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Anche quest’anno la crisi della musica è al centro del Midem di Cannes (22-26 gennaio 2011). I dati che ci provengono dagli analisti del settore sono sostanzialmente simili a quelli dell’anno precedente.
L’IFPI (International Federation of Music Phonographic Industry) ha informato che nel 2010 le vendite mondiali di Cd hanno registrato un calo dell’8% dopo il -7% del 2009.
Il mercato ha perso più di 10 miliardi di dollari dal 2000 , vale a dire da quando le major discografiche sono entrate in guerra contro il file-sharing illegale di musica.
Il nemico numero uno era allora Napster. Dieci anni dopo la pirateria resta ancora la principale preoccupazione, come ha sottolineato Frances Moores, presidente dell’IFPI, che ha chiesto ai governi di dare un maggiore sostegno a una filiera che ha già perso migliaia di posti di lavoro.
Le major hanno cominciato a investire maggiormente sulla musica online, considerando internet un canale di distribuzione come gli altri.
Thomas Hesse, president, global digital business, di Sony Music Entertainment, è infatti ottimista: “Abbiamo creato un business della musica digitale” che rappresenta quasi il 30% delle entrate delle case discografiche.
Ma, con 4,6 miliardi di dollari, le vendite e gli abbonamenti online sono ancora lontani dal compensare le perdite del mercato dei supporti fisici.
Da considerare, inoltre, che con il rallentamento delle vendite delle suonerie telefoniche, nel biennio 2009-2010 la crescita del mercato digitale non è che del 6%.
Ma Tohomas Hesse vede dei segnali positivi nell’aumento dei servizi di musica online (solo da iTunes sono state scaricate 10 miliardi di canzoni), s’è infatti raggiunta la soglia dei 10 milioni di abbonati nel mondo, e anche nel cloud computing, che consente agli utenti di ritrovare la musica archiviata nei server remoti da tutti i dispositivi (cellulare, pc, stereo e presto televisori connessi).
Ma, secondo gli esperti del Midem, i nuovi modelli non hanno ancora creato un ecosistema positivo per la musica. Universal Music, il numero uno dell’industria mondiale, sebbene abbia attraversato bene la crisi e accresciuto la propria fetta di mercato, ha comunque registrato un calo del fatturato nel corso degli anni.
La fusione tra Sony e BMG, conclusa nel 2006, non ha contribuito a creare un’unità forte ed EMI e Warner, sebbene le continue indiscrezioni alimentino la cronaca, non vedono in un loro apparentamento una soluzione alla crisi.
Per far fronte ai tempi difficili, le major hanno anche pensato di diversificare le entrate ma, per esempio, la vendita dei diritti delle canzoni per i concerti, il cinema o la pubblicità, non hanno portato i risultati sperati.
I nuovi modelli si costruiscono a piccoli passi e l’incertezza resta per quelli che, eccetto le società come Apple, usciranno vincenti da questa battaglia.
EM, per esempio, dopo anni spesi alla ricerca di una soluzione per risanare il pesante indebitamento (3,5 miliardi di euro), si trova di fronte la scadenza del 31 marzo entro la quale dovrà pagare gli interessi a Citigroup. Al momento l’unica possibilità è che nuovamente gli investitori di Terra Firma mettano mano al portafoglio.
E se non lo facessero? Citigroup potrebbe prendere il controllo di EMI e separare le due unità: EMI Music ed EMI Music Publishing che detiene i diritti sui cataloghi.
Warner Music, che ha manifestato più volte la propria attenzione, potrebbe essere interessata alla prima unità e BMG Music Publishing alla seconda.
Il paradosso è che i risultati di EMI sono migliorati nel corso degli ultimi anni: il fatturato è più stabile, dopo un calo di un terzo dal 2000 al 2008.
Riducendo i costi, la casa discografica ha registrato un utile operativo di 140 milioni di euro nel 2009-2010. Ma i debiti sono troppi perché questi miglioramenti siano sufficienti.
Warner, ceduta nel 2004 per 2,6 miliardi di dollari a Edgar Bronfman e a un consorzio di fondi (Thomas L. Partners, Bain, Providence), cerca di restare a galla nonostante le difficoltà. Il fatturato è passato da 3,5 miliardi di dollari del 2008 a 2,98 nel 2010.
IFPI mette in risalto come la lotta alla pirateria e lo sviluppo di nuovi modelli di business, uniti alla cooperazione con gli Isp e alla crescita costante dello streaming, audio e video, siano elementi fondamentali per un continuo sviluppo di un mercato che ancora non riesce completamente a coprire le perdite relative al mercato tradizionale.
Dal 2004 al 2010, l’industria della musica ha perso il 31%. Negli Stati Uniti, il 16,5% degli utenti comprano musica digitale. E nel 2009 le major hanno investito 5 miliardi di dollari per gli artisti.
L’IFPI prevede che entro il 2015, a causa della pirateria, l’industria europea perderà 1,2 milioni di posti di lavoro. Mentre tra il 2008 e il 2015 ammonteranno a 240 miliardi di euro le entrate perse dal mercato.