Diritto d’autore: la Corte Ue dice No ai filtri sui social network. Quali conseguenze per la causa Mediaset vs Google?

di Raffaella Natale |

I social network non possono essere costretti a predisporre sistemi di filtraggio, riguardanti tutti i propri utenti, per prevenire la pirateria di opere audio-video.

Unione Europea


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Una decisione importante quella presa oggi dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, destinata ad avere profonde ripercussioni in materia di internet copyright enforcement.

La Corte ha infatti deciso con la sentenza odierna che il gestore di un social network, come Facebook o Twitter, “non può essere costretto a predisporre un sistema di filtraggio generale, riguardante tutti i suoi utenti, per prevenire l’utilizzo illecito di opere musicali e audiovisive”.

Secondo la Corte, infatti, una simile imposizione non rispetterebbe il divieto di imporre a detto gestore un obbligo generale di sorveglianza, né l’esigenza di garantire il giusto equilibrio tra la tutela del diritto d’autore, da un lato, e la libertà d’impresa, il diritto alla protezione dei dati personali e la libertà di ricevere o comunicare informazioni, dall’altro.

 

Questa causa è scaturita da una controversia che contrapponeva la SABAM, una società belga di gestione dei diritti degli autori, compositori ed editori di opere musicali, alla Netlog NV, che gestisce una rete sociale online su modello di Facebook, dove ogni utente registrato ha un proprio profilo con un proprio spazio dove può pubblicare contenuti che può condividere con altri a livello mondiale.

Secondo la SABAM, Netlog consente altresì agli utenti di utilizzare, tramite il loro profilo, opere musicali e audiovisive del repertorio della SABAM, mettendole a disposizione del pubblico in maniera tale che altri utenti della rete possano avervi accesso, e questo senza l’autorizzazione e senza che venga versato alcun compenso a tale titolo.

 

Il 23 giugno 2009 la SABAM ha fatto notificare a Netlog un atto di citazione dinanzi al presidente del Tribunale di primo grado di Bruxelles, chiedendo, in particolare, l’immediata cessazione di qualsiasi messa a disposizione illecita delle opere musicali o audiovisive del repertorio della SABAM, a pena di una sanzione pecuniaria di 1 000 euro per ogni giorno di ritardo.

Ma a parere di Netlog questo avrebbe significato imporre un obbligo generale di sorveglianza, vietato dalla Direttiva sul commercio elettronico.

In tale contesto, il Tribunale belga si è rivolto alla Corte di giustizia, chiedendo, in sostanza, se il diritto dell’Unione osti all’ingiunzione rivolta da un giudice nazionale a un prestatore di servizi di hosting (quale un gestore di una rete sociale in linea) di predisporre un sistema di filtraggio delle informazioni memorizzate sui suoi server dai suoi utenti, che si applichi indistintamente nei confronti di tutti questi utenti, a titolo preventivo, a sue spese esclusive e senza limiti nel tempo.

 

Secondo la Corte, è pacifico che Netlog memorizza sui propri server informazioni fornite dagli utenti e relative al loro profilo e che, pertanto, è un prestatore di servizi di hosting ai sensi del diritto dell’Unione.

È altresì pacifico che la predisposizione di tale sistema di filtraggio presupporrebbe che il prestatore di servizi di hosting, da un lato, identifichi, all’interno dell’insieme dei file memorizzati sui suoi server da tutti gli utenti, quelli che possono contenere opere su cui i titolari di diritti di proprietà intellettuale affermano di vantare diritti. Dall’altro, il prestatore di servizi di hosting dovrebbe, successivamente, determinare quali dei suddetti file siano memorizzati e messi a disposizione del pubblico in maniera illecita e, infine, bloccare la messa a disposizione dei file che ha considerato illeciti.

 

Questo tipo di sorveglianza preventiva richiederebbe, quindi, un’osservazione attiva dei file memorizzati dagli utenti presso il gestore del social network. Di conseguenza, il sistema di filtraggio imporrebbe a quest’ultimo una sorveglianza generalizzata delle informazioni memorizzate presso il medesimo, vietata dalla Direttiva Ue.

 

La Corte ha, poi, ricordato che è compito delle autorità e dei giudici nazionali garantire un giusto equilibrio tra la tutela del diritto d’autore dei titolari e quella dei diritti fondamentali delle persone su cui incidono tali misure.

Nel caso di specie, l’ingiunzione di predisporre un sistema di filtraggio implicherebbe una sorveglianza, nell’interesse dei titolari di diritti d’autore, sulla totalità o sulla maggior parte delle informazioni memorizzate presso il prestatore di servizi di hosting coinvolto. Tale sorveglianza dovrebbe inoltre essere illimitata nel tempo e riguardare qualsiasi futura violazione e postulerebbe l’obbligo di tutelare non solo opere esistenti, bensì anche opere che non sono state ancora create nel momento in cui viene predisposto detto sistema. Un’ingiunzione di questo genere causerebbe, quindi, una grave violazione della libertà di impresa di Netlog, poiché l’obbligherebbe a predisporre un sistema informatico complesso, costoso, permanente e unicamente a sue spese.

