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Ma le nuove tecnologie – dai cellulari alle reti sociali – non dovevano facilitare i nostri rapporti sociali? Sembrava di sì, all’inizio, ma è sempre più evidente come non sia proprio così. Nell’era del virtuale, certo, si possono incontrare 100 amici senza neanche uscire di casa, vivere una storia d’amore, o troncarla, via sms, o anche condannare a morte ‘per scherzo’ il capo o il prof su Twitter.
Ma tutta questa apparente libertà, non può essere priva di conseguenze, anche serie, che si tratti della sfera privata o di quella pubblica. Ne è prova, ad esempio, l’ennesimo caso accaduto in Francia, dove 2 dipendenti sono stati licenziati per aver ‘criticato’ i loro datori di lavoro nel corso di una discussione su Facebook.
E così, le reti sociali, luoghi pubblici per eccellenza si trasformano molto spesso in un boomerang, oltre che in un pericolo per la propria sicurezza, quella delle aziende e anche quella dello Stato.
Su Facebook, Twitter & Co immettiamo una mole di dati inimmaginabile, passando dal privato al pubblico senza quasi più distinguerli: i rischi, denunciano gli esperti, non sono solo d’immagine – per quei capi che magari vengono messi alla berlina dai dipendenti trascinandosi dietro il buon nome dell’azienda – ma anche per la sicurezza. Basta un post sul lavoro che si sta svolgendo, con tanto di foto, et voila, lo spionaggio industriale è servito senza neanche rendersene conto.
Allo stesso modo, ad esempio, si può mettere a rischio il buon andamento di una missione militare o di un’indagine, come hanno evidenziato diversi scandali scoppiati negli ultimi tempi negli Usa, in Israele, ma anche in Francia, dove poliziotti e militari pare siano sempre più appassionati di Facebook, tanto da postare foto da cui si evince perfettamente la loro posizione o da attivare i servizi di geolocalizzazione nel bel mezzo di un’operazione segreta.
Abitudini che sono diventate la bestia nera degli stati maggiori, che fanno fatica a convincere i loro subordinati a ricordarsi che il dovere della riservatezza si applica anche a internet.
Riservatezza sempre più difficile da gestire anche per via del telefonino: l’80% dei tradimenti viene ormai scoperto proprio grazie alla possibilità di accedere con facilità alle chat, alla posta o agli sms del partner (è stato anche coniato un nuovo verbo, cheaxting, da cheat, tradire,e texting) anche se alla ribalta della cronaca giungono solo gli echi dei casi più celebri: ultimo caso Vip in ordine di tempo, quello della ‘casalinga disperata’ Eva Longoria, che ha scoperto i tradimenti del marito – il cestista Tony Parker – proprio sbirciando nella cartella dei messaggi del cellulare, così come era successo non troppo tempo fa al campione di golf Tiger Woods.
Dal 17 giugno del 2009, in Francia un sms costituisce una prova sufficiente per ottenere il divorzio, ma anche – in virtù di una legge approvata quest’estate, per provare di aver subito molestie psicologiche.
Certo, anche Choderlos de Laclos, nel XVIII secolo, documentava gli intrighi e le passioni a distanza nel romanzo epistolare “Le relazioni pericolose”, ma oggi, spiegano i sociologi, un sms non si può paragonare alle ‘ragionate’ missive di un tempo, perché in essi riversiamo pensieri e opinioni su tutti gli argomenti, anche i più segreti e i più intimi delle nostre vite, scrivendo quasi sempre in un moto d’urgenza, quindi senza neanche ragionare sulla reazione di chi riceverà le nostre ‘confessioni’.
Se nella vita privata l’abuso di sms e delle reti sociali può essere alla base di un divorzio, in alcuni ambiti lavorativi, come ad esempio l’esercito, un ‘uso imprudente” delle reti locali può avere “conseguenze devastanti”, ha denunciato lo Stato maggiore dell’aviazione Usa, “per la sicurezza delle operazioni e della vita privata”. Così come può essere pericoloso attivare, mentre si è in missione, i servizi di geolocalizzzazione del cellulare, tanto da spingere l’amministrazione militare a mettere in guardia i soldati sulle ‘implicazioni’ dell’uso di questi servizi che permettono di indicare agli amici, e ai nemici, dove ci troviamo.