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Sony potrebbe avere diritto di chiedere alla società di hosting Bluehost – che ospita il sito GeoHot di George Hotz – la lista degli internauti che si sono connessi al sito o hanno scaricato da esso contenuti piratati per la PlayStation 3. Lo ha stabilito un giudice della Corte federale di San Francisco, nell’ambito della causa che vede il colosso nipponico dell’elettronica contrapposto a un gruppo di hacker che è riuscito ad aggirare i sistemi di protezione, permettendo così di utilizzare qualsiasi programma sulla console.
La PlayStation 3 è dotata, infatti, di un sistema di firma digitale che consente alla console di riconoscere i contenuti legali, ma il gruppo di hacker failOverflow è riuscito a scoprire la chiave di identificazione sfruttando una falla del sistema. Utilizzando questa chiave di identificazione la console riconosce valido, e quindi legge, qualsiasi programma.
Hotz (già conosciuto per essere stato il primo a craccare un iPhone), nello specifico, ha diffuso attraverso il suo sito personale una versione modificata del programma della console, corredata da un video esplicativo. Il programma non permette di lanciare giochi piratati ma di installare contenuti – come gli emulatori – altrimenti impossibili da usare.
George Hotz rifiuta, tuttavia, l’accusa di voler incoraggiare la pirateria dei videogiochi: l’obiettivo degli hacker è piuttosto quello di “permettere il funzionamento di Linux su tutte le PlayStation 3” che, in effetti, non accetta più i programmi basati sul sistema operativo dopo che la società ha diffuso un aggiornamento della console, causando le ire della comunità di giocatori fedele all’open source.
La battaglia legale si era interrotta a gennaio per una questione giuridica riguardo la sede in cui istituire causa: in California, dove ha sede Sony Computer Entertainment America, o nel New Jersey, dove risiede Hotz? Sony vuole che il procedimento si svolga in California, ma ha bisogno di prove che avvalorino le sue tesi e consentano ai giudici di vietare la diffusione di questi strumenti, che violerebbero il Digital Millennium Copyright Act e il Computer Fraud and Abuse Act.
“Attraverso internet (gli hacker) distribuiscono dei programmi, con tanto di istruzioni per l’uso, in grado di aggirare le misure di protezione della console e di facilitare la contraffazione dei videogiochi e l’uso di programmi piratati”, afferma SCEA nel ricorso presentato alla Corte.
Per questo, quindi, la società dovrà cercare di dimostrare, indirizzi IP alla mano, che numerosi internauti californiani erano in contatto con Hotz o hanno scaricato il programma per modificare la console dal suo sito.
Anche Twitter è stato coinvolto nella causa: dovrà rendere pubblica la lista completa dei tweet di Hortz, per sapere se quest’ultimo discuteva con delle persone residenti in California della possibilità di piratare la console, mentre il sito Blogger, che ospita un blog di Hortz, dovrà fornire gli indirizzi IP degli internauti che hanno discusso dello stesso argomento.