Italia
Nel 2010 il mercato ICT e Media ha generato nel suo insieme un valore di poco superiore ai 95 miliardi di euro (6% del Pil) in lieve flessione rispetto al 2009 (-0,9%).
E’ quanto emerge dal 14° Rapporto IEM sull’Industria della Comunicazione, presentato a Roma nei giorni scorsi nell’ambito del Summit organizzato dalla Fondazione Rosselli.
Due i temi principali trattati nel Rapporto: le difficoltà dei segmenti dell’industria della Comunicazione colpiti dalla crisi economica e dalle trasformazioni dei modelli di consumo; l’affermazione di Internet e dei servizi “sopra la rete” che scompaginano assetti consolidati della filiera dell’ICT.
Stando ai dati del Report, si è arrestata l’emorragia registrata nel biennio precedente ma le prime stime (dati parziali) indicano un nuovo peggioramento (-2,8% sul 2010) connesso alla frenata degli investimenti pubblicitari e alla contrazione della domanda di beni e servizi.
Tra i settori in crescita:
- La pubblicità su Internet galoppa a doppia cifra (+21,8%) così come gli incassi cinematografici (+16,4%) trainati da un forte prodotto domestico;
- Radio (+9,4%) e tv (+4,1%) rientrano in territorio positivo dopo la flessione del 2009;
- Positivo anche l’andamento della pubblicità below the line (+2,8%) mentre risulta stazionario il settore librario (+0,3%).
Tra i settori con segno negativo:
- Home video (-10,6%), musica (-9,7%) e directory (-7,5%) risentono più di altri della concorrenza della rete e dell’offerta sempre più ampia di contenuti free;
- Più contenute le perdite degli altri segmenti a contenuto editoriale – quotidiani -1,2%, periodici -2,3% , videogiochi -2,4%) che stentano tuttavia a trovare nuovi modelli di business;
- Nel macro segmento ICT, recupera l’informatica (-1,4%) dopo il brusco calo del 2009 mentre le tlc continuano a perdere terreno (fisse -2,7%, mobili – 3,2%).
Le stime 2011 indicano, fatta eccezione per la pubblicità online (incluso mobile advertising), un arretramento per tutti i segmenti in linea con l’andamento economico generale. Videogiochi, radio, quotidiani, musica, home video e cinema registrano flessioni variabili dal 6 al 15 %.
Quasi tutti i segmenti “tradizionali” pagano il calo degli investimenti pubblicitari e soffrono la concorrenza della rete.
Si conferma il gap del nostro Paese nei confronti degli altri big europei. Fra i segmenti posti a confronto, nel 2010 l’Italia è leader solo nella pubblicità televisiva ma conquista posizioni nei settori cinema e radio nei confronti della Spagna e Regno Unito (solo radio).
Secondo la Fondazione Rosselli le sfide future poggiano su 4 driver di sviluppo: upgrade infrastrutturale; proprietà intellettuale; produzione contenuti; formazione.
In particolare:
- L’Agenda digitale deve porre al centro della policy lo sviluppo della banda larga che, però, poggia inevitabilmente su una strategia di stimolo della domanda e una riflessione sulle simmetrie regolamentari tra attori del sistema;
- Le politiche di sostegno pubblico devono premiare i contenuti editoriali di qualità e l’innovazione, stimolando l’afflusso di capitali privati (leva fiscale); occorre anche un ripensamento della normative che disciplinano gli obblighi di investimento in produzione e programmazione;
- La tutela del copyright va combinata con una offerta legale ampia e diversificata, politiche di prezzo eque, incentivi allo sviluppo e alla circolazione dei contenuti audiovisivi;
- Vanno infine messi in campo piani di alfabetizzazione, campagne di promozione per l’educazione ai media; azioni di formazione qualificata per stimolare nuova occupazione.
L’innovazione digitale che, in questo momento storico, è in grado di generare maggiore valore economico e maggiore valore di brand, e che incide in tempo reale sui processi economici e sociali mondiali, è un’innovazione “fuori dalle reti” e che quindi, per tradizione, non nasce in Europa ma negli Usa o in altri sistemi economici emergenti.
Un’innovazione potremmo dire “sopra la rete”, e difatti l’acronimo con il quale vengono spesso identificati soggetti come YouTube, Apple, Google o Facebook è “OTT“, over the top, che include tutti quei fornitori di servizi sulla rete Internet che sono soggetti terzi e indipendenti dai provider di connettività.
Lo scontro è tra sistemi contrapposti, un sistema europeo TLC-centric e un sistema Usa OTT-centric.
Da una parte i nuovi servizi “sopra la rete”
- Portatori di innovazione e creatività, di cultura ed economics immateriali, teatro di ridefinizione e ricontrattazione dei modelli sociali e dell’identità personale, con un fortissimo posizionamento del brand e modelli di business fortemente competitivi e che si vanno consolidando
- In grado di capitalizzare il valore su scala globale indipendentemente dal flusso degli investimenti: l’elasticità tra costi e ricavi è infatti molto elevata nei costi legati all’innovazione, ma l’economia di scala fa si che non ci siano – quasi – costi per utente aggiuntivo, se non quelli legati al marketing e all’attività di lobby nei paesi coperti dal servizio. I costi legati all’uso dell’infrastruttura sono, invece, meno incidenti.
Dall’altra le telcos e tutti gli altri attori ad alto livello di “materialità”
- Poco cool e molto connotati (sia nel brand che nell’organizzazione aziendale) dalla propria origine di monopolio statale o comunque dalla propria natura primigenia di public utility;
- Questi soggetti, relativamente al proprio core business, capitalizzano “solo” il valore della propria rete, la quale richiede elevati investimenti di costruzione, gestione e innovazione, e per le quali il costo di un utente aggiuntivo è spesso estremamente incidente.
