Diritto d’autore, contenuti digitali, libertà della rete. Parte la consultazione Agcom sul diritto d’autore online

di di Giulia Arangüena |

Fondamentale dirimere il conflitto esistente tra il mondo del diritto d’autore e dei media tradizionali, da un lato, e il mondo della rete e dei nuovi media di comunicazione elettronica, dall’altro.

Italia


Giulia Aranguena de La Paz

  1. Contesto

A fine novembre del 2010, l’AGCOM dava notizia dell’avvio di una procedura di consultazione pubblica per l’adozione di misure regolamentari a tutela del diritto d’autore nell’ambito delle reti elettroniche. Un comunicato del successivo 17 dicembre ha dato evidenza della decisione di procedere a consultazione sullo schema di delibera recante i lineamenti del provvedimento, che l’AGCOM intende assumere nell’esercizio delle sue competenze di regolamentazione del diritto d’autore online. Successivamente, il 22 dicembre, con delibera n. 668/2010/CONS, l’Autorità ha avviato la procedura di consultazione pubblica.

Pertanto, dopo la prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, si procederà alla raccolta delle considerazioni dei soggetti interessati, e a conclusione di tale processo l’Italia potrà avere un primo corpo unico di norme a disciplina del complesso rapporto sussistente tra Internet e diritto d’autore, così come nel 1998 è avvenuto negli Stati Uniti con l’emanazione del Digital Millennium Copyright Act (DMCA)[1].

 

Il documento varato dall’AGCOM il 17/22 dicembre 2010 si compone:

(i)        dello schema di delibera articolato nei “considerando” e nei “visti”, nonché nella parte dispositiva;

(ii)      di un Allegato A contenente le modalità di consultazione pubblica da seguire;

(iii)     di un Allegato B recante i lineamenti delle disposizioni, i presupposti normativi, il contenuto e le finalità della proposta regolamentare.  

 

  1. Importanza della proposta dell’AGCOM

A quasi 12 anni dal primo intervento sistematico che, in assoluto, si è avuto negli USA con l’adozione, nel 1998, del citato DMCA, i lineamenti delle future diposizioni proposte il 17/22 dicembre 2010 dall’AGCOM costituiscono, senza dubbio, il tentativo più importante fatto anche dal nostro ordinamento per avere un sistema di norme di riferimento sul copyright digitale tendenzialmente unitario ed autonomo. E ciò per porre fine, come è auspicabile, al complesso conflitto verificatosi, a partire dalla rivoluzione digitale, tra i principi informatori della proprietà intellettuale e quelli dei nuovi media.

Al di là, di tutte le considerazioni che possono farsi nel merito delle proposte avanzate, è ben vero che l’attività regolamentare sull’oggetto specifico del diritto d’autore online, che si prefigge ora l’Autorità, mira ad imprimere alla materia un’accelerazione verso una sistematizzazione che la renda autonoma e più adatta alle caratteristiche proprie delle reti di comunicazione elettronica rispetto alla tutela generale dell’attuale sistema normativo fondato sulla Legge 22 aprile 1941, n. 633 (la c.d. legge sul diritto d’autore, cioè LDA).

 

Ciò nondimeno, l’importanza maggiore dell’annunciato intervento regolamentare dell’AGCOM può facilmente essere rinvenuta nelle importantissime conseguenze che possono derivarne dal punto di vista del contesto economico-giuridico complessivo.

Senza rifarsi agli studi di storia dell’economia e di diritto dell’economia – che individuano il diritto d’autore quale l’elemento propulsivo che ha accompagnato la rivoluzione industriale ed ha costruito la fortuna dei modelli economici occidentali – è ormai pacifica la rilevanza “strategica” sul P.I.L. della c.d. economia della conoscenza, basata sulle industrie culturali, sulle opere di ingegno e, più in generale, sulla creatività umana.[2]

 

Non a caso, infatti, il diritto d’autore ha sempre avuto una vocazione internazionale ed oggi non è più regolato soltanto dalle convenzioni che si occupano esclusivamente di questa materia, ma è inserito sempre più frequentemente in accordi internazionali aventi un impatto diretto nell’ambito del commercio internazionale;[3] con ciò rivelando anche ai non addetti alla materia la crescita dell’importanza economica della proprietà intellettuale (anche nei suoi risvolti di diritto industriale). Del resto, anche i nuovi mezzi di comunicazione elettronica si pongono essi stessi nel solco dell’economia della conoscenza (da qui il conflitto con il diritto d’autore) e ne costituiscono, ormai, degli strumenti formidabili di sviluppo, data la loro innegabile efficacia per scambiare idee, trasferire cultura e condividere informazioni, nonché, in via ancor più generale, per accrescere la stessa conoscenza stimolando sempre più persone alla creazione di opere di ingegno in ambito tecnico, industriale ed artistico e realizzare, così, le condizioni del progresso comune.

