Egitto: per l’OCSE dal blocco della Rete danni per 65 mln di euro e gravi ripercussioni sull’economia

di Alessandra Talarico |

Intanto la società Akamai avverte: 'l’importanza e il sempre maggiore utilizzo di Internet da parte di organizzazioni e attivisti fanno pensare che situazioni di questo tipo possano ripetersi in futuro'.

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Scontri in Egitto

Secondo i calcoli dell’Ocse, il blocco per 5 giorni della rete internet costerà al governo egiziano circa 65 milioni di euro, con conseguenze che potrebbero rivelarsi molto pesanti per l’economia del Paese sul lungo periodo.

“I servizi tlc e internet rappresentano circa il 3-4% del Prodotto Interno Lordo e il loro blocco ha determinato una perdita di circa 13 milioni di euro al giorno”, ha indicato l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico in una breve nota.

 

Durante il periodo di blocco delle comunicazioni, solo l’operatore Noor ha mantenuto attivi servizi, prima di diventare inaccessibile lunedì 31 gennaio. Noor controlla una quota del 10% del mercato egiziano (sono attivi nel Paese anche Vodafone e Orange), ma fornisce servizi di accesso a internet a diverse istituzioni e multinazionali tra cui l’Università americana del Cairo, Coca-Cola e Exxon Mobil ed è dunque economicamente strategica.

 

Oltre alle perdite economiche e ai disagi provocati nell’immediatezza dal blocco dei servizi, volto a impedire ai manifestanti che chiedevano le dimissioni del presidente Hosni Mubarak di organizzarsi e di far sapere all’esterno la reale situazione del Paese, l’impatto di questa decisione sul lungo periodo potrebbe essere ben più importante.

La misura autoritaria ha infatti colpito società hi-tech locali e internazionali che forniscono servizi anche al di fuori dell’Egitto: “Sarà molto più difficile in futuro convincere le imprese straniere a investire nel Paese senza garanzie sull’affidabilità delle reti, quando fin qui attirare queste società è stata una strategia chiave del governo”, stima sempre l’Organizzazione.

 

Il traffico internet nel Paese è crollato  quasi del tutto attorno alle 11.30 (ora italiana) di giovedì 27 gennaio ed è tornato a livelli normali mercoledì 2 febbraio a causa di un doppio blocco ordinato dal governo e che ha colpito sia il protocollo DNS, che permette ai Pc di ‘orientarsi’ nella rete, sia del protocollo  BGP (Border Gateway Protocol) attraverso cui i siti indicano la loro posizione.

La facilità con cui un Paese può interrompere del tutto i collegamenti a Internet dipende da fattori politici, dai rapporti tra Governo e gli Internet provider e dalla molteplicità delle connessioni in entrata e in uscita. Secondo i dati forniti dalla società Akamai, che gestisce una rete globale per la distribuzione di contenuti digitali e applicazioni online, dotata di oltre 83.000 server su quali passa circa il 20% del traffico online globale e si trova, dunque, in una posizione privilegiata per osservare cosa succede in Internet, non si era, però, mai verificato finora che un governo ordinasse la chiusura delle connessioni a Internet provocando conseguenze di questa portata.

 

“Per l’Egitto è stato piuttosto semplice farlo, dato il numero relativamente limitato di network provider che gestiscono il traffico Internet, ma quello a cui abbiamo assistito potrebbe accadere anche in altri Paesi”, ha avvertito Akamai, secondo cui ciò dipende soprattutto dall’infrastruttura di rete presente. “Sarebbe infatti assai più complicato fare una cosa del genere negli Stati Uniti, ad esempio. Tuttavia, l’importanza e il sempre maggiore utilizzo di Internet da parte di organizzazioni e attivisti fanno pensare che situazioni di questo tipo possano ripetersi in futuro”.
 

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