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Yahoo!: e ora? Per gli analisti, essenziale cambiare management e strategie per ‘dimenticare il passato e inventare il futuro’

Stati Uniti


Il licenziamento di Carol Bartz da Yahoo! non pone la società lontano dai guai e mette in evidenza un problema molto familiare ai Ceo delle web company: fare soldi con i contenuti digitali non è facile, anzi, diventa sempre più difficile.

Il traffico internet è in continua crescita, ma le aziende faticano a trarre profitto dagli annunci pubblicitari che compaiono vicino ad articoli, video e altri contenuti offerti agli utenti.

E’ il mercato bellezza, direbbe qualcuno, e ha le sue regole: più informazioni vengono create, più il valore si riduce e, nonostante i tentativi di attrarre gli utenti con pubblicità sofisticate e ‘su misura’, i motori di ricerca restano i principali generatori di profitto, lasciando agli altri player le briciole.

Non è affatto vero, quindi, che il contenuto ‘è re’ perché a fare soldi sono i servizi che puntano ai contenuti, non quelli che li creano, li curano o li aggregano.

Le avverse fortune di grandi gruppi come Yahoo e AOL e il successo di Google e Facebook – che indicano agli utenti la strada verso i contenuti interessanti e pertinenti – ne sono la prova.

E così, come risultato, Yahoo e AOL raccolgono solo le briciole del crescente mercato della pubblicità online, che negli Usa è cresciuto del 20% nel 2011 rispetto al 2010, raggiungendo un valore di circa 31 miliardi di dollari.

La quota di mercato di Yahoo nell’advertising online, secondo recenti previsioni, quest’anno si attesterà all’11% (dal 16,1% del 2009), quella di AOL al 2,7% (dal 4,4%).

Ma la colpa di questo tracollo può essere attribuita solo ai Ceo? Sicuramente no, dal momento che l’attuale situazione è dovuta principalmente a una serie di circostanze esterne, ma anche di passi falsi che vanno al di là dell’attuale gestione, primo fra tutti il non aver compreso per tempo la popolarità dei social network e il non aver adeguato i servizi alla domanda.

Manca, insomma, il valore aggiunto. Spiega Rob Norman, Ceo di GroupM North America che “solo perché hai un sacco, non vuol dire che hai qualcosa che dia un valore diverso da quanto offerto dagli altri”.

Resta il fatto che, in ogni caso, Yahoo! dovrà riguadagnare credibilità agli occhi degli azionisti e degli investitori e che il licenziamento della Bartz non è che il primo passo di un cammino che si preannuncia ostico. Il valore del titolo è passato dai 33 dollari del 2007 a 13,50 dollari.

L’analista JP Morgan Doug Anmuth in una nota ai clienti ha sottolineato che per dare un segnale che si sta facendo sul serio, più che l’allontanamento della Bartz servirà dare uno scossone al board del gruppo “generalmente considerato lento e passivo”.

Per Ben Schachter di Macquarie Securities, anzi, la società è tutt’altro che fuori dai guai. “Penso – ha detto – che il core business sia in forma molto peggiore del previsto. Anche se nessuno ora ne parla, crediamo che le attività legate alla ricerca stiano per affrontare un declino rapido e strutturale”.

Yahoo paga quindi il fatto di non aver elaborato, come invece hanno fatto Google con Android e Microsoft con Bing, un’adeguata strategia mobile.

L’aver licenziato la Bartz non può certo cambiare questo dato di fatto: se c’è un futuro per Yahoo c’è bisogno di una revisione completa e strategica per trasformarsi in un’azienda in grado di dimenticare il passato e inventare il futuro.

Yahoo!, insomma, spiega Schachter, “deve essere onesta con se stessa e cedere tutto ciò che la lega al passato di internet, tenendo gli asset che possono aiutarla a guardare avanti”.

Che si tratti di Yahoo Japan o Alibaba, deve vendere così da diventare attraente agli occhi di private equità come Silver Lake Partners.

Quando questo processo di revisione, anche del management oltre che degli asset, sarà completato, e Yahoo! si sarà liberato delle zavorre, allora la società dovrà effettuare qualche acquisto essenziale per costruire il futuro – c’è chi pensa a Hulu, o a Foursquare e Flipbopard – partendo dal suo patrimonio più importante: gli oltre 600 milioni di persone che ancora credono nella società e la sostengono visitando le sue pagine.

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