio” è, quindi, la attività di blocco dei siti (c.d. site blocking) riguardante in particolare, la applicabilità delle misure di disconnessione dei siti posti all’estero, attraverso il blocco congiunto di IP e DNS. Poiché è ovvio che la pirateria è un problema universale che va a toccare gli interessi economici di soggetti che si possono trovare in Paesi maggiormente evoluti rispetto a quelli ove le attività illecite hanno origine, un intervento dell’Authority volto a disabilitare l’accesso a teli siti sembra inevitabile per adeguatamente combattere la piaga delle violazioni online, atteso che l’adozione di questa procedura non colpirebbe in alcun caso gli utenti finali ma solamente i siti che mettono sistematicamente a disposizione del pubblico opere protette senza il consenso degli aventi diritto.
Coerente con un ordinamento giuridico che impone la tutela dei diritti d’autore on-line, vanno brevemente ricordate due decisioni delle corti inglesi, emesse lo scorso anno, nei casi Newzbin 1[6] e Newzbin 2[7], le quali hanno ingiunto alla società inglese Newzbin, che si dichiarava essere una mera search engine a disposizione degli utenti, di cessare la propria offerta di film di proprietà delle case cinematografiche attrici, dal momento che detta attività costituiva una violazione dei diritti d’autore.
Le due sentenze in argomento, pongono un interessante principio secondo cui perché via sia “effettiva conoscenza” dell’attività illecita che avviene tramite un service provider non è necessaria la conoscenza di specifici atti di violazione commessi da determinati soggetti, ma è sufficiente che egli sia a conoscenza di alcuni di essi: maggiore è la quantità di informazioni di cui l’ISP dispone circa le violazioni commesse, maggiore è la sua responsabilità. Inoltre, la High Court of Chancery Division, ha statuito che il diritto alla libertà di espressione previsto dall’art. 10(2) della Convenzione Universale sui Diritti dell’Uomo, non è violato dalla imposizione di un site blocking, laddove tale misura restrittiva sia necessaria, proporzionata e stabilita dalla legge.
I Tribunali francesi si sono anch’essi occupati della medesima materia: la sentenza resa dalla I Sezione Civile della Corte di Cassazione francese il 14 gennaio 2010 presenta alcuni spunti peculiari circa l’interpretazione delle norme vigenti oltralpe in materia di responsabilità dei fornitori di servizi on-line, ma – soprattutto – dimostra che vi è assoluta coerenza fra le linee tracciate da precedenti o coevi giudicati italiani e francesi circa la natura di tale responsabilità determinata sulla base delle modalità con cui l’azione degli ISP si atteggia e si estrinseca di volta in volta. Nel caso di specie, gli editori francesi Dargaud Lombard e Lucky Comics, proprietari dei diritti rispettivamente de “Le avventure di Blake e Mortimer: il segreto dello spadone” e “Lucky Luke: la stella quotidiana“, hanno adito le vie legali lamentando che la società Tiscali Media (ora Telecom Italia) aveva ospitato la pagina personale di un internauta sul proprio sito e che lo stesso utente vi aveva pubblicato le strisce comiche di loro proprietà, senza il consenso dei titolari dei diritti. Inoltre, il sito web in questione aveva permesso l’inserimento di pubblicità a pagamento sullo spazio concesso in uso all’utente, pubblicità di cui l’ISP Tiscali Media conservava la gestione.
La decisione della Cassazione francese, che conferma la sentenza della Corte d’Appello di Parigi del 7 giugno 2006[8], senza che in questa sede entriamo nell’esame dello specifico contenuto delle norme interne applicabili, stabilisce che un internet service provider non possa fare valere i principi della Direttiva e-commerce applicabili ai meri fornitori di servizi di “hosting”, qualora egli agisca in qualità di “editore”, non limitandosi alla semplice attività di memorizzazione prevista dalla legge, e giungendo sino a gestire la raccolta della pubblicità per il sito. Come sopra asserito, i giudici francesi hanno adottato una linea conforme a quella da tempo scelta dai Tribunali italiani e, segnatamente, dalle Sezioni Specializzate IP di Roma. Con le ordinanze RTI/Google, tale Tribunale ha sottolineato infatti che la normativa italiana in materia di responsabilità degli internet service provider, in base al D. Lgsl. 70/2003 di attuazione della Direttiva 2000/31/CE, va interpretata caso per caso e, pur in assenza di un obbligo per gli ISP stessi di monitorare le attività degli utenti sulla rete, i medesimi sono assoggettati a responsabilità ogniqualvolta non si limitino a fornire la connessione, ma aggiungano a ciò ulteriori servizi (caching, hosting), ovvero organizzino ed indicizzino le informazioni, ovvero ancora – se a conoscenza della presenza di materiale sospetto sui propri siti – non ne verifichino il contenuto illecito o, a conoscenza di una attività illegale, omettano di intervenire.
