Italia
E’ un percorso tortuoso, non uniforme, complesso quello della Digital Agenda in Italia. Un percorso a ostacoli che ancora si deve delineare nettamente. Questa mattina a Roma, nel corso di uno degli incontri organizzati nella cornice del Forum PA 2011, si è cercato di scattare una fotografia dello stato dell’arte. Il convegno, dal titolo “Il percorso della Digital Agenda Italia“, ha avuto il merito, in realtà, di fare un passo in più e di ampliare alcune proposte di addetti ai lavori e di rappresentanti di gruppi di interesse che si sono formati nel nostro Paese negli ultimi mesi sui temi dell’innovazione. Istanze sociali numerose e diversificate, che hanno trovato un momento di sintesi davanti a una rappresentanza pubblica. Le proposte sono state infatti raccolte e commentate da Renzo Turatto, Capo Dipartimento per la digitalizzazione della PA e l’innovazione tecnologica. Inoltre è intervenuto Salvatore Lombardo, Direttore Generale di Infratel Spa, società che opera con il Ministero dello Sviluppo Economico.
Come ha chiarito nell’introduzione ai lavori Gianni Dominici, Direttore Generale Forum PA, “il nostro obiettivo è quello di favorire il confronto tra energie vitali, affinché facciano sistema“. E ancora, ha aggiunto: “Tra gli ospiti di oggi ci sono i firmatari dell’Agenda Digitale per l’Italia, rappresentanti dell’Open Government Italia, nonché degli Stati Generali dell’Innovazione. Tutti vogliono un Paese più competitivo“.
A moderare il panel, Raffaele Barberio, Direttore di Key4biz, che ha preparato il campo ricordando gli assunti alla base dell’Agenda Digitale della commissaria Neelie Kroes: “Oggi l’Europa è in difficoltà. Si sono chiusi 500 anni di dominio eurocentrico. Dal 2008 l’Europa è in ginocchio sotto il profilo economico. Su queste radici ambientali si è innastato il percorso della Commissione europea dal 2010 al 2020. L’Agenda Digitale è uno dei sette grandi passi dell’iniziativa Europa 2020“.
Come ha spiegato Ernesto Belisario, presidente dell’Associazione Italiana per l’Open Government, esiste nel mondo un “movimento pacifico dell’Open Government” che non fa altro che chiedere una PA più trasparente e più efficiente. “Il nostro manifesto – ha aggiunto – è la direttiva Obama dell’8 dicembre 2009. L’Open Government è un modo di essere cittadino e di essere amministrazione. Per chiedere la partecipazione e la collaborazione del cittadino, occorre considerarlo un partner. In che modo? Rendendo accessibili tutti i dati prodotti dall’Amministrazione“. Purtroppo però le resistenze a questo cambiamento sono molteplici, secondo Belisario, in primis quelli che definisce “finti problemi legati alla privacy“. La sua proposta è quella di creare il data.gov.it che, in estrema sintesi e semplicemente, raccolga tutti i dati già disponibili online; in seguito organizzi una task force che possa spiegare all’amministrazione come usare questi dati.
Per Marco Camisani Calzolari, imprenditore che insegna Linguaggi Digitali alla IULM, il valore di Internet in Italia nel 2010 è stato di 56 miliardi di euro, ovvero quanto l’intero settore della ristorazione, e si prevede che nel 2015 arriverà a 77 miliardi di euro. Dati che danno un ordine di grandezza della pervasività della Rete. Eppure, sottolinea, “metà Italia è ancora analogica”.
Per far toccare con mano, Camisani Calzolari ha portato come esempio alcuni titoli dei principali giornali italiani, estremamente “tecnofobici”, e perciò estremamente pertinenti. “Se in questo Paese andremo avanti con le logiche sostenute fino a questo momento, ignorando la forte competitività e il forte valore dell’economica digitale, allora ho paura che non si andrà da nessuna parte“. La sua proposta è quella di creare un soggetto unico, che favorisca l’economia digitale, un unico punto di riferimento per un’unica governance dei processi di innovazione.