 

Inoltre, gli effetti dell’ingiunzione non si limiterebbero a Netlog, poiché il sistema di filtraggio controverso è idoneo a ledere anche i diritti fondamentali dei suoi utenti, ossia il loro diritto alla tutela dei dati personali e la loro libertà di ricevere o di comunicare informazioni, diritti, questi ultimi, tutelati dagli articoli 8 e 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

 

Di conseguenza, la Corte ha risposto che il giudice nazionale, adottando un’ingiunzione che costringa il prestatore di servizi di hosting a predisporre un simile sistema di filtraggio, non rispetterebbe l’obbligo di garantire un giusto equilibrio tra il diritto di proprietà intellettuale, da un lato, e la libertà di impresa, il diritto alla tutela dei dati personali e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni, dall’altro.

 

L’Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) accoglie con grande soddisfazione la decisione della Corte che conferma, a meno di 3 mesi dall’analogo caso SABAM-Scarlet, che gli ISP non possono essere obbligati a filtrare preventivamente il traffico Internet al fine di individuare contenuti potenzialmente lesivi del copyright. La Corte ha così chiarito, contrariamente a ciò che chiedevano le lobby dei titolari dei diritti d’autore, che tale divieto vale sia per i gestori di piattaforme (social network etc) che per i fornitori di accesso Internet.

 

Il Presidente Paolo Nuti ha dichiarato: “Il caso è chiuso ed è andata molto male a chi voleva imporci di violare le comunicazioni dei nostri clienti, mettendoci impropriamente in testa un berretto da poliziotto se non da magistrato e chiedendoci così di calpestare le libertà fondamentali dei cittadini. Noi siamo operatori di telecomunicazioni, siamo Internet Provider e non vogliamo e non possiamo adempiere a nessun obbligo di sorveglianza sulle attività dei nostri clienti online”.

AIIP si augura che la sentenza della Corte europea sia tenuta nella dovuta considerazione anche in Italia, “dove assistiamo -ha indicato Nuti – a pericolose derive censorie portate avanti con discutibili disegni di legge che appaiono come funghi nelle agende parlamentari e nelle azioni lobbistiche dei titolari dei diritti d’autore e proprietà intellettuale“.

 

Per quanto riguarda l’Italia, il caso Netlog solleva una serie di criticità abbastanza simili ai temi oggetto del controverso emendamento a firma del leghista Gianni Fava, respinto a larga maggioranza dal Parlamento, che avrebbe introdotto la facoltà per “qualunque soggetto interessato”, e non solo per l’autorità pubblica, di richiedere a un fornitore di servizi internet la rimozione di contenuti pubblicati online e ritenuti illeciti dallo stesso soggetto richiedente (Leggi Articolo Key4biz).

E avrà un impatto anche sui procedimenti giudiziari correnti tra Mediaset e YouTube, come sottolinea l’esperto Innocenzo Genna, (Director Euroispa e Rappresentante AIIP a Bruxelles).

“La sentenza – ha dichiarato Genna a Key4biz – è destinata ad avere un impatto enorme in Italia dove vi sono procedimenti pendenti verso social network, in particolare YouTube e Yahoo!, cui era stato chiesto di filtrare e bloccare in anticipo determinati contenuti televisivi e cinematografici”.

 

Ricordiamo infatti che Mediaset ha fatto causa a Google chiedendo 500 milioni di euro di danni, per la diffusione online di contenuti protetti da copyright (quella contro YouTube la già vinta, Leggi Articolo Key4biz).

 

Per Genna, quindi, la sentenza di oggi è di importanza fondamentale per lo sviluppo del Mercato Digitale Europeo, “perché fornisce ora agli operatori Internet una quadro giuridico certo ogniqualvolta il loro business può interferire con diritti di proprietà intellettuale. E’ fondamentale anche per gli utenti, perché riconosce il lodo diritti di scambiare informazioni senza alcun controllo preventivo e nel rispetto della privacy”.

 

Secondo il parere di Fulvio Sarzana, legale esperto di New Media, la sentenza della Corte di Giustizia riafferma i principi già stabiliti nel caso SABAM vs Scarlet, ovvero che “i diritti fondamentali dei cittadini prevalgono a determinate condizioni sui diritti d’autore, soprattutto quando il controllo che i provider dovrebbero esercitare preventivamente appare in grado di violare anche i diritti alla riservatezza del singolo utente” (Leggi Articolo Key4biz).

“La novità della sentenza Netlog – continua Sarzana – risiede però anche nell’attenta analisi che la Corte fa dei diritti di chi si iscrive ai social network, non è infatti ipotizzabile che gli utenti degli stessi social network siano sottoposti ad una sorta di schedatura da parte dello stesso social network al fine di prevenire i reati legati al diritto d’autore“.

Secondo Sarzana però quest’ultima affermazione seppure importante non deve far dimenticare che le maggiori violazioni della privacy sembrano avvenire proprio ad opera dei titolari dei social network nel trattare i dati dei propri utenti, aspetto che non è stato tuttavia affrontato dalla Corte.

“Il tema dei filtri – conclude Sarzana – sembra essere oramai definitivamente tramontato ed anche i titolari dei diritti preferiscono agire successivamente sulle piattaforme pirata piuttosto che imporre filtri preventivi. Alla luce di queste pronunce appaiono sempre meno sostenibili, a mio avviso, i modelli di tutela preventiva”.

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