Alla luce di quanto sopra brevemente illustrato, il 16 dicembre 2009, il Tribunale di Roma ha accolto le istanze di RTI e ha concesso l’ordine di inibitoria delle attività illecitamente poste in essere per il tramite dei siti Internet di YouTube, bloccando così la pubblicazione de “Il Grande Fratello” in tale ambito[9]. Contro questa ordinanza i due noti service provider hanno proposto reclamo al Collegio, il quale si è pronunciato in data 12 febbraio 2010, con una ordinanza di rigetto dell’impugnativa a piena conferma del precedente provvedimento emesso dal Tribunale di Roma. Tale successiva e più recente ordinanza, sembra rafforzare ulteriormente il principio della tutela del diritto d’autore on-line con opportune e maggiori puntualizzazioni rispetto a quanto stabilito nella prima decisione, dal momento che in esso viene stabilito il principio secondo cui “la circostanza che YouTube e Google svolgano attività di Internet Service Provider, e cioè servizio di “hosting”, consistente nell’offrire ai propri utenti una piattaforma attraverso la quale conservare e rendere disponibili al pubblico contenuti audio e video e quindi memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, non esclude l’illiceità della condotta lamentata“.
Un ultimo aspetto che merita di essere qui brevemente tratteggiato è quello che va toccare l’adozione di provvedimenti di blocco dei siti che sono stati adottati da enti che, pur non avendo ricevuto l’investitura ampia e risalente nel tempo dell’AGCOM in materia di violazioni on-line, hanno comunque assunto ed esercitato poteri di rimozione e di disabilitazione dell’accesso ai siti internet, nei confronti dei contravventori delle disposizioni vigenti, che si sono rivelati efficaci per fronteggiare violazioni che assumono anch’esse valenza di interesse pubblico.
Il riferimento è fatto all’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) avuto riguardo al gioco illegale on-line cui è consentito, in base ad un Decreto Direttoriale AAMS del 2 gennaio 2007 (n. 1034/CGV) di rimuovere, in caso di offerta, attraverso rete telematica, di giochi, lotterie, scommesse o concorsi pronostici ecc., i contenuti illeciti stessi. L’AAMS attua la rimozione di detti siti tramite la risoluzione dei DNS che è stata preventivamente concordata dall’amministrazione stessa con gli ISP. Il contenuto della comunicazione inviata dall’AAMS agli ISP ha natura cogente ed obbliga questi ultimi alla rimozione dei siti illeciti.[10]
Altrettanto interessante, quanto l’azione della AAMS, è il recentissimo caso (6 marzo 2012, Provv. 23349) deciso dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con cui tale Authority ha disposto, applicando direttamente l’art. 14, comma 3, l’art. 15, comma 2 e l’articolo 16, comma 3, del D.Lgsl. 70/2003 – di cui ci siamo sopra occupati – “che i soggetti di cui alle norme citate che rendono accessibile l’indirizzo IP 78.109.87.200 cui corrispondono i seguenti nomi a dominio (… omissis …) impediscano l’accesso ai corrispondenti siti web da parte degli utenti mediante richieste di connessione alla rete internet provenienti dal territorio italiano“.
Nulla di più di ciò che potrebbe già fare l’AGCOM in base ai poteri che le conferisce la legge.
Concludendo, nell’ambito delle notizie dell’ultima ora, possiamo annunciare che, mentre gli sviluppi della materia della tutela delle opere on-line nel nostro Paese, attraversa una fase di prudenza ed attenzione da parte delle nostre istituzioni (o almeno da parte di alcune di esse), altrove si annunciano radicali mutamenti[11]. Il CEO della Recording Industry Association of America (RIAA) Cary Sherman, recentemente intervenuto nel corso del convegno annuale degli editori statunitensi ha dichiarato che i principali ISP del paese sarebbero ormai pronti a dare avvio ad un meccanismo graduale di protezione del diritto d’autore (graduate response) attraverso l’attuazione di Copyright Alerts simili agli avvisi di violazione del copyright istituiti in Francia con l’HADOPI. La procedura prevede una graduale e progressiva intensificazione dei richiami verso gli utenti che pongano in essere condotte illecite, passando dai semplici inviti alla cessazione delle violazioni, sino a provvedimenti di disabilitazione dell’accesso alla rete telematica.
_____________________________________________________________
[3] Art. 14, paragrafo 3 della Direttiva 2000/31/CE http://www.interlex.it/testi/00_31ce.htm
[4] Diritto d’autore: la Consultazione pubblica dell’Agcom relativa alle competenze dell’Authority
[5] http://www.leggioggi.it/allegati/sentenza-corte-ue-terza-sezione-24-novembre-2011/
[7] http://www.bailii.org/ew/cases/EWHC/Ch/2011/1981.html
[8] A propria volta scaturita dall’impugnazione della decisione di primo grado resa il 16 febbraio 2005 dal Tribunale Regionale di Parigi.
[10] Vedi L. 266/2005 Art. comma 535 e seguenti