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La comunicazione ai tempi del digitale: è più importante comunicare o lasciare tracce?

Italia


E’ più importante comunicare o lasciare tracce?”. Questa è la domanda che il mio professore di storia e filosofia pose alla classe durante una lezione dello scorso anno. In quel momento tra il silenzio e le espressioni insicure dei miei compagni anche io feci fatica a decifrare il contenuto del quesito trovando difficoltosa la connessione tra questi due concetti: COMUNICAZIONE e REGISTRAZIONE.

Oggi alla luce degli studi e delle letture portate a termine per un mio breve intervento durante l’VIII convegno L’Anima nell’Arte tenutosi dal 14 al 16 Dicembre presso l’Abbazia di Grottaferrata (RM), sono riuscito ad ottenere la risposta che un anno fa, non ho saputo darmi durante quella lezione. Il mio intervento ha come argomento la comunicazione nell’era digitale, basato non tanto su una spiegazione teorica di come questa avviene, quanto sul senso che le attribuiamo oggi, al suo nostro utilizzo con qualche riflessione come cornice.

Per comunicazione intendiamo quell’azione che è propria del comunicare, il rendere noto, quindi la diffusione e la condivisione di informazioni, dati, idee e concetti. Da questa parola derivano termini come ‘comunicazione di massa‘ o come vie o mezzi di comunicazione, termini oggi di uso comune il cui significato è, bene o male, noto a tutti. Dal punto di vista etologico per comunicazione si intende quel fenomeno per cui due animali si scambiano più o meno volontariamente delle informazioni. Secondo Leibniz , quindi sul piano filosofico, la comunicazione è il rapporto esistente tra due o più sostanze (1) mentre, guardando verso una posizione più radicale troviamo nel pensiero di Karl Jaspers che tutto ciò che non si realizza nella comunicazione, non esiste (2). Riguardo l’era digitale già dall’attributo con cui la definiamo sappiamo che questa è propria di tutto ciò che riguarda le dita (dal lat. – digitus), ciò che ci passa sotto le mani, dai tasti che sto battendo per scrivere fino agli apparecchi telefonici di prima ed ultima generazione, oggi evidenti protesi delle nostre mani.

Un’analisi di Nicola Zotti (3) spiega che gli effetti dell’innovazione tecnologica sulla comunicazione sono sintetizzabili facilmente in tre punti: In primis grazie all’uso del web per diffondere messaggi, è esplosa la produzione di contenuti, ed anche la loro differenziazione in quanto comunicare è diventato più facile e veloce. Basti pensare che sono state prodotte più informazioni negli ultimi trent’anni rispetto che agli ultimi 5000. A seguire notiamo che con gli anni è cresciuta la concorrenzialità tra le fonti di comunicazione derivante proprio dall’esplosione del numero di ‘comunicanti’ attraverso la rete, questo ha reso noi tutti più selettivi e critici rispetto alle molteplici notizie e informazioni che riceviamo. Un piccolo esempio per capire meglio quante informazioni vengono prodotte. Contiamo che un uomo, per leggere tutte le pubblicazioni di carattere scientifico che in un anno (365 giorni) vengono prodotte, impiegherebbe circa 460 anni, e questa granitica massa di informazioni si raddoppia ogni 15 – 20 anni. Come ultimo punto ma non meno importante, il prof. Zotti evidenzia come si sia ribaltato l’originario schema comunicativo, quello dell’ente attivo che comunica ad un secondo ente passivo che riceve, essendo oggi sia l’uno che l’altro enti attivi e critici. Da questa ricerca traiamo i principali cardini su cui si è sviluppata la rivoluzione della comunicazione in questi ultimi 15-20 anni che sono la FACILITA’ con cui oggi leggiamo, scriviamo e inoltriamo mucchi di contenuti, l’IMMEDIATEZZA con la quale lo facciamo e soprattutto la vasta ACCESSIBILITA’ che distingue questo tipo di comunicazione dalle altre, accessibilità per la quale io, giovane abitante della periferia di Roma, senza grandi spese e impieghi di tempo, posso mettermi in contatto con un mio coetaneo dalla parte opposta del mondo. Sott’inteso il riferimento alla parte del globo che esclude i terzi e quarti mondi, ma in questo la comunicazione non c’entra, essendo il problema un altro.

