Italia
Gli operatori tlc non ci stanno a essere i soli a dover pagare le frequenze del dividendo digitale esterno e chiedono che a mettere mano al portafogli siano anche le Tv o nessuno.
Per i cinque multiplex per la trasmissione in digitale terrestre si procederà, infatti, con un beauty contest (una gara ‘non competitiva’ con un meccanismo di assegnazione a costo zero ma basato su una serie di obblighi in termini di investimenti sulle infrastrutture), mentre per le frequenze del dividendo digitale esterno (quelle destinate agli operatori tlc) si prevede un’asta da cui il Governo spera di ottenere almeno 2,4 miliardi di euro, che andranno a coprire in parte la Legge di Stabilità e non a finanziare, come auspicato da molti – e anche da Bruxelles – nuovi investimenti nel settore delle telecomunicazioni.
A lanciare la provocazione, in vista dell’attesa asta delle frequenze che verranno liberate dal passaggio alla Tv digitale e da cui il governo attende dagli operatori tlc introiti per circa 2,4 miliardi di euro, è stato il fondatore di Tiscali, Renato Soru, che si chiede: “…come mai le frequenze per le tv sono gratis e quelle per le TLC no?”.
Sottolineando l’insensatezza delle argomentazioni legate al fatto che la Tv è un servizio pubblico, Soru ha ricordato che molti gruppi attivi nel settore delle telecomunicazioni non possono contare su una florida cassa, eppure offrono posti di lavoro e servizi da tutti giudicati volano di crescita economica e sociale e ha affermato: “…oggi è inammissibile spiegare perché è considerato servizio pubblico un ennesimo canale digitale che non guarda nessuno e non si metta a disposizione degli operatori di TLC e quindi degli utenti la possibilità di avere accesso ad internet in banda larga a buon prezzo”, aiutando, al contempo, “società senza soldi ma non senza opportunità: “…a Cagliari – ha affermato – ora ci sono 1.200 persone che lavorano e questo credo che debba interessare di più di 10 tv private che nessuno guarda”.
Per Soru, dunque, “è ora di dare le frequenze o tutte gratis o tutte a pagamento ed è ora di organizzare la convergenza tra la rete mobile e quella fissa”.
Il numero uno di Tiscali non è stato lasciato solo dai colleghi nelle sue recriminazioni: al coro delle proteste si è unito anche l’amministratore delegato di 3 Italia, Vincenzo Novari, che – oltre a sottolineare che la società da lui guidata non avrebbe a disposizione i soldi per partecipare all’asta delle frequenze, ha ricordato che per questa importante risorsa, “…c’è chi ha sempre pagato e chi le ha sempre avute gratis: quando si tratta di TLC si pagano, quando si tratta di tv sono gratuite’. Eppure, ha aggiunto, ‘se spegnessimo 200 tv non ci sarebbero proteste particolari, se spegnessimo i telefonini non so cosa uscirebbe fuori’.
Anche il presidente di Telecom Italia, Gabriele Galateri, si è detto d’accordo con le istanze di Soru e Novari, definendo “condivisibili” le loro richieste.
Certo, ha sottolineato, le frequenze sono indispensabili per garantire sviluppo ed è dunque necessario procedere con l’asta per l’assegnazione delle frequenze.
“Siamo una società privata – ha affermato Galateri – ed è ovvio che meno le si paga meglio è, più soldi abbiamo per fare gli investimenti”.
Sul tema dell’asta delle frequenze è intervenuto anche il Commissario Agcom Stefano Mannoni, secondo cui il compito di stabilire le regole per l’assegnazione del dividendo digitale è “l’incombenza più terrificante’ mai assegnata all’Autorità.
Mannoni, ammettendo le attuali disparità tra il settore televisivo e quello delle telecomunicazioni – ci sono “600 tv locali che godono di una protezione feroce’ -ha affermato che le ragioni di tali disparità vadano ricercate nel fatto che “in Italia da 30 anni la priorità è stato il pluralismo televisivo. Si ritiene che, siccome il mercato della Tv è molto meno remunerativo e redditizio di quello delle TLC, l’unico sistema sia fare entrare nuovi soggetti senza far pagare le frequenze”.
Pronta, su questo punto, la replica di Soru, che ha sottolineato che non è mai troppo tardi per cambiare le cose: “…se per 30 anni si è fatto così non significa che non si possa cambiare e guardare non al passato, ma al futuro”.
Ricordando quindi, che in tutta Europa l’assegnazione dei multiplex avviene via beauty contest, Mannoni ha concluso affermando che ‘con l’asta non si deve correre il rischio di riproporre squilibri concorrenziali’.