Pertanto, il temperamento dei meccanismi tradizionali del diritto d’autore con le esigenze e con i valori emersi con la diffusione delle nuove tecnologie costituisce un passaggio obbligato, e non solo per il diritto d’autore. Anche per i mezzi di comunicazione elettronica, infatti, è un’occasione di primaria importanza fronteggiare le regole e i meccanismi tipici del diritto d’autore, da sempre utilizzati dall’economia moderna a presidio dei modelli di business.

Sicché, un utile raffronto tra i due mondi che dia vita ad una fusione delle prospettive all’interno di una disciplina di diritto unitaria, in grado di porre le basi per una crescita economica, è non solo auspicabile, ma sarebbe un avvenimento epocale per il nostro ordinamento. In tale ottica, sarebbe oltremodo meritorio se a quanto sopra potesse riuscire l’AGCOM con la futura disciplina sul copyright digitale che si ripropone di emanare al termine della consultazione pubblica decisa il 17/22 dicembre 2010.

 

Dunque, a prescindere dalle numerose questioni problematiche rilevabili nel documento dell’Autorità, ovvero dagli esiti effettivi della consultazione, quel che è doveroso sottolineare è l’importanza stessa di porsi come obiettivo quello di dirimere il conflitto esistente tra il mondo del diritto d’autore e dei media tradizionali, da un lato, e il mondo della rete e dei nuovi media di comunicazione elettronica, dall’altro. Naturalmente, l’esistenza nel nostro mercato interno di squilibri e di fenomeni distorsivi lasciano intravedere molta incertezza sull’effettiva realizzazione dei propositi di unificare nell’ambito del concetto unico di copyright digitale valori fino ad ora inconciliabili.

Ma, quel che può dirsi certo, in senso generale, è che provarci non fa mai male.

 

  1. Questioni relative alle proposte dell’AGCOM

Data l’importanza intrinseca della proposta dell’AGCOM, tutti i rilevi che possono muoversi ai lineamenti di disposizioni di cui all’Allegato B della delibera n. n. 668/2010/CONS non devono considerarsi delle censure preventive di diposizioni che, peraltro, ancora non ci sono.

Infatti, lo scopo del presente contributo vuole essere, appunto, senza alcuna ambizione di completezza d’analisi, quello di tentare di sottolineare eventuali profili di problematicità, per porre critiche costruttive, alimentare il dibattito e fornire, ad ogni buon conto, un qualche motivo di  riflessione su alcuni aspetti del provvedimento emanato dall’Autorità il 17/22 dicembre del 2010. Solo in tale ottica, pertanto, debbono essere valutate tutte le seguenti considerazioni in merito agli aspetti più critici delle proposte dell’AGCOM, sui quali si ritiene che sussistano i problemi principali.

A) Nell’esaminare i presupposti normativi dei suoi poteri, l’AGCOM ha delineato un sistema di sovra-ordinazione che limita fortemente la SIAE nelle sue funzioni  istituzionali. Tuttavia, deve notarsi che se da un lato l’AGCOM, in quanto autorità amministrativa indipendente, può far leva sulla c.d. teoria dei poteri impliciti[4] per estendere la sua potestà ispettiva e di controllo (e regolamentare) su tutti i contenuti protetti da copyright purché transitanti sulle reti, dall’altro, la SIAE, secondo l’attuale quadro normativo, mantiene sempre la sua legittimazione a compiere tutte le attività previste dall’art. 182 bis LDA, e può espletare compiti di vigilanza e controllo anche attraverso la gestione online dei suoi repertori, concedendo licenze ed amministrando i relativi diritti d’autore sulle opere protette.

 

Da ciò può conseguirne una confusione non di poco conto. E’ evidente, infatti, che la mancanza di una norma primaria di chiarificazione degli ambiti operativi della SIAE e di AGCOM, in tema di vigilanza sulla materia del diritto d’autore online, potrebbe avere un impatto deteriore in termini di certezza del diritto ed alimenterebbe conflitti di attribuzione tra i due enti, minando seriamente la possibilità di un assetto sistematico della materia e ritardando la formazione di una disciplina unitaria e di prassi certe di cui il settore ha estrema urgenza.

B) L’incompletezza dell’ambito oggettivo della futura disciplina del copyright digitale derivante dal difetto normativo delle fonti legali del potere dell’AGCOM sul perimetro generale del diritto d’autore ai sensi dell’art. 182 bis LDA.

C) La perdurante sussistenza di detti limiti alla sfera d’azione dell’AGCOM sul contesto generale delle opere promettete tuttora rilevabile anche dopo l’emanazione del decreto Romani che ha introdotto il nuovo art. 32 bis nel tessuto del T.U. dei servizi di media audiovisivi e radiofonici di cui al D.Lgs. n. 177/2005, conferendo pienezza di poteri all’Autorità solo ed esclusivamente in tema di opere audiovisive e di relativo copyright.

D) La necessità di rispettare i limiti espressi dalla delega legale contenuta nel nuovo art. 32 bis, per una formulazione regolamentare dei divieti posti in tema di copyright digitale che tenga conto della possibilità di applicarli ai soli fornitori di servizi di media audiovisivi che risultino in concorrenza effettiva con la televisione, così come previsto dall’effettiva sfera d’azione del nuovo T.U. dei servizi di media audiovisivi e radiofonici ex D.Lgs. n. 177/2005.

E) La mancanza – nel novero delle proposte a sostegno dell’offerta legale dei contenuti protetti e dello sviluppo del mercato delle opere digitali -, di scelte precise ed azioni positive mirate a garantire l’effettiva concorrenza tra i fornitori di servizi di media audiovisivi e superare tutte le anomalie distorsive esistenti nel nostro mercato. E ciò pare ancor più grave laddove si consideri che l’AGCOM, sulle reti di comunicazione elettronica, è l’autorità garante della  promozione e lo sviluppo in regime di concorrenza delle risorse nel settore audiovisivo, della verifica di posizioni dominanti, del servizio universale, e della tutela del pluralismo sociale nei media (cfr legge istitutiva (Legge 31 luglio 1997, n. 249 c.d. legge Maccanico e Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al D. Lgs. n. 259/2003 ), e che a tali fini è dotata di tutti i poteri necessari per operare.

F) La genericità nell’individuazione dei soggetti autorizzati alla sottoscrizione delle licenze collettive estese sul versante dei contraenti delle società di gestione collettiva dei diritti autorali e dei diritti connessi; vale a dire nella determinazione dei futuri soggetti licenziatari e beneficiari della concessione dei diritti di utilizzo economico delle opere digitali.

G) La carenza di indicazioni in merito al rispetto del c.d. “three step test“,[5] elaborato in ambito internazionale quale criterio di legittimità complessiva dei sistemi di remunerazione del diritto d’autore basato sul meccanismo delle licenze collettive estese, qualora gli effetti estensivi e generali delle stesse vangano garantite per disposizioni normative e regolamentari.

H) La criticità del sistema proposto per determinare l’estensione regolamentare degli effetti della licenza collettiva, sia dal punto di vista generale dei principi fondamentali della libertà ed autonomia contrattuale garantita dall’ordinamento a tutti i soggetti, sia dal punto di vista specifico dei limiti legali della delega ricevuta dal decreto Romani con l’art. 6 del D.Lgs. n. 44/2010.

I) La criticità del sistema sanzionatorio previsto a corredo della procedura di  notice and take down delineata per la rimozione selettiva dei contenuti digitali diffusi nelle reti elettroniche in violazione del copyright digitale. Il sistema sanzionatorio complessivo che deriva dalle proposte dell’AGCOM è piuttosto articolato e particolarmente rigoroso. Da esso risulta che il potere di imporre sanzioni è rafforzato dalla possibilità di irrogare ammende (sanzioni pecuniarie),[6] di estendere la competenza territoriale per la rimozione dei tutti i contenuti illeciti anche nei confronti di quell’operatore che abbia i propri server fuori dall’Italia, ovvero dalla possibilità, proposta in via alternativa, di misure sanzionatorie di tipo preventivo come la predisposizione di black list  di siti illegali per impedire l’accesso ad essi.