Uno dei più noti pensatori al mondo di oggi, Zygmunt Bauman, professore di sociologia presso le università di Leeds e Varsavia, ideatore del concetto di modernità liquida, nella quale più o meno volontariamente ci ritroviamo a destreggiarci e districarci, in Amore Liquido (2003, Editori Laterza) l’autore afferma che “i cellulari consentono a chi se ne sta in disparte di tenersi in contatto, e a chi si tiene in contatto di rimanere in disparte“. Questo per dimostrare la natura biunivoca e in un certo senso ambigua di uno strumento comunicativo come il cellulare che, ci permette di evadere una noiosa realtà in cui ci troviamo, mettendoci in contatto con persone a chilometri e chilometri di distanza. Chi di noi, sfortunatamente trovatosi immischiato in una situazione noiosa o spiacevole non lo ha mai fatto? Magari con un sms per condividere la propria voglia d’evasione o con lunghe telefonate che ci fanno riapparire appena prima della tanto attesa conclusione dell’evento. Nello stesso momento però, afferma Bauman, il cellulare ci mette in contatto con chiunque, pur rimanendo fisicamente assenti e distaccati, cosa che per altro può anche fare piacere.

Nel quotidiano io per primo ma sicuramente anche voi, avrete notato in che modo la rivoluzione della comunicazione abbia prepotentemente divaricato gli spazi tra di noi. Un esempio: treno delle 07 e 28 dalla mia città periferica diretto a Roma Termini, per fortuna riesco a trovare un posto a sedere, stretto, tra i pendolari. C’è un grande silenzio, gli unici rumori sono lo sfregarsi dei cappotti lunghi e i timidi ‘permesso?’ di chi cerca un posto a sedere, in compenso però, le due persone sedute davanti a me maneggiano freneticamente il cellulare, l’uomo accanto ha un piccolo computer portatile sulle ginocchia, cuffie inserite, chatta con qualcuno, delle persone che affacciano sui quattro posti a sedere un ragazzo con le cuffie muove veloce le dita sulla tastiera di un iPhone ed una signora chiama il figlio a casa parlando ad alta voce e rompendo il silenzio.

Nessuna comunicazione orizzontale tra le sei persone ritrovatesi casualmente in un spazio ristretto ma, nello stesso tempo altre comunicazioni che partono da quel vagone del treno fino a chissà dove. Comunicazioni dettate da necessità? Sarà perché non ci si conosceva e tra sconosciuti non ci si parla?

Per concludere ci fa notare, Maurizio Ferraris, professore di filosofia teoretica a Torino ed editorialista della Repubblica in Anima e iPad (2011 ed. Guanda), ultima sua pubblicazione in cui correla due apparentemente inconciliabili concetti, quello di anima “la fitta di rimorso che ci avvisa di essere vivi e coscienti” e quello dell’iPad, assoluto tecnologico del momento. Entrambi anima e iPad hanno in comune la scrittura essendo dei blocchi su cui si scrive, si legge e si archivia. E scrittura è sinonimo di memoria, poiché tra lo scrivere ed il ricordarsi qualcosa c’è di mezzo la registrazione, azione spesso inconscia ma utilissima in quanto oggi una delle grande paura dell’uomo ha il nome di Alzheimer, male che porta a perdere la memoria che diventa un problema quando ad essa si allega la perdita del pensiero.

In conclusione posso affermare che non esiste un ‘meglio’, un must tra comunicazione e  registrazione, sono entrambi necessari e propedeutici affinché resti impressa in noi, come una traccia su un terreno, la consapevolezza e la memoria di ogni nostro passo e cosa detta.

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(1)      G. A. Miller, Language and Communication, New York, 1963

(2)      K. Jaspers, Poscritto 1955, in Filosofia

(3)      Nicola Zotti, www.angon.it, La comunicazione nell’era di Internet

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