Stati Uniti
Il bottone +1, introdotto da Google ad aprile ed equivalente al ‘mi piace’ di Facebook, sarà trasformato in strumento di crowdsourcing che aiuterà a riordinare i risultati di ricerca e a combattere lo spam.
Una mossa che strizza l’occhio ai social network, ma che potrebbe costare alla società in termini di antitrust.
Google, conferma un portavoce, sta studiando i click sul bottone +1 “come segnale che influenza il ranking (la visibilità nei risultati di ricerca) e il posizionamento di un sito nei risultati di ricerca”.
Come per tutti gli altri strumenti di ‘ranking sociale’ sarà valutata “con estrema attenzione e cautela” l’influenza dei click su +1 sulla qualità complessiva della ricerca.
Il piano, tuttavia, potrebbe scontrarsi con il pollice verso delle autorità antitrust americane ed europee che stanno già indagando per appurare se il sito utilizzi la sua posizione dominante nella ricerca per penalizzare i concorrenti e soprattutto i motori verticali.
La società, in realtà, ha minimizzato la portata del progetto, sottolineando che “più di 200 segnali sono già utilizzati per determinare il posizionamento di un sito e lo scorso anno abbiamo apportato più di 500 miglioramenti all’algoritmo”.
Grazie all’opzione +1 è possibile conoscere in tempo reale quante persone, tra cui i nostri amici della lista GMail o di altri servizi Google, hanno sottoscritto e quindi consigliato un determinato contenuto online.
La scorsa settimana il bottone ha debuttato anche su Google+ e può ora essere usato per postare contenuti sul social network, proprio come il mi piace di Facebook.
Il prossimo passo, dunque, sarà quello di riordinare i risultati di ricerca sulla base dei contenuti che gli utenti dimostrano di apprezzare o condividere con più frequenza.
Se, perciò, un sito non integra il bottone +1 sarà penalizzato nei risultati di ricerca? E’ questo l’interrogativo che potrebbe dare il via a un nuovo fronte antitrust, dal momento che i malpensanti potrebbero pensare che Google usa illecitamente il suo popolare motore di ricerca per promuovere il suo social network.
Nei giorni scorsi, intanto, è sbarcato anche in Italia il nuovo algoritmo Panda, voluto da Google per promuovere i siti con contenuti di qualità, ma che non pochi malumori ha creato nella comunità dei blogger.
L’algoritmo è stato ideato per ridurre il ranking dei siti di bassa qualità – ossia i siti che non contengono contenuti di valore aggiunto o che copiano il contenuto di altri siti o ancora siti che semplicemente non risultano troppo utili – e per valorizzare i siti di alta qualità, con contenuti originali e analisi approfondite.
Il vero obiettivo dell’operazione sono i cosiddetti ‘content farm’, ossia i siti che pubblicano migliaia di contenuti al giorno – presi magari da altri siti – con lo scopo di salire in cima ai risultati di ricerca e attrarre investimenti pubblicitari.
Per esempio, ricercando “Paris Hilton arrested whith cocaine”, il motore di ricerca recuperava 190 mila pagine di risposte tutte riportanti lo stesso articolo di MNBC.
I risultati del debutto di Panda non si sono fatti attendere: secondo i dati di Searchmetrics, a guadagnare in Italia sono stati soprattutto portali come YouTube.com (+90%), Twitter.com (+50%), Facebook.com (+20%) e Wikipedia.org (+10%), e i portali dei maggiori quotidiani nazionali come Corriere.it (11%), Ilsole24ore.com (+24%) e Repubblica.it (+34%).
A perdere, invece, siti come Pianetatech.it (-82%), Ilbloggatore.com (-73%), Gekissimo.net (-56%) e Motori.it (-63%).
La lista completa dei vincitori e vinti dopo l’arrivo di Panda.