Intervenendo via Skype da Milano, Carlo Alberto Carnevale Maffè, Docente Senior di Strategia Aziendale presso la Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi, ha così esordito: “Sono stufo di dover portare sempre l’onere della prova, di dover dimostrare alle Istituzioni quanto è importante l’economia digitale. Occorre invertire la logica dell’onere della prova e far sì che l’Agenda Digitale sia valutata come un obbligo istituzionale“. La proposta è quella di prevedere l’obbligo di una Agenda Digitale come allegato al Documento di Economia e Finanza Pubblica che offra quindi un quadro stabile ai necessari investimenti. Prevedere l’Agenda Digitale nella Finanziaria, inoltre, “permetterebbe di ridurre di 5 basis point gli interessi sul debito pubblico, facendo risparmiare 1 miliardo di euro all’anno alle casse dello Stato“.
Per Alex Curti, per quattro anni tra i protagonisti del progetto per costituire una rete telematica metropolitana che utilizza apparati attivi di proprietà della Provincia di Milano, ha raccontato le fasi esecutive del progetto, per arrivare a sostenere la proposta sulla realizzazione di reti di proprietà delle PA. Le reti devono partire, a suo parere, a livello comunale, per poi estendersi ai livelli superiori, alle province, alle regioni, e arrivare a coprire così capillarmente il territorio nazionale. Nella Provincia di Milano, ha spiegato Curti, tra il 2005 e il 2007 sono stati realizzati 200 km di cavi in fibra ottica che hanno sostituito il rame, con impatto zero sul bilancio della Provincia in 5 anni.
A occuparsi del Cloud Computing è stata Flavia Marzano, rappresentante degli Stati Generali dell’Innovazione che si terranno il prossimo 24 e 25 novembre. Anzi, il tema del suo intervento è stato il “G. Cloud”, vale a dire il Cloud applicato alla PA.
I rischi, secondo Marzano, sono quelli legali alla sicurezza dei dati e alla privacy; ma i vantaggi sono molteplici: “Trecento milioni di euro nel 2012 è il valore del mercato PA per i servizi Cloud; ci sarebbe una riduzione di costi e di sprechi e vantaggiose economie di scala; inoltre non va sottovalutato il risparmio in trashware perché, essendo i dati sulla nuvola, non si sarà bisogno di computer sempre più potenti ma si un qualsiasi device dotato di accesso alla Rete e di un browser“.
L’approccio di Marco Calvo, fondatore dell’associazione Liber Liber e rappresentante degli Stati Generali dell’Innovazione, ha suggerito degli spunti interessanti da adottare se si vuole andare in direzione dello sviluppo dell’Italia digitale: “Dobbiamo copiare dagli strumenti che funzionano e adottarli“.
Wikipedia ha funzionato, perché ognuno ha offerto conoscenza; YouTube ha funzionato perché ha permesso a tutti di caricare qualsiasi video convertendolo direttamente in un unico formato; Skype ha funzionato perché il suo software ha vinto. Ecco, sono tutti esempi di strumenti che funzionano. Similmente, ha suggerito Calvo, la proposta è quella di mettere a disposizione della PA tutte le intelligenze del Paese, di mettere a frutto le idee migliori. “Per questo chiediamo a tutti di partecipare agli Stati Generali dell’Innovazione, portando il proprio contributo“.
Stefano Quintarelli, che è intervenuto come firmatario dell’Agenda Digitale per l’Italia, si è soffermato sulle cosiddette rettifiche in situ: “Online – ha esordito – la macchina del fango funziona molto bene, perché la memoria della Rete tende a privilegiare le notizie diffamanti. La rettifica, che arriva dopo, non interessa a nessuno“. Dopo aver portato alcuni esempi di questo meccanismo, ha spiegato la sua proposta, che è quella di disporre l’obbligo della rettifica in situ, ovvero di rettificare l’informazione diffamante dove appare, nella pagina originale, sfruttando così la memoria della rete per indurre un comportamento virtuoso. “Un piccolo cambiamento che non ha costi e risolve il problema di tante persone che soffrono“.
Come poter realizzare praticamente lo switch-off dei servizi pubblici nei Comuni non digitalizzati?
Di questo si è occupato Attilio Romita, secondo il quale il passaggio è possibile, è complicato ma è realizzabile. Soprattutto, ha aggiunto, il digital divide si può risolvere, perché tutte le reti che abbiamo a disposizione, messe insieme, possono portare al 95% di copertura del territorio nazionale. Nei Comuni, inoltre, potrebbero essere installati dei totem e i dipendenti comunali potrebbero favorire il processo di digitalizzazione dei servizi. “Io propongo una legge che stabilisca che DigitPA, in accordo con AgCom, Conferenza delle Regioni, ANCI, Comuni ed Enti assimilati, entro tre mesi definiscano i servizi da realizzare in 18 mesi di tempo“.
