Unione Europea
Le maggiori società telefoniche europee vogliono che Google e gli altri fornitori di contenuti contribuiscano al finanziamento delle reti e stanno chiedendo una revisione delle disposizioni che regolano l’instradamento del traffico dati su internet.
Le telco sono alle prese con la necessità di investire nelle reti di nuova generazione per sostenere l’espansione della domanda di servizi internet in mobilità, trainata, per la gran parte, dai servizi offerti da società generalmente statunitensi, come Google – col suo YouTube – e Facebook.
Vorrebbero, pertanto, l’introduzione di tariffe all’ingrosso basate sul volume di traffico trasportato dalle reti, così da obbligare i content provider a pagare per far arrivare i loro servizi agli utenti.
Le maggiori società – Vodafone, France Telecom, Telecom Italia, Telefonica – chiedono quindi una riforma del cosiddetto ‘peering system‘, in base al quale gli operatori si scambiano il traffico dove le rispettive reti si interconnettono. Fino al 2008, sostengono gli operatori – questo sistema funzionava perchè ogni operatore immetteva tanto traffico quanto ne riceveva sulla propria rete e non c’era bisogno di applicare una tariffazione, visto che lo scambio era equo.
Ma ora, con l’enorme incremento del traffico video, la maggior parte di provenienza statunitense, il bilancio è impari e in più, gli operatori si trovano nella pressante condizione di dover investire sulle nuove reti anche per raggiungere gli obiettivi fissati da Bruxelles nell’Agenda digitale, tra cui quello di dotare almeno la metà della popolazione europea di connessioni ultrabroadband entro il 2020.
Per questo chiedono la revisione del sistema di peering, per ottenere nuovi flussi di reddito e investire.
Per Elie Girard, responsabile delle strategie di France Telecom, “…gi attuali accordi di peering non sono più redditizi. Se internet deve continuare a svilupparsi in maniera sostenibile, dobbiamo fissare delle tariffe basate sul traffico che passa sulle reti”.
Anche per il presidente di telefonica, Cesar Alierta, “Gli accordi di peering devono cambiare, il che vuol dire che i content provider devono pagare”.
L’ammontare degli investimenti richiesti alle telco è abbastanza elevato: secondo la società di consulenza McKinsey, per una rete capillare in fibra ottica che copra il continente sono necessari 300 miliardi di euro. Le compagnie telefoniche, dal canto loro, sarebbero anche disposte ad aumentare le spese nelle infrastrutture, ma insistono sul fatto che in cambio debbano essere in grado di trovare nuove fonti di guadagno. E una possibilità per ottenerle potrebbe essere rappresentata dal contributo dei fornitori di contenuti, alcuni dei quali offrono servizi molto voraci di banda che mettono in pericolo, dicono gli operatori, la sopravvivenza stessa delle reti.
Il faccia a faccia tra operatori di rete e content provider è sempre più duro e i primi stanno rispondendo all’avanzata di YouTube & Co preparando piani per far pagare i secondi per la distribuzione ‘prioritaria’ dei loro contenuti ai consumatori.
Una proposta che si scontra, però, con i sostenitori della neutralità della rete, secondo i quali tutti i contenuti sono uguali e nessuno dovrebbe avere priorità sull’altro. Far pagare di più i content provider, sostengono i supporter della net neutrality, creerebbe una rete a ‘due corsie’, una per i ricchi e una per i poveri.
Il problema vero, comunque, è che non tutti i fornitori di contenuti sono disposti a metter mano al portafogli: Google, ad esempio, ha già fatto sapere che non lo farà. Anzi, i content provider potrebbero decidere di restringere i loro servizi solo agli utenti degli operatori che non applicano tariffe basate sul traffico. Agire all’unisono, esporrebbe poi gli operatori all’accusa di fare cartello col rischio di un nuovo intervento dell’antitrust.
Per questo gli operatori insistono – hanno iniziato a ottobre con una lettera al commissario Neelie Kroes – sulla necessità di rivedere il sistema di peering, ormai troppo sbilanciato a loro sfavore.
A pagare sostanzialmente di più, in un simile scenario, sarebbe proprio Google.