Pirateria: c’era una volta lo sciopero ovvero, come la Rete ha reagito al blackout contro il SOPA

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo il pezzo a firma della giurista Morena Ragone sullo sciopero delle web company per protesta contro le due proposte di legge antipirateria, SOPA e PIPA, al vaglio del Congresso USA.

Mondo


Morena Ragone

Alla vigilia del proclamato blackout della Rete, pensavo che nelle mie riflessioni avrei parlato delle difficoltà riscontrate nell’accesso alle informazioni, della ‘sopravvivenza’ quotidiana senza i social network, di un mondo digitale diventato improvvisamente irraggiungibile.

Pensavo di ritrovarmi a dire cose troppo dette e lette.

All’indomani del ‘SOPA Blackout’, invece, a alla luce di quello che ho visto – e soprattutto letto – in queste ultime ore, mi interessa soffermarmi a capire come la Rete – compresa la mia personale rete di relazioni, contatti, letture – ha reagito.

Premetto che volutamente eviterò riferimenti a specifici siti o influencer: il mio scopo è semplicemente quello di esprimere un’idea, e di dare spazio all’osservazione di altre idee, partendo da quello che è stato definito come uno ‘sciopero’ della rete.

 

Parlare di sciopero in Italia è parlare di lavoro, lotte sindacali, statuti e manifestazioni di piazza.

In tal caso è successo qualcosa di diverso, qualcosa che ci ha fatto dimenticare per un po’ di essere in un luogo virtuale, ma che di virtuale ha sempre meno.

Alle 14 in punto, ora italiana, è scattato il blackout contro SOPA, la proposta di legge statunitense del deputato Lamar, ormai nota ai più, che rischierebbe – ancora una volta e in maniera ancora più radicale – di imbrigliare la rete, proponendo sanzioni economiche e soluzioni tecniche nei confronti dei siti rei della diffusione non autorizzata, in qualsiasi forma, di materiale protetto.

L’ultimo tweet un minuto prima delle 14: “SOPA blackout. See you soon“, e da quel momento mi sono limitata ad ascoltare.

Ho guardato scorrere la mia TL e, si, lo confesso, ho sperato che si fermasse.

Ma così non è stato: molte delle voci amiche sono sparite, segno della condivisione nel metodo di una battaglia aspra e difficile; altre si sono levate dal coro a sostegno della necessità di informare: giornalisti nello svolgimento dei propri compiti istituzionali, ma anche blogger che hanno continuato a raccontare come ogni giorno, in un momento in cui, forse, più azioni concrete e meno ideologie potrebbero fare la differenza.

 

Doveva essere una simulazione di cosa accadrebbe se la Rete venisse ‘chiusa’, se l’accesso ai siti venisse limitato o interdetto, ma così, almeno qui in Italia, non è stato.

 

Dal mio osservatorio sono riuscita a raggiungere anche Wikipedia in inglese, nonostante la scenografica immagine d’apertura di un web senza colori, in bianco e nero, che si riflette in un vuoto inquietante.

Ma a parte Wikipedia, sempre pronta alle reazioni ‘forti’ – chi non ricorda la serrata contro il comma 29 della cosiddetta ‘legge bavaglio’, il DDL Alfano sulle Intercettazioni, appena pochi mesi fa? – i grandi del web, da Google a Facebook, passando per Twitter, si sono limitati ad esprimere – in modo diversi – il proprio dissenso, ma senza alcuno stop a servizi ed attività, come se fosse un giorno qualunque.

 

Voglio credere che le voci che circolavano da alcuni giorni – probabile rivisitazione della normativa – abbiano viaggiato veloci sulla scia dei bit e che, pertanto, molti abbiano ritenuto ‘non necessario’ levare gli scudi; non posso però, acriticamente ignorare che altri hanno anche ipotizzato motivazioni economiche alla base di tali scelte.

 

Costerebbe troppo ‘chiudere’ per 12 o 24 ore? Meglio, allora, un’adesione solo formale, perché l’importante è portare a casa il risultato?

A mio modesto avviso, non è così, ed è per questo motivo che la Rete ha deluso molte aspettative, compresa la mia.

 

Al di là di come sarà andata, al di là delle statistiche che ci diranno che il traffico web si è ridotto, che il numero dei tweet è diminuito, che ci sarà stata una flessione nel numero delle pagine, visitate, al di là di tutto questo il mio web è esistito come se nulla fosse accaduto.

Se non fossi già convinta di mio della anacronisticità, inopportunità e, da un certo punto di vista, illegittimità di leggi come SOPA e PIPA – l’omologo progetto di legge pendente dinanzi al Senato Usa – oggi non avrei capito né imparato nulla.

Avrei voluto non trovare tutto come sempre; avrei voluto tentare di accedere ad un sito, a qualsiasi sito, e non riuscire a raggiungerlo.

A volte temo che alcune cose si vedano e si sentano troppo lontane da noi, quando invece basterebbe pensare alla transnazionalità della rete per capire che sono qui, ad un  passo da noi.

 

SOPA è una legge statunitense, ma in fondo interessa tutti noi.

 

Possibile che i grandi non se ne sentano seriamente minacciati: grande è la loro forza economica e la possibilità, su questa base, di far sentire la propria voce.

Ma mi pongo dalla parte dei più ‘piccoli’, e penso che, per questi ultimi, leggi come SOPA sono molto pericolose.

Che il copyright vada riformato e che i diritti morali ed economici dei rispettivi titolari debbano essere rispettati: ma per far questo, gli strumenti sono altri rispetto alla sola repressione. Oltretutto, come la notizia di alcune ore fa relativa al sequestro di alcuni noti cyber locker – come Megavideo e Megaupload – mostra, esistono già numerosi strumenti approntati dall’ordinamento a tutela delle opere protette.

Avremo modo di parlarne ancora.

Quello che vorrei evidenziare, ora, è che, proprio per il loro bacino di utenza di milioni di netizen, i grandi del web dovrebbero sostenere con azioni concrete movimenti a difesa della rete che arrivano dal basso.

 

Speriamo, ovviamente, che SOPA venga riformata prima di essere eventualmente  ripresentata – si parla di febbraio – ma speriamo, allo stesso modo, che si cerchino anche altre vie per la tutela della proprietà intellettuale, più aderenti alla realtà dei fenomeni che stiamo vivendo.

E che questo accada nel confronto generale e con il sostegno operativo di tutta la Rete.

Grandi e piccoli.

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