Stefano Ciccotti (Quadrato della Radio): ‘Investire in ICT e alta formazione, il modo più efficace per stimolare la ripresa ed uscire dalla crisi’

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Stafano Ciccotti

Riportiamo di seguito l’intervento di Stefano Ciccotti, presidente di ‘Quadrato della Radio’, in occasione della presentazione ai soci dell’Associazione dello Studio ‘Riprendere a crescere con l’ICT: quale ruolo per l’università, le istituzioni e le imprese’, che si è tenuta a Roma il 30 novembre 2010.

 

 

Sulla base di numerosi studi internazionali può considerarsi accertato che le telecomunicazioni, e più in generale le “Information and Communication Technologies”, in virtù del loro ruolo di tecnologie abilitanti, generano spillover rimarchevoli, con ricadute su tutto il tessuto economico e sociale. I benefici economici indotti si misurano in termini sia di crescita di produttività del sistema delle imprese che di aumento del numero di attività economiche. Le telecomunicazioni poi, specialmente quelle a banda larga e ultra larga, permettono anche di ridurre in misura sostanziale vari costi produttivi e la crescita di efficienza economica che ne deriva contribuisce anche all’aumento del PIL.

A supporto di queste affermazioni ci potremmo appellare a molti indicatori, tutti tra loro sostanzialmente concordi, ma basta forse un dato soltanto per dare la misura della crescita economica e di produttività legata alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione: secondo una stima della Commissione europea, infatti, ben il 40% della crescita economica dell’Unione può essere attribuito alle infrastrutture ICT.

 

Le ICT rappresentano un fattore cruciale di crescita sia per gli effetti diretti che per quelli indiretti. Fra gli effetti diretti possiamo ricordare la crescita dell’industria e la creazione di nuovi posti di lavoro, sia nello stesso settore ICT che in settori adiacenti, a cui possiamo aggiungere l’attrazione di investimenti e la nascita di imprese nei settori del software e delle applicazioni. È stato stimato infatti che le telecomunicazioni da sole hanno stimolato per 1/3 la crescita delle economie nei paesi Ocse. A questo si aggiunge, naturalmente, la crescita culturale in un settore “knowledge-intensive“, ossia caratterizzato da alta intensità di conoscenza.

 

Ma sono forse gli effetti indiretti quelli più rilevanti per la Società: la crescita economica e di produttività del Paese, l’impulso a settori tradizionali ancora a bassa penetrazione dell’informatizzazione, l’accresciuta efficienza della Pubblica amministrazione e delle Piccole e Medie Imprese, i benefici dovuti al contenimento delle emissioni inquinanti per la riduzione dei viaggi d’affari e quelli associati alla riduzione della incidentalità sulle strade, con ciò che questo comporta in termini di riduzione di sofferenze e degli enormi costi sanitari e sociali associati.

 

Nei Paesi avanzati con un’economia fortemente basata sulle attività ad alto valore aggiunto come l’Italia, anche gli investimenti in formazione presentano un poderoso saldo attivo. La conoscenza è oggi un fattore primario di successo e un elemento di vantaggio competitivo essenziale per le imprese, in quanto capace di generare innovazione e di creare valore. Ma nell’odierna economia basata sulla conoscenza l’Italia spende solo il 4,5% del PIL nell’istruzione scolastica contro una media Ocse del 5,7% (tra i Paesi industrializzati solo la Slovacchia spende una percentuale inferiore). Nell’università, poi, la spesa media per studente, inclusa l’attività di ricerca, è di 8.600 dollari contro i quasi 13mila della media Ocse.

 

Secondo uno studio, realizzato da Ambrosetti nel 2009 per la Conferenza dei Rettori, la formazione universitaria nel decennio 2010-2020 potrebbe essere complessivamente in grado di generare per il Paese oltre 11 punti di PIL, ossia in media oltre un punto percentuale di PIL all’anno. Per comprendere meglio la portata di questo dato, basti pensare che nel decennio 1998-2007 il valore medio del PIL accumulato per anno dall’Italia è stato poco meno del 1,4%, dato questo che si può considerare sostanzialmente stabile nel periodo precedente alla grande crisi dei mercati che ha preso avvio nel 2008.

In altri termini, gli investimenti in formazione universitaria sembrano da soli in grado di produrre un effetto sul PIL del tutto confrontabile con il dato medio di crescita che si è rivelato tipico dell’Italia nell’ultimo decennio.

Dunque, se da un lato lo sviluppo dell’ICT comporta la crescita del PIL e dall’altro gli investimenti in formazione universitaria sono anch’essi in grado di indurre su una società industriale avanzata come la nostra benefici ampi ed economicamente quantificabili, tutto questo indurrebbe a ritenere che l’Italia debba prestare una particolare attenzione proprio all’alta formazione universitaria nel settore ICT quale fondamentale leva per generare una crescita poderosa e stabile del Paese. E a questo impegno ci si dovrebbe applicare subito, proprio per porre basi solide per uscire meglio e più in fretta dall’attuale preoccupante crisi economica. Per l’Italia dovrebbe rappresentare un vero e proprio “MUST” indirizzare a questo obiettivo tutte le forze disponibili, sia pubbliche che private, attraverso un coordinato sforzo di sistema che coinvolga l’università, le istituzioni e le imprese, giacché gli studi universitari nei settori delle ICT rappresentano la fondamentale cerniera di un sistema-paese, senz’altro avanzato ma in evidente difficoltà, che voglia riavviare il motore della crescita.

