Unione Europea
La discussione sul diritto d’autore si sta facendo in Italia molto animata, in vista della prossima audizione in Senato del presidente Agcom Corrado Calabrò e della successiva adozione da parte dell’Autorità del regolamento in materia di pirateria online.
A riguardo pubblichiamo un contributo di Portolano Colella Cavallo Studio Legale, in merito alla sentenza della Corte di Giustizia Ue sul caso Sabam-Netlog.
La Corte di Giustizia dell’Ue con decisione del 16 febbraio 2012 nella causa C- 360/10 (Belgische Vereniging van Auteurs, Componisten en Uitgevers CVBA -SABAM- contro Netlog NV) è tornata a occuparsi dei profili di responsabilità degli internet service provider ed, in particolare, dei gestori di siti di social networking, nella loro qualità di hosting provider, in relazione alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale di terze parti attuate attraverso la condivisione non autorizzata sulle piattaforme gestite dai provider di contenuti coperti da diritti di privativa.
In particolare, la decisione che si segnala è stata originata dall’iniziativa giudiziaria intrapresa dalla Sabam, collecting society belga, volta ad ottenere l’applicazione di un filtro sui contenuti ospitati dalla piattaforma di social networking gestita da Netlog, hosting provider convenuto nel giudizio insorto in Belgio. Tale sistema di filtraggio risultava diretto ad identificare i contenuti di proprietà degli associati della Sabam veicolati sul social network in questione al fine di inibirne, in via preventiva, la circolazione tra gli utenti della piattaforma stessa.
La causa principale presentava dei profili di indubbia somiglianza con un altro contenzioso avviato sempre in Belgio dalla stessa società di gestione collettiva dei diritti d’autore quella volta nei confronti di un access provider (scarlet Extended Ltd) che aveva condotto alla decisione della Corte di Giustizia del 24 novembre scorso nella causa C-70/10 (Belgische Vereniging van Auteurs, Componisten en Uitgevers CVBA – SABAM contro Scarlet Extended SA).
La Corte di Giustizia ha avuto, quindi, l’occasione di confermare il proprio orientamento contrario all’applicazione di tali tipologie di filtri al fine di offrire una protezione avanzata ai diritti di proprietà intellettuale in rete vagliando, in particolare, la posizione degli hosting provider in relazione alla richiesta di applicazione dei suddetti filtri.
In proposito, i giudici di Lussemburgo hanno ricordato come dal framework legislativo comunitario emerga la necessità di assicurare che gli organi giurisdizionali degli Stati membri siano messi nelle condizioni di poter adottare provvedimenti nei confronti degli internet service provider, secondo le rispettive norme nazionali, che risultino idonei a contribuire in maniera effettiva a porre fine alle violazioni commesse in rete in danno dei titolari dei diritti di proprietà intellettuale. Almeno in linea di principio, gli organi giurisdizionali dei paesi membri devono avere la possibilità di ingiungere l’adozione di misure anche di carattere preventivo che siano idonee, in quanto tali, ad evitare nuove violazioni dei diritti in questione.
Tali misure, tuttavia, così come ricorda la Corte, devono risultare eque, proporzionate e non eccessivamente onerose.
Le misure adottabili al fine di proteggere i diritti di proprietà intellettuale devono risultare altresì conformi, così come sottolinea la Corte nel proseguo della decisione, tanto con il rispetto dovuto ai diritti fondamentali degli utenti della rete internet (privacy e libertà d’espressione su tutti) quanto con la necessità di assicurare ai provider la possibilità di offrire i propri servizi, in linea con la regolamentazione comunitaria dettata in materia dalla direttiva 2000/31/CE.
Sotto tale profilo la Corte ha ricordato come da un lato, l’art. 15 della direttiva 2000/31/CE escluda che gli internet service provider, e dunque anche gli hosting provider, siano tenuti ad un obbligo di generale di controllo sulle informazioni veicolate o ospitate attraverso i propri servizi, e sotto altro e concorrente profilo, se fosse ammissibile imporre a tali soggetti l’adozione a proprie spese delle tipologie di filtri al traffico richiesti dalla collecting society nella causa principale si determinerebbe un’inaccettabile compromissione del libertà di impresa degli hosting provider stessi.
Così all’esito di un articolato percorso argomentativo, in linea con quanto già affermato in relazione agli access provider, la Corte con riferimento agli hosting provider ha chiarito che: “Le direttive: – 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico»); – 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, e – 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, lette in combinato disposto e interpretate alla luce delle esigenze di tutela dei diritti fondamentali applicabili, devono essere interpretate nel senso che ostano all’ingiunzione, rivolta da un giudice nazionale ad un prestatore di servizi di hosting, di predisporre un sistema di filtraggio: – delle informazioni memorizzate sui server di detto prestatore dagli utenti dei suoi servizi; – che si applichi indistintamente nei confronti di tutti questi utenti; – a titolo preventivo; – a spese esclusive del prestatore, e – senza limiti nel tempo, idoneo ad identificare i file elettronici contenenti opere musicali, cinematografiche o audiovisive rispetto alle quali il richiedente il provvedimento di ingiunzione affermi di vantare diritti di proprietà intellettuale, onde bloccare la messa a disposizione del pubblico di dette opere, lesiva del diritto d’autore”.