Unione Europea
La semplice utilizzazione di un sito internet da parte del commerciante non determina, di per sé, l’applicazione delle regole di competenza giurisdizionale di tutela nei confronti dei consumatori di altri Stati membri.
Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza relativa a casi di persone che avevano acquistato servizi turistici via internet in Stati esteri.
La Corte ha, infatti, dichiarato che “La semplice utilizzazione di un sito Internet da parte di un commerciante a fini commerciali non significa, di per sé, che la sua attività sia diretta verso altri Stati membri, il che determinerebbe l’applicazione delle norme di competenza giurisdizionale di tutela previste dal regolamento”.
La Corte ritiene che, ai fini dell’applicabilità di tali regole nei confronti dei consumatori di altri Stati membri, il commerciante debba aver manifestato la propria volontà di avviare relazioni commerciali con i consumatori medesimi.
Vengono, quindi, individuati gli indizi che consentono di dimostrare che il commerciante intendesse avviare rapporti commerciali con consumatori domiciliati in altri Stati membri. Tra tali indizi figurano le espresse manifestazioni della volontà del commerciante di avviare rapporti commerciali con tali consumatori, ad esempio, offrendo i propri servizi o i propri beni in più Stati membri specificatamente indicati o impegnando risorse finanziarie in un servizio di posizionamento su Internet presso il gestore di un motore di ricerca al fine di facilitare ai consumatori domiciliati in detti Stati membri differenti l’accesso al proprio sito.
Altri indizi idonei a dimostrare la sussistenza di un’attività diretta verso lo Stato membro di domicilio del consumatore possono essere la natura internazionale dell’attività, propria di talune attività turistiche.
Ma anche la menzione di recapiti telefonici con indicazione del prefisso internazionale, l’utilizzazione di un nome di dominio di primo livello diverso da quello dello Stato membro in cui il commerciante è stabilito (ad esempio: «.de») o, ancora, l’utilizzazione di nomi di dominio di primo livello neutri (quali “.com” o “.eu”), la descrizione di itinerari a partire da uno o più altri Stati membri verso il luogo della prestazione dei servizi nonché la menzione di una clientela internazionale composta da clienti domiciliati in Stati membri diversi, in particolare mediante la presentazione di testimonianze provenienti dai clienti medesimi.
Anche il sito internet che consenta ai consumatori di utilizzare un’altra lingua o un’altra moneta rispetto a quelle abitualmente utilizzate nello Stato membro del commerciante, può dimostrare l’attività’ transfrontaliera del commerciante stesso.
La Corte ha però precisato che non costituiscono invece indizi in tal senso né la menzione, su un sito Internet, dell’indirizzo di posta elettronica o geografico del commerciante, né l’indicazione dei propri recapiti telefonici privi di prefisso internazionale, in quanto tali informazioni non evidenziano che il commerciante dirige la propria attività verso uno o più Stati membri. (r.n.)