eCommerce. Le associazioni Ue preoccupate per la direttiva sui Diritti dei Consumatori. ‘Un pericolo per il settore’

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Netcomm e altre associazioni richiamano l'attenzione dei legislatori nazionali ed europei sull’effetto potenzialmente negativo che questa proposta potrebbe avere sull'economia del settore, andando a imporre oneri eccessivi, e sulla scelta dei consumatori.

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Netcomm – Consorzio del Commercio Elettronico Italiano ha promosso e firmato, insieme ad altre Associazioni di rappresentanza del settore in Europa, un appello contro la serie di misure previste nell’ambito di una direttiva sui “Diritti dei Consumatori” approvata lo scorso 24 marzo dal Parlamento Europeo (leggi articolo Key4biz). Provvedimenti che rischiano non solo di minare alla base l’esistenza stessa del settore in Europa ma anche di generare una pericolosa spirale inflazionistica sui prezzi dei prodotti venduti online.
 

“L’industria europea – si legge nell’incipit dell’appello – invita la Commissione europea, il Parlamento e gli Stati Membri a un approccio equilibrato alla direttiva per i diritti dei consumatori”.

Le organizzazioni firmatarie, in rappresentanza di migliaia di aziende presenti sui diversi mercati dell’Unione, desiderano richiamare l’attenzione dei legislatori nazionali ed europei sull’effetto potenzialmente negativo che questa proposta potrebbe avere sull’economia del settore, andando a imporre oneri eccessivi, e sulla scelta dei consumatori, andando ad aumentare i costi.
Le organizzazioni firmatarie sostengono l’idea di rafforzare l’omogeneità dei diritti dei consumatori in tutta l’Unione Europea ma richiedono fortemente un approccio basato sul giusto equilibrio tra l’esigenza di un elevato livello di tutela dei consumatori e il legittimo interesse del settore.
Anche se le organizzazioni firmatarie hanno già espresso forti riserve sulla direttiva, individualmente e attraverso l’EMOTA (European Multi-channel and Online Trade Association) vorrebbero congiuntamente e pubblicamente ribadire la loro più profonda preoccupazione per alcune disposizioni previste dalla direttiva, in particolare riguardo gli articoli 16, 17 e 22 bis della proposta di direttiva.

 

“L’effetto di questi tre articoli – dicono – porterà ad esempio una società ad affrontare l’obbligo di pagamento per la raccolta delle merci (articolo 17) utilizzate dai consumatori per 28 giorni e a rimborsare la totalità dei costi al consumatore ancor prima che possano essere controllati eventuali danni o effettivo uso dei prodotti (articolo 16). Inoltre, a seguito dell’articolo 22 bis, le aziende potrebbero essere obbligate a un contratto fuori dal proprio paese vedendosi così negata la libertà di contratto”.

Le organizzazioni firmatarie ritengono che tali misure siano in contrasto con gli interessi dei consumatori perché hanno un impatto diretto sul prezzo dei prodotti e sulle scelte di consumo. Infatti, il costo totale delle misure è stimato in 10 miliardi di euro all’anno ed esprimono preoccupazione per il rischio considerevole per la situazione finanziaria di molte aziende dell’Unione, in particolare le piccolissime, le piccole e le medie imprese, molte delle quali non sopravvivranno ai costi generati da tali misure.

Le misure della direttiva, inoltre, mettono a repentaglio seriamente diversi principi fondamentali del diritto comunitario e in particolare il principio di proporzionalità, come evidenziato da esperti di diritto europeo e moltiplicheranno inutilmente la circolazione dei beni restituiti dai consumatori, poiché comporteranno un aumento degli oggetti restituiti pari a due o cinque volte, a seconda dei prodotti, come si può osservare nel caso della Germania. Questo avrà sicuramente un impatto negativo sull’ambiente a causa di un aumento delle emissioni di CO2.
 

Le organizzazioni firmatarie fanno inoltre notare l’assenza di qualsiasi consultazione o valutazione dell’impatto, dato che tali misure interesseranno migliaia di aziende e milioni di consumatori in Europa; la mancanza di sostegno da parte delle associazioni dei consumatori. In realtà queste misure non sono state richieste dai consumatori e, dove presenti, riguardano il rimborso delle spese di restituzione della merce; l’inefficacia della tesi secondo cui tali misure presumibilmente promuoverebbero lo sviluppo del commercio elettronico quando il settore, che sta vivendo una crescita molto rapida, potrebbe essere al contrario gravemente compromesso da tali misure.

In questo contesto, Netcomm e le altre organizzazioni esortano i propri rappresentanti e le Autorità europee ad astenersi dall’adottare gli articoli 16 e 22 bis nella loro attuale versione e si oppongono all’articolo 17 così come proposto nell’ultima variante dal Parlamento, nell’interesse delle imprese e dei consumatori europei e in vista della realizzazione di un Mercato Unico Interno. (a.t.)

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