A sintetizzare e leggere criticamente le proposte è stato Renzo Turatto, Capo Dipartimento per la digitalizzazione della PA e l’innovazione tecnologica. “L’Agenda digitale è una linea di intervento politico che riguarda sostanzialmente la Commissione Europea, ed è una ricetta fatta di tre ingredienti, regolazione, mercato e pervasività del rapporto digitale e società. Rispetto a questo scenario l’Italia non sta ai posti migliori, ma siamo qui per confrontarci. Le vostre 11 proposte le ho catalogate in 4 macroaree: infrastrutturale, regolazione, politiche economiche e governance“. Poi, ha continuato: “Mi è piaciuta tanto l’idea di far convergere tutto il digitale in un unico soggetto, ma tante volte ho visto che, nella gestione operativa della cosa pubblica, i problemi politici che si volevano risolvere con la governance e con il ridisegno dell’organizzazione, non venivano aiutati alla risoluzione“. Turatto ha così proseguito il suo intervento: “Usare la rete per la partecipazione e per mobilitare competenze? Bella l’idea, ma la Pa, ricordiamolo, è chiamata fare quello che nessun altro può fare, è questa la sua ragione d’essere“. Inoltre, Turatto ha portato al tavolo della discussione diversi esempi di digitalizzazione dei servizi, soprattutto i risultati e i risparmi, dopo un anno di intervento, del certificato medico digitale, e le attese sulla ricetta medica digitale. “Oggi crediamo che la digitalizzazione del mondo pubblico sia la leva su cui fare forza“. Si è detto perciò favorevole alle proposte sul Cloud, sull’Agenda Digitale nella Finanziaria, sull’Open Data, sulla rettifica in situ. Sui temi infrastrutturali ha lasciato la parola a Salvatore Lombardo, per risposte più puntuali sullo stato dell’arte. E ha quindi concluso: “C’è certamente un problema di resistenza al transito al digitale. In questi anni abbiamo fatto molti cambiamenti, con introduzione di servizi di e-gov, e io non ho visto grandissime resistenze nei dipendenti pubblici, quanto nelle grandi lobby di potere“.
In conclusione dei lavori, Salvatore Lombardo di Infratel ha spiegato che il digital divide in Italia, che nel 2009 si attestava intorno al 13%, oggi si è ridotto al 7,8%. Questo grazie a una concertazione pubblico/privato nonché a una concertazione pubblico/pubblico. “Occorre ricordare che 1945 Comuni italiani sono sotto i 1000 abitanti e in aree in cui gli operatori di telecomunicazione non hanno alcun interesse ad investire. Ciononostante, grazie all’intervento del Ministero per lo Sviluppo Economico, oggi sono 3 milioni i cittadini che sono stati raggiunti dalla fibra ottica di Infratel. Oggi, inoltre, – ha aggiunto Lombardo – abbiamo un piano da 800 milioni di euro di finanziamenti dello Stato e delle Regioni (di derivazione europea), con il contributo di operatori privati. Entro il 2020 contiamo di portare al 50% delle case italiane una rete a 100 Megabit; per raggiungere questo obiettivo occorre un grande investimento e un grande lavoro per sostituire al rame la fibra, ma gli operatori fanno resistenza. Il progetto è stimato in 8,5 miliardi di euro e chiaramente lo Stato da solo non può farcela. Tuttavia c’è una grande concertazione e il Ministero è in prima linea in questo processo di profonda trasformazione del Paese“.
Le slides degli speakers:
Riconoscere il valore dell’economia digitale di Marco Camisani Calzolari
Swtich off. Servizi pubblici in comuni non digital divide di Attilio A. Romita
Il Piano “Italia Digitale” di Salvatore Lombardo
Dal Cloud Computing al G-Cloud rischi e opportunità per la PA di Flavia Marzano
OPEN DATA una proposta di Ernesto Belisario
Invertire l’onere della prova: l’Agenda Digitale come obbligo di Carlo Alberto Carnevale Maffè