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Sono passati poco più di 10 anni da quando il celebre magazine americano Time dedicava la copertina al 19enne Shawn Fanning, chiedendosi quali sarebbero state le tappe successive del servizio P2P Napster che, creato poco più di un anno prima, in pochi mesi era riuscito a rivoluzionare un panorama musicale all’epoca ancora dominato dalle major, conquistando in breve tempo oltre 70 milioni di utenti.
Il servizio è stato oscurato nel 2001 dopo una lunga battaglia legale istituita dalle case discografiche, infastidite dal successo del file sharing: la prima causa, secondo loro, del crollo delle vendite di CD e DVD. La potente associazione americana RIAA, che tutela i diritti dell’industria discografica statunitense, ha portato Napster in tribunale, ottenendone la condanna per violazione dei diritti d’autore, la chiusura e il deposito dei bilanci, chiedendo un risarcimento danni di quasi 15 miliardi di euro, ma non ottenendone che un centesimo dopo un accordo stragiudiziale.
Napster è stato quindi acquistato nel 2003 dalla Roxio che lo ha trasformato in un servizio legale, e poi ceduto nel 2008 al gruppo BestBuy, che lo ha pagato 87 milioni di euro.
Da allora è stato tutto un proliferare di cloni di Napster – da Kazaa a Limewire – e di denunce da parte della RIAA, che ha iniziato anche a inviare atti di citazione per pirateria musicale ai cittadini – la maggior parte adolescenti – che avevano scaricato musica dai siti P2P per scoraggiare la pratica del file sharing.
Kazaa, ad esempio è stata condannata a risarcire 115 milioni di dollari agli aventi diritto per poi trasformarsi, come il suo predecessore, in servizio di download legale per il solo mercato americano.
Non lo stesso è stato per BitTorrent, il loro principale successore, un servizio che attualmente è utilizzato ogni mese da circa 100 milioni di persone e che, a differenza di Kazaa e Napster si definisce “un’azienda tecnologica, non media” e quindi in grado di funzionare e sopravvivere con pochi mezzi e senza un chiaro business model.
In poco tempo, tuttavia, il panorama è completamente mutato e oggi i servizi P2P devono affrontare la concorrenza dei servizi di streaming o di direct download come MegaUpload o RapidShare: secondo uno studio condotto in Francia dalla commissione Hadopi, per consumare gratuitamente musica dal web il 25% degli utenti intervistati utilizza servizi P2P, il 25% il direct download e il 54% lo streaming. Merito delle leggi adottate per scoraggiare il download dai siti illegali, ma anche del fiorire di diversi servizi a pagamento come iTunes di Apple.
Secondo gli esperti, tuttavia, difficilmente questi servizi porteranno alla definitiva sconfitta del P2P: gli internauti, certo, sembrano più disposti a pagare per scaricare musica, ma fino a quando esisterà il peer-to-peer i due modelli sono destinati a convivere.
A cambiare, invece, sono le prospettive: il crescente successo degli smartphone limita infatti l’appeal di questi sistemi, mentre sembra più promettente il suo utilizzo per lo streaming. Bram Cohen, la mente dietro BitTorrent, presenterà quest’anno Pheon, un protocollo il cui obiettivo è, appunto, quello di applicare il P2P allo streaming, per distribuire dati su internet senza bisogno di infrastrutture.
“Il traffico P2P – ha affermato Cohen – è stato spesso indicato come un fardello per internet, ma con un protocollo come µTorrent Transport Protocol si può migliorare la performance della rete nel suo complesso”.
Anche Peter Sunde, cofondatore di The Pirate Bay pensa di utilizzare la tecnologia per creare un’alternativa decentralizzata al sistema DNS, fuori dal controllo dell’ICANN che, secondo Sunde sarebbe troppo dipendente dal governo americano, il quale ha di recente chiuso un’ottantina di siti del tutto legali.
“Vogliamo attirare l’attenzione sul fatto che l’attuale struttura di internet è pericolosa e può facilmente essere bloccata da qualcuno anche senza alcun motivo apparente”, ha affermato Sunde presentando il suo progetto.