Italia
La Rai ha perso tra il 2006 e il 2010 quasi 260 milioni di euro, nonostante le politiche di forte contenimento dei costi. Il bilancio 2011 è in pareggio ma occorrono altri tagli.
Secondo Repubblica, per far quadrare i conti quest’anno la Rai dovrà trovare il modo di risparmiare altri 112 milioni di euro con interventi decisivi. Nel 2000 le entrate pubblicitarie della tv pubblica erano pari al 60% di quelle di Mediaset, oggi siamo scesi al 40% con 250 milioni di spot andati in fumo dal 2006 al 2010. La Tv pubblica ha inoltre visto calare di molto la sua audience negli ultimi anni. E quasi un italiano su tre non paga il canone che è salito quest’anno a 112 euro.
A far chiarezza sui futuri interventi è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricalà che interviene dopo le dichiarazioni del premier Mario Monti alla trasmissione di Fabio Fazio ‘Che temo che fa’.
Le promesse di Monti hanno sollevato un vespaio di polemiche soprattutto in merito alla possibilità di vendere l’azienda pubblica, ipotesi che condividerebbe solo Fli.
Catricalà ha parlato di riforma della governance o interventi sul canone, ma nessuna ipotesi di privatizzazione che è “di stretta competenza parlamentare“.
“Monti ha voluto distinguere materie di stretta competenza parlamentare da alcune misure di efficientamento”, ha detto il sottosegretario.
“Sulla governance – ha aggiunto – per ottenere maggior efficienza bisogna non dico staccare la Rai dalla politica, che sarebbe una mission impossible, ma creare una soluzione di dirigenza che sia effettivamente manageriale e non abbia troppi cappi politici”. Quanto al canone, per Catricalà serve “pagare meno ma tutti“.
Il pensiero va subito alle ipotesi dell’affidamento dell’azienda pubblica ad un amministratore delegato con poteri più ampi rispetto all’attuale direttore generale e magari anche a un consiglio di amministrazione più snello, approfittando della scadenza imminente dell’attuale Cda (28 marzo). Oggi i consiglieri sono 9, potrebbero diventare 3-4.
Ma l’intervento determinante sarà sulla figura-chiave dell’amministratore delegato chiamato a sostituire la figura del direttore generale. Deve essere un supermanager, un vero capo azienda con margini operativi assoluti, che non prevedano un passaggio settimanale dal vaglio del Cda. E i partiti difficilmente potranno tirarsi indietro. Sia nella proposta di riforma del Pd che nel progetto di legge firmato da Alessio Butti (Pdl) si istituisce la figura dell’amministratore unico.
Il dossier è però ancora tutto da studiare e il premier e ministro del Tesoro, azionista del servizio pubblico, con il ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, competente in materia, potrebbero annunciare entro la prossima settimana le novità.
Fatto sta che il Pdl invita già il governo a non toccare materie di competenza parlamentare, bocciando ogni ipotesi di commissariamento: “Sarebbe assurdo – sottolinea Maurizio Gasparri – ipotizzare commissariamenti di una società per azioni che sta risanando i propri conti”.
Ma quest’ultima possibilità non sembra considerata dal governo. Da Pd, Udc e Idv arrivano aperture nei confronti di una possibile riforma.
Per modificare i criteri di nomina e i poteri del Ceo è sufficiente un disegno di legge di pochi articoli. “In tutti i paesi europei esiste una televisione pubblica – sottolinea Claudio Cappon, ex direttore generale della Rai e oggi vicepresidente dell’Uer, l’unione dei broadcasting continentali -. Anche in Portogallo il progetto di privatizzazione, varato in seguito alla crisi economica, è stato ritirato”.
La riforma della Rai è resa necessaria dalla rapidissima innovazione tecnologica che sta cambiando per sempre i mercati. E’ quello che pensa Flavia Barca, direttore dell’Istituto di Economia e Media della Fondazione Rosselli, che al Corriere della Sera ha commentato: “Col governo Monti abbiamo la prova che questo Paese, quando vuole, sa esprimere personalità di alto livello sganciate dalle logiche di schieramento. Per la Rai bisognerebbe ispirarsi a questo schema: un consiglio snello, formato da professionisti di indubbia competenza e trasparenza, con un direttore generale dotato di ampie deleghe e dunque in grado di avviare una stagione di riforme accompagnata, in parallelo, da una riflessione pubblica sul senso del servizio pubblico“.
Intanto si dimette il sottosegretario Carlo Malinconico, dopo le polemiche scaturite dalla notizia che le sue spese per un soggiorno all’Argentario sono state pagate da Francesco Maria Piscicelli, l’imprenditore al centro dell’inchiesta sugli appalti del post terremoto in Abruzzo.
Stamani Monti ha ricevuto Malinconico a Palazzo Chigi e ascoltato le sue spiegazioni in relazione ai fatti e alle circostanze riportate dalla stampa. Il sottosegretario ha affermato la correttezza della propria condotta ma ha preferito rassegnare le dimissioni dal suo incarico, per poter meglio difendere la propria immagine e onorabilità in tutte le sedi, nonché per salvaguardare la credibilità e l’efficacia dell’azione del governo. Il Presidente del Consiglio, nell’accettare le dimissioni, ha manifestato al sottosegretario Malinconico il suo apprezzamento per il senso di responsabilità dimostrato nell’anteporre l’interesse pubblico ad ogni altra considerazione.