Unione Europea
“Lo scorso 24 marzo il Parlamento Europeo ha approvato una serie di misure nell’ambito di una direttiva sui “Diritti dei Consumatori” che rischiano non solo di minare alla base l’esistenza stessa del settore in Europa, ma anche di generare una pericolosa spirale inflazionistica sui prezzi dei prodotti venduti online”. (Leggi articolo)
E’ quanto dichiara Netcomm (Consorzio del Commercio Elettronico Italiano) che, con altre associazioni di rappresentanza del settore in Europa, s’è mobilitato contro tale proposta.
In una nota, Netcomm spiega che sono oltre 150 milioni i consumatori europei online, poco meno di 10 milioni solo in Italia. L’aumento costante dei compratori online in tutta Europa è favorito da un servizio sempre più efficiente e da una convenienza non solo economica, ma anche e soprattutto, in termini di comodità, sostenibilità e servizio. Il settore del commercio elettronico inoltre cresce con continuità da oltre un decennio, generando non solo una costante crescita di posti di lavoro, ma anche favorendo l’iniziativa imprenditoriale e la creazione di nuove imprese, contrastando gli effetti di una crisi che al contrario genera sacche crescenti di disoccupazione.
“In primo luogo è assurdo che il Parlamento Europeo legiferi in materia di eCommerce senza avere sentito nessuna delle associazioni di riferimento del settore nei vari Paesi europei“, ha commentato Roberto Liscia, presidente di Netcomm.
Aggiungendo che “Da un consulto con loro emerge questo dato di fatto che sarebbe già grave in assoluto. Lo diventa ancora di più, leggendo nel dettaglio i contenuti della proposta di direttiva che non pare certamente elaborata da persone che conoscono in profondità la complessità di questo settore“.
Da un’analisi condotta sulla base dei dati forniti dalle associazioni di categoria europee che rappresentano circa il 50% del comparto, l’incremento dei costi di trasporto che si genererebbero se questa direttiva passasse, ammonta a circa 10 miliardi di euro. Ad oggi, infatti, i costi di trasporto dell’eCommerce europeo valgono circa 5,7 miliardi di euro. Con la nuova legislazione salirebbero a 15,6 miliardi. Questi emendamenti provenienti dall’Europa sono i più devastanti mai proposti in materia di commercio elettronico.
“Oltre a non essere necessari – ha spiegato Liscia – genererebbero un incremento dei costi che ricadrebbe inesorabilmente su un peggioramento dei prezzi per i consumatori. Molte PMI italiane ed europee si vedrebbero costrette a chiudere e molte start up addirittura a non nascere in un momento in cui la forza e la vitalità imprenditoriale è più necessaria che mai per portare l’Italia e l’Europa fuori da una crisi fortissima che ha lasciato pesanti segni e dalla quale ancora non siamo del tutto usciti. In Italia, poi, la gravità sarebbe ancora più evidente se si pensa che solo da poco tempo si sta recuperando il terreno perduto e mai come oggi si respira un fermento imprenditoriale che non può fare che bene al settore e all’intero sistema Paese”.
Netcomm s’è poi soffermata su alcuni articoli. Articolo 22a, libertà di contratto: secondo questa proposta i siti di eCommerce avranno l’obbligo di consegnare in tutta Europa. In tal modo una piccola realtà che decidesse di aprire un sito in Italia o in uno qualsiasi degli altri Paesi dell’Unione Europea, avrebbe l’obbligo fin dall’inizio di prevedere un sistema di pagamento con 7 valute differenti, un sistema di traduzione in 25 lingue e dei contratti di spedizione in 27 Paesi.
Si tratta di una complicazione che avrebbe come risultato immediato il freno di qualsiasi iniziativa imprenditoriale e l’uccisione sul nascere di qualsiasi start up online. In un momento di crisi come quello che stiamo attraversando questo peserebbe enormemente sull’aumento della disoccupazione e, indipendentemente da ciò, non consentirebbe alle aziende di decidere liberamente a quali mercati rivolgersi sulla base del proprio modello di business, limitando al massimo la libertà imprenditoriale.
Articolo 12, diritto di recesso : nei Paesi europei oggi il consumatore ha tra 7 e 10 giorni (in Italia 10) per cambiare idea e restituire un prodotto integro e non utilizzato, ottenendo da parte del venditore il rimborso del costo del prodotto. La nuova direttiva introdurrebbe un ampliamento considerevole dei tempi per effettuare il reso, consentendo di effettuare la notifica entro 14 giorni e la restituzione entro i successivi 14. In totale si quadruplica o triplica, a seconda dei Paesi, il tempo per restituire il prodotto, lasciando quasi un mese di tempo (28 giorni) per esercitare questo diritto.
Questo emendamento potrebbe avere serie conseguenze per i business online e potrebbe incoraggiare i consumatori a ordinare un numero maggiore di prodotti rispetto a quanti ne intendono comprare con effetti negativi non solo in termini di costi aggiuntivi per i venditori online, ma anche di forte aumento dell’impatto ambientale, generato dall’incremento del numero di viaggi di andata e ritorno dei corrieri per la consegna e il ritiro dei prodotti.
Articoli 16 e 17, diritto di recesso: il sito di eCommerce è tenuto al rimborso del consumatore entro 14 giorni e non più entro i 30 prima consentiti. Questo può generare l’assurda situazione di dover rimborsare il bene prima di riceverlo indietro e quindi non avendo la possibilità di verificare che il prodotto sia integro, non utilizzato e uguale a quello spedito. Inoltre per gli ordini superiori a 40 euro, l’azienda è tenuta a rimborsare anche le spese di reso. Questo notevole aggravio per i venditori mina alla base la sopravvivenza di molti di loro, generando anche il rischio di un conseguente aumento dei prezzi su Internet.