Il mercato delle Tlc, dopo la grande crescita generata dalle liberalizzazioni degli anni ’90, dall’avvento delle telefonia mobile e dalla diffusione della banda larga, vive dal 2007 una fase di stagnazione e arretramento.
- Le tlc fisse risultano in perdita dal 2006, le tlc mobili dal 2008;
Il successo degli application store (in particolare Apple e Google) ha impattato decisamente sul mercato mobile:
* diminuisce il valore del mercato complessivo di contenuti e applicazioni mobili(-27%)
* gli operatori telco si concentrano sulla fornitura di connettività (+50%)
Si delinea quindi uno scenario dove il flusso dei ricavi e quello degli investimenti costituiscono due vettori scollegati tra loro. Il rischio è quello di un forte trasferimento di ricchezza tra Unione Europea e Nord America con un effetto sostanziale sulla divisione internazionale del lavoro.
Ma perché in Europa non nascono servizi sopra la rete in grado di competere con i big mondiali (Apple, Amazon etc)? E perché le telcos europee non riescono a posizionarsi in modo significativo nel business degli OTT?
Le ragioni solo molteplici, e l’Osservatorio della Fondazione Rosselli intende aprire un percorso che faccia maggior luce su questo tema, laddove riteniamo che queste problematiche abbiano un impatto sostanziale sulla politica industriale del Paese e dell’area euro.
Qualche riflessione può essere però qui anticipata.
Si rileva un’asimmetria normativa secondo la quale gli operatori OTT possono scegliere secondo quale legislazione e tassazione operare mentre gli operatori telco nazionali sono costretti in qualche modo a farvi i conti (si pensi alla sicurezza delle comunicazioni, agli obblighi di privacy e alla disintermediazione tra rete fisica e relativo posizionamento geografico e fornitura del servizio).
Il punto nodale del business è la conoscenza dettagliata dell’utente finale, cioè quella mole di informazioni che lo riguardano (dalla profilazione dei suoi gusti, ai suoi amici etc) che operatori (OTT o TLC o broadcaster pay che siano) acquisiscono all’attivazione dell’abbonamento o dell’accesso al servizio e arricchiscono nel corso della “relazione” con l’utente.
La gestione di questi dati fortemente sensibili è strettamente regolata in Europa (o meglio relativamente alle aziende europee) mentre lo è molto meno negli Usa, e questo “gap” regolatorio viene capitalizzato dagli OTT oltreoceano.
Questo è il punto nodale. Il mercato di Internet è costruito di fatto intorno al controllo delle informazioni riguardanti gli utenti e quindi coincide con un processo di privatizzazione della conoscenza collettiva.
Da questo discendono tutte le questioni che l’Osservatorio OTT andrà ad esaminare nei prossimi mesi.
- Come può l’Europa favorire la nascita di imprese europee competitive con gli OTT?
- E’ corretto intraprendere una politica industriale “protezionistica” di supporto dei campioni nazionali/europei?
- La strada è abbassare l’asticella normativa per tutti o alzarla per tutti?
- Come proteggere la libertà e la globalizzazione dei flussi e delle scelte di informazione (l’utente di internet non giudica più concepibile il mancato accesso ad un servizio disponibile ad es. negli Usa, perché la rete ha educato la popolazione mondiale ad un concetto di libertà e internazionalizzazione mai visti prima) salvaguardando al contempo le economie locali?
Chi riuscirà ad adattare e ad interpretare i futuri flussi informativi sarà il vincitore della contesa per gli anni a venire. L’internet del futuro, in un’ottica di evoluzione che volge all’interazione e prossimamente all’incorporamento degli oggetti, sembra avere bisogno sempre più di standard condivisi e il Cloud computing apre prospettive enormi da questo punto di vista. Innovazione e catena del valore vanno storicamente di pari passo con le integrazioni verticali da un lato e la diffusione di piattaforme e standard condivisi da un altro.
L’ultimo grande successo europeo è relativo al Gsm, uno standard vincente che ha reso gli operatori europei leader nelle comunicazioni mobili grazie ad un approccio coordinato. Occorre rilanciare un circolo virtuoso interno, un mercato unico digitale e politiche d’innovazione condivise.
In ogni caso, sembra doveroso perseguire strategie chiare e nette per superare una fase di incertezza decisionale che oscilla tra protezionismo e liberismo rischiando di lasciare gli operatori continentali in un vacuum normativo e strategico.
Nel corso del Summit sono stati presentati i risultati di TNS Digital Life, uno studio globale sui comportamenti degli internauti in 60 Paesi (70mila interviste). Per l’Italia emerge una fotografia di un Paese molto vivace: 4 internauti su 5 sono online tutti i giorni e il tempo medio di utilizzo supera le 20 ore settimanali. La presenza sui social network è sempre più diffusa e in questa attività, che rappresenta ormai un vero e proprio mercato di massa, viene speso circa il 20% del tempo complessivo trascorso in rete. Secondo TNS, la digitalizzazione ha ormai reso internet il media più rilevante, per gli internauti: tre quarti utilizzano la rete quotidianamente, mentre solo la metà guarda quotidianamente la TV.
Tutto questo testimonia che le nuove offerte proposte dagli operatori OTT rispondono a bisogni ampliamente condivisi, in Italia, da un internauta pronto ad apprezzare le offerte proposte da questo tipo di operatori.