Ebbene, in tale quadro complessivo, ferma ed impregiudicata la piena legittimità dell’Autorità di imporre sanzioni ai sensi dell’art. 1, comma 31 della sua legge istitutiva (nonché dell’art. 98 del Codice delle comunicazioni elettroniche ex D. Lgs. n. 259/2003), si potrebbe delineare, in forza del principio di legalità, un profilo fortemente problematico qualora, in sede regolamentare, l’AGCOM non limiti il suo potere sanzionatorio solo all’ambito oggettivo degli audiovisivi e dei servizi di media audiovisivi, ma lo voglia estendere al perimetro complessivo di tutti i contenuti digitali protetti dalla legge sul diritto d’autore, stante la mancanza  nel nostro ordinamento una norma di fonte primaria in tal senso.

 

E’ il caso di osservare, infatti, che l’art. 182 bis della LDA ex Legge 22 aprile 1941, n. 633, laddove attribuisce all’Autorità il potere di vigilanza (in concorrenza con SIAE) in materia di violazioni del diritto d’autore, si limita ad indicare quale fine ultimo di tale attività quello di “prevenire” e “accertare” dette infrazioni, senza aggiungere anche il potere di sanzionarle; e, nel nostro ordinamento, specie in tema di sanzioni, non c’è spazio per interpretazioni estensive o in via analogica in mancanza di una norma espressa di rango primario. Per le sanzioni, siano esse conseguenti ad illecito penale o più semplicemente di tipo amministrativo, vale il consolidato principio di stretta legalità in base al quale non si può punire né sanzionare “se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso“.[7] Ne deriva che, anche nell’ipotesi di accertata violazione del diritto d’autore su contenuti digitali diversi dagli audiovisivi (es. opere editoriali in senso stretto), l’Autorità  non potrebbe validamente applicare una sanzione amministrativa, data l’assenza di una disposizione di legge che a ciò espressamente l’autorizzi (in caso contrario occorrerebbe valutare la sussistenza delle ipotesi di violazione di legge ed eccesso di delega). [8]

 

L) L’attuale impossibilità di far ricorso ad un implied power dell’Autorità (sulla base della teoria dei c.d. poteri impliciti) per giustificare l’introduzione di eventuali misure sanzionatorie di tipo preventivo, come possono essere le black list dei siti illegali, volte ad impedire l’accesso da parte degli utenti con l’imposizione di sistemi di filtering, a causa della sussistenza, allo stato, di una esplicita prerogativa in tal senso in capo alle  autorità di polizia e del potere giudiziario.[9]

H)     La scarsa coerenza della proposta di coinvolgimento attivo degli ISP con l’attuale regime giuridico di irresponsabilità e neutralità che deriva a loro favore per effetto di espressi principi comunitari, tanto con riferimento all’imposizione di condotte anche di tipo contrattuale, quanto con riferimento alla previsione di obblighi di sorveglianza ed informazione sull’attività dei loro utenti e del traffico Internet.[10]

Ebbene, su tutte le predette questioni ci si augura che la consultazione pubblica decisa dall’AGCOM con la delibera n. 668/2010/CONS possa fornire le soluzioni più adeguate.

 

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[1] Con l’adozione del Digital Millennium Copyright Act (DMCA) del 1998, gli Stati Uniti sono stati il primo paese occidentale a regolare ed adeguare la disciplina del copyright secondo le mutate esigenze della diffusione e circolazione dei contenuti protetti attraverso Internet. Il § 512 del DMCA prevede la procedura di “notifica e ritiro” (“notice and takedown procedure“) di tutti i materiali che si presumono in violazione dei diritti d’autore, purché la segnalazione soddisfi taluni requisiti formali prestabiliti. A tale disciplina si richiama espressamente l’AGCOM, specie nel formulare le sue proposte volte ad introdurre un sistema di protezione del copyright digitale. 

[2] Basti pensare, solo a titolo esemplificativo, alla recente consultazione indetta dall’Unione Europea e scaduta il 5.1.2010, sul documento di riflessione, denominato “Creative Content in a European Digital Single Market: Challenges for the Future” (Contenuti creativi nel mercato unico europeo del digitale: sfide per il futuro) dell’ottobre del 2009. Con tale documento di riflessione la Commissione Europea ha raccolto la sfida della creazione di un mercato unico europeo dei contenuti digitali e creativi al fine di concretizzare tutti quei vantaggi economici che discendono dalla c.d. economia della conoscenza.

[3] Col trascorrere degli anni, il diritto d’autore è stato introdotto in altri importanti strumenti internazionali tra i quali: a) l’accordo TRIP2 (la convenzione TRIPs – Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights, venne sottoscritta a Marrakesh nel 1994 all’interno del più generale accordo che istituì l’Organizzazione Mondiale del Commercio, WTO); b) i trattati WIPO Copyright Treaty (WCT) e WIPO Performance and Phonograms Treaty (WPPT) entrambi siglati a Ginevra nel 1996.

[4] Cfr G. Morbidelli, Il principio di legalità ed i c.d. poteri impliciti, in Dir. Amm., 2007, p. 703. Sulla base di detto principio, tutta l’attività di regolamentazione secondaria troverebbe piena legittimità (a prescindere dalla stretta applicazione del principio di legalità) ogni qualvolta il legislatore si limiti a tracciare le finalità di un precetto, delegando di fatto all’Amministrazione investita della norma il potere implicito di determinare in concreto la competenza che le è stata attribuita.

[5] Il c.d. Three-Step Test (3ST) ha fatto la sua prima apparizione nel lontano 1967 nella fase di revisione della Convenzione di Berna per la Protezione della Opere Letterarie ed Artistiche del 1886 (vedi art. 9, comma, 2). Col trascorrere degli anni è stato introdotto in altri importanti strumenti internazionali tra i quali quelli già citati nella precedente nota n. 3. Da ultimo, il Three-Step Test (3ST) è stato codificato dalla Direttiva 2001/29/CE che pone tre condizioni di conformità delle eccezioni e delle limitazioni al diritto d’autore che possono essere applicate solo: i) in determinati casi speciali; ii) qualora non contrastino con il normale sfruttamento dell’opera e che iii) non arrechino ingiustificato pregiudizio ai titolari dei diritti. Per una analisi maggiore del 3ST si veda il contributo di T. Margoni, Centro Nexa, Politecnico di Torino, reperibile qui.

[6]  La responsabilità che deriva in caso di violazioni del copyright digitale, in capo agli operatori delle reti di comunicazione elettronica, è di tipo amministrativo e potrà dare luogo, secondo le proposte dell’AGCOM, sulla base dell’art. art. 1, comma 31 della Legge 31 luglio 1997, n. 249 (c.d. Legge Maccanico, cioè la legge istitutiva dell’Autorità), anche all’applicazione di una sanzione pecuniaria.

[7] Principio questo sancito espressamente dall’art. 1 della legge 24 novembre 1981, che pone per le sanzioni amministrative una riserva di legge assimilabile (sia pur non perfettamente coincidente) a quella stabilita dall’art. 25 della Costituzione italiana per i reati.

[8] A tale lacuna, peraltro, diversamente da quanto precisato dall’AGCOM, non soccorre il recente intervento legislativo rappresentato dal decreto Romani, che ha introdotto il nuovo art. 32 bis nel tessuto del T.U. dei servizi di media audiovisivi e radiofonici di cui al D.Lgs. n. 177/2005. Infatti, detta norma, a nostro avviso, non pare idonea a legittimare eventuali estensioni dei poteri sanzionatori dell’AGCOM oltre i limiti (oggettivi e soggettivi) espressi nella disposizione in questione e nella disciplina complessiva in cui si inserisce (cioè settore degli audiovisivi e fornitori di media audiovisivi).      

[9] In questo senso, art. 1, della Legge 22 maggio 2004, n. 128.

[10] Il principio dell’irresponsabilità civile e penale dei “fornitori di connettività alle reti” (ISP) deriva dal D.Lgs. n. 70/2003 sul commercio elettronico che ha attuato la relativa disciplina assunta a livello europeo (Direttiva 31/2000/CE).

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