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Pubblicata ieri la delibera dell’AgCom che lancia la Consultazione pubblica in materia di regolamentazione dei servizi di accesso alle reti di nuova generazione (NGN).
In 45 giorni operatori, associazioni e altri soggetti potranno fare le loro osservazioni, ma è già prevedibile che il testo finale non avrà sostanziali differenze rispetto al testo sottoposto a consultazione.
Quindi possiamo già fare alcune generali considerazioni di prospettiva.
L’avvio di questa fase doveva essere il punto di partenza di un nuovo ciclo, ma rischia invece di essere la conferma di una situazione già nota, difficile da gestire e maturata sin dall’inizio dello scorso anno con la insorgenza di una serie di aspetti critici: a) le perduranti difficoltà di confronto tra operatori concorrenti, b) la sorda conflittualità tra AgCom e Ministero dello Sviluppo economico, c) l’intima convinzione da parte degli operatori di poter contare su risorse pubbliche di finanziamento tramite la Cassa Depositi e Prestiti.
Iniziamo con il primo aspetto. I principali attori coinvolti sono, come è noto, Telecom Italia, i maggiori operatori alternativi (Fastweb, Vodafone, Wind, Tiscali, BT), l’AIIP (Associazione Italiana Internet provider) e Assoprovider. Il confronto tra loro non è mai stato facile, ma nell’ultimo anno si è configurato con modalità che hanno precluso qualunque possibilità di “competizione cooperativa”, una condizione utile per affrontare l’impervio sentiero che dovrà portarci alla realizzazione delle reti NGN.
Tali conflitti si accentuarono nella fase finale dei lavori del Comitato NGN, che di fatto aveva spostato il focus dell’attenzione pubblica sul ruolo dell’Autorità. La ragione di tali conflitti va ricercata nella diffusa convinzione, tra gli OLO, che in seno al Comitato NGN (ma anche in seno all’AgCom) prevalesse un atteggiamento di maggiore attenzione verso le richieste di Telecom Italia.
Il secondo aspetto attiene alla conflittualità mai dichiarata tra AgCom e Ministero dello Sviluppo Economico.
Parallelamente allo stato di conflittualità crescente in seno al Comitato NGN, nasce infatti il cosiddetto Tavolo Romani, che raccoglie però solo i principali operatori del Comitato NGN.
Il cambio di sede annulla, ma solo apparentemente, tutti i conflitti in corso. Questo risultato sembra riconoscere all’allora viceministro Romani una grande capacità di mediazione (dopo una lunga parentesi di impegno del ministero in ambito televisivo, ma non in ambito di telecomunicazioni).
L’attività del Tavolo Romani viene cadenzata da alcuni comunicati stampa del ministero che rivelano i passi via via conquistati, ma né Telecom Italia né gli OLO fanno mai comunicati stampa alla fine degli incontri. L’impressione è che la soluzione debba essere trovata in ambito ministeriale, con un accordo “politico”, piuttosto che in ambito AgCom, con un accordo “tecnico”.
Il ministero fa anche sottoscrivere un Memorandum of Understanding a tutti gli operatori, ma la dinamica appena descritta lascia prevedere, salvo imprevisti positivi dell’ultima ora, che quel MoU rimanga sulla carta.
Il terzo aspetto è quello delle risorse.
Gli investimenti complessivi per la rete NGN italiana sono considerevoli (18-22 miliardi di euro), ma non è facile per qualunque operatore cominciare il percorso graduale di costruzione in assenza di un framework che definisca ruoli, obblighi, modelli di business. Nessuno degli operatori sembra oggi nella condizione di poter investire in modo anche lontanamente significativo. Telecom Italia prevede investimenti del tutto contenuti nei prossimi tre anni e non ha alcuna intenzione di fare di più in un contesto che, a suo dire, la penalizza ponendo solo obblighi e senza assicurare un ritorno certo degli auspicati (da tutti) investimenti. Ergo, in queste condizioni, difficilmente a breve la fibra crescerà in Italia per impegno dell’incumbent.
Quanto agli OLO, non sembrano nella condizione di poter investire in modo significativo e concorrenziale nei confronti di Telecom Italia. Lo stesso progetto Fibra per l’Italia, lanciato nella scorsa tarda primavera da Fastweb, Vodafone e Wind, è rimasto al palo. Fastweb ha lanciato la propria campagna dei 100 MB, Vodafone ha varato il progetto dei 1000 Comuni, mentre Wind è alle prese con una riformulazione dell’assetto societario che in qualche modo rallenta ogni possibile decisione.
Rimane l’opzione delle risorse provenienti dal settore pubblico.
L’ipotesi di sempre è, come è noto, quella di un intervento della Cassa Depositi e Prestiti, che risolverebbe le difficoltà di investimenti degli operatori.
Ma qui i problemi sembrano al momento insormontabili.
I rappresentanti della Cassa hanno ripetuto a chiare lettere di essere disponibili a precise condizioni: a) un modello di business valido, b) una disponibilità degli operatori ad assicurare la loro presenza in tutte le aree del paese, comprese quelle più svantaggiate, c) infine, su tutte le altre ragioni, la necessità di una società unica della Rete capace di accogliere tutti gli operatori, in una logica di sistema-paese, soluzione che gli attuali e apparentemente insanabili rapporti di conflittualità tra le parti non sembrano consentire.
E allora cosa accadrà?
In ambito AgCom l’approvazione di questa delibera non è stata indolore.
L’anticipazione pubblica del draft, anticipata dal sito web del Sole24Ore l’11 gennaio, ha contribuito ad accentuare uno stato di tensione interno.
La delibera che apre alla consultazione cerca apparentemente di accontentare tutti, ma rischia di non accontentare alcuno. L’assunzione di nuove condizioni rinvia peraltro a periodi successivi, oltre il 2013, in cui la gestione delle decisioni sarà in mano ad una nuova consiliatura.
Telecom Italia fa sapere di non gradire molto un contesto di regole, come quello previsto dalla delibera, che impone obblighi e non concede più di tanto.
Tra gli OLO vengono valutate in qualche modo positivamente le modalità previste dalla delibera, ma essi sanno di non poter andare molto oltre a) le disponibilità attuali di fibra offerta da Telecom Italia, b) quella assicurata dalle connessioni proprietarie. Pesano quindi le limitate possibilità di investimenti dei singoli operatori a breve-medio periodo.
E tutto questo in un momento in cui l’ambito delle decisioni politiche e la stabilità del governo è assediata da storie molto lontane dalle tematiche attinenti agli investimenti in infrastrutture di telecomunicazioni. Se si dovesse andare a votare, se ne riparlerà in autunno. Se non si dovesse andare a votare, se ne riparlerà comunque non prima dell’autunno.
Detto ciò, sembra altamente improbabile la definizione a breve di un percorso di sviluppo delle reti NGN nel nostro paese.
Si apre una condizione di stallo che potrebbe durare a lungo e che sarà influenzato da fattori di varia natura. Ed ai temi prevedibili se ne aggiungono altri dettati dalla contingenza: il ruolo dell’AgCom in un momento in cui il ministero era poco presente, interessi di soggetti televisivi nazionali al mercato delle Tlc, il rallentamento forzato del broadband in Italia, infine gli equilibri interni di Telecom Italia in vista delle scadenze di governance previste. E addirittura, in questo caso, i rischi maggiori potrebbero provenire dal fuoco amico.