 

Ciò premesso, si deve però purtroppo constatare un vero e proprio paradosso: la continua diminuzione di immatricolazioni di studenti in telecomunicazioni e in informatica nel decennio trascorso. A questo grave fenomeno corrispondono insufficiente impegno dell’università a cercare soluzioni, scarsa attenzione del mondo dell’impresa persino a comprenderne le ragioni, totale disinteresse del mondo politico e dei media. Nell’insieme ciò comporta anche un carente sforzo a fare comprendere a studenti e famiglie che la scelta di un percorso formativo in questo settore, al di là delle contingenze legate alla crisi economica, generale e di settore, rappresenta un investimento per il futuro degli stessi giovani e del Paese.

 

Ma quali sono i numeri del problema?

 

Le fonti ministeriali riportano che nel quinquennio trascorso (2004-2009) le immatricolazioni universitarie su base nazionale sono diminuite del 12,7%: questo fenomeno di diminuzione degli ingressi all’Università dipende soprattutto dal calo demografico. In questo quadro, tuttavia, le immatricolazioni nell’insieme dei settori dell’ingegneria hanno complessivamente tenuto bene: infatti sono diminuite soltanto dell’1,4%, sia pure con un trend discontinuo nel quinquennio, indicando una forte ripresa (+5,5%) nell’ultimo anno accademico esaminato. Quindi le facoltà di ingegneria in Italia hanno retto complessivamente molto bene rispetto agli altri studi universitari.

D’altra parte, nel medesimo quinquennio le immatricolazioni ai corsi di ingegneria informatica sono diminuite del 24%, mentre quelle relative ai corsi di ingegneria delle telecomunicazioni sono addirittura scese del 60%, con una perdita di oltre mille nuove iscrizioni. Inoltre il rapporto di immatricolati tra informatica e telecomunicazioni mostra un trend sempre sfavorevole per quest’ultima. Si passa infatti dal rapporto 3 a 1 nell’anno accademico 2004-2005 a circa 6 a 1 nell’ultimo anno accademico esaminato (ossia il 2008-2009). A questo proposito può essere utile rammentare i dati del più recente rapporto Assinform che mostrano che, in un mercato dell’ICT in Italia del valore annuo di circa 61 miliardi di euro, lo share è ribaltato: circa 70% di volume d’affari delle TLC contro il 30% dell’Informatica.

 

Il fenomeno regressivo, poi, appare generalizzato e non risparmia neppure le Scuole politecniche storicamente più affermate e radicate. Ad esempio le matricole TLC iscritte al Politecnico di Milano nel decennio compreso tra l’anno accademico 2000-2001 e il 2009-2010 sono passate da 434 a soli 79, con una riduzione del 82%. C’è anche chi ha fra l’altro fatto notare un’impressionante correlazione, che non può essere del tutto casuale, con la perdita di valore dell’azione di Telecom Italia che nello stesso decennio è risultata pari al 86%: dunque, un crollo pressoché della stessa entità. Non c’è dubbio infatti che le contingenze di un settore caratterizzato a livello mondiale dallo scoppio, nel 2000, della cosiddetta “bolla di Internet” e a livello nazionale dalle vicissitudini di grandi gruppi industriali hanno contribuito a produrre disaffezione e sconcerto fra studenti e famiglie.

 

Occorre dunque un’azione di recupero pronta ed energica. Ma data la complessità del problema si richiedere un intervento coordinato di tutti gli attori coinvolti, dalle Università alle Istituzioni alle Imprese che dovrebbero generare un vero e proprio “triangolo virtuoso”.

Il Quadrato della Radio, associazione di persone del mondo delle Telecomunicazioni selezionate tra esponenti dell’università, della ricerca scientifica, dell’industria di settore e delle istituzioni, è tradizionalmente attivo su temi di importanza strategica per l’Italia e promuove, sia attraverso convegni che costituendo gruppi di studio ad hoc, l’approfondimento culturale su temi di attualità pressante per capire, informare e proporre soluzioni.

Lo studio “Riprendere a crescere con l’ICT: quale ruolo per l’università, le istituzioni e le imprese” che oggi presentiamo in bozza e del quale prevediamo la finalizzazione nei primi mesi del 2011, una volta che siano stati raccolti commenti e contributi dei Soci e di altre personalità del settore – che desidero qui ringraziare in anticipo per il prezioso contributo di idee che vorranno dare – rientra a pieno titolo in queste iniziative del Quadrato della Radio che mirano alla crescita del settore delle telecomunicazioni e del Paese. La ricerca si è svolta anche attraverso una serie di interviste con specialisti, sia accademici che industriali, oltre che sulla base dell’esame di dati ufficiali di fonte ministeriale.

 

Quali sono le principali proposte che avanziamo?

 

Su questo si aprirà il dibattito, ma si può già anticipare che alcuni punti sembrerebbero chiari:

• La divaricazione tra gli insegnamenti impartiti in Università e i percorsi formativi che sarebbero richiesti in azienda è andata crescendo anche per la velocità notevole di evoluzione delle tecnologie e dei mercati. Quindi, il modello formativo nel settore ICT necessiterebbe adeguamenti per tenere conto di un processo di cambiamento in atto.

• Il modello di riforma della didattica 3+2 ha mostrato, quanto meno, di non essere ben compreso dal mondo delle Imprese che disdegna quasi totalmente di accogliere i laureati a 3 anni per concentrarsi unicamente sui laureati a 5 anni. Esso dunque non risponde, così come è, alle necessità della Società italiana e delle imprese ICT.

• La relazione tra Imprese e Università sui temi della formazione superiore con il tempo è andata assottigliandosi ed esistono ormai seri problemi di comunicazione tra questi due mondi, con il risultato che da un lato non si trasferiscono le esigenze e dall’altro non si illustrano le eccellenza, che ci sono, da cui si dovrebbe partire per potenziare una formazione superiore più aderente alle necessità.

• Manca infine una strategia di comunicazione comune nei confronti degli studenti e delle famiglie per informare sul vero valore prospettico delle lauree nei settori delle Telecomunicazioni e dell’Informatica.

 

Ma quando si esamina con attenzione rapporto tra Imprese e Università nel settore ICT, tenuto anche conto del ruolo di facilitatore che le Istituzioni dovrebbero essere chiamate ad esercitare (quello che abbiamo chiamato prima il “triangolo virtuoso”), ci si rende conto che il problema è anche più ampio: riguarda sì le politiche dell’alta formazione, ma non disgiunte da quelle della ricerca applicata e dell’innovazione industriale. In altri termini, per trovare soluzioni efficaci e durature occorre la consapevolezza che quando si parla del rapporto tra Industria, Università ed Istituzioni, siamo dinanzi ad un problema sistemico. Infatti, da un lato l’Università è spesso impermeabile alle richieste delle Imprese, ma dall’altro le Imprese non sanno cosa chiedere e come farlo. Tutto questo ha senz’altro valore più generale, ma contribuisce a produrre gli effetti negativi di cui si è detto specialmente nel mondo ICT.

 

Inoltre è assolutamente inesistente una qualsiasi forma di attenzione a livello di “sistema”: mancano politiche finalizzate quali defiscalizzazioni, sistemi di incentivazioni, piani di allocazione di fondi volti ad incentivare gli sforzi di avvicinamento tra Università e Imprese.

Come conseguenza, sempre più la relazione tra Università è mondo delle Imprese tende a restare episodica e nel complesso disorganica. Dato il ruolo in prospettiva fondamentale per sviluppo economico e ripresa è proprio dal settore ICT che occorre partire per proporre un nuovo modello.

 

Tutti questi problemi sono poco studiati in Italia, e il comparto ICT non fa eccezione. La difficoltà di reperire dati specifici sul problema delle lauree nelle ICT e sulla dinamica del mercato del lavoro con riferimento all’occupazione dei giovani laureati nel settore, ha spinto perciò il Quadrato della Radio a prevedere il lancio di un Osservatorio permanente sul tema, da avviare e condurre anche con altri soggetti, sia pubblici che privati, che vorranno raccogliere l’invito a collaborare. Come primo passo si dovrà estendere la raccolta dei dati avviata con lo studio che oggi presentiamo in bozza, anche attraverso un più ampio impiego dello strumento, che si è già rivelato molto proficuo, delle interviste presso il maggior numero possibile di sedi universitarie e di imprese del settore.

Tra i principali scopi del costituendo Osservatorio sull’alta formazione nelle ICT e sulle relazioni Impresa-Università si intende assistere i decision maker accademici nell’identificazione delle figure professionali che le aziende potrebbero richiedere nel settore, attraverso la disponibilità di analisi e dati affidabili. Ma si intende anche identificare e stimolare una migliore focalizzazione delle iniziative congiunte per ricerca applicata nell’ICT e promozione dell’innovazione che avvicinino i due mondi dell’Università e dell’Impresa.

 

Uno stretto rapporto dell’Osservatorio con il mondo dei media, poi, potrà consentire a studenti e famiglie di meglio comprendere le opportunità e le dinamiche del settore per una scelta più consapevole dei curricula studiorum. E servirà da stimolo alle Istituzioni pubbliche perché questi importanti problemi trovino posto nell’agenda del Paese.

Investire nelle ICT e nell’alta formazione ICT – non solo denaro ma anche tempo ed energie come sta facendo il Quadrato della Radio – è probabilmente il modo più efficace per stimolare la ripresa ed uscire dalla seria crisi economica globale che non ha risparmiato l’Italia. Occorre farlo ora.

 

 

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