Mondo
In questi giorni, Apple rappresenta, per il mondo delle nuove tecnologie, quello che Silvio Berlusconi rappresenta per la politica italiana: si finisce sempre per parlarne, nel bene o nel male. I Beatles sbarcano su iTunes e le pagine dei giornali si riempiono di commenti entusiastici, Google Voice viene finalmente ammesso sull’App Store, e via, tutti a parlarne, Apple lancia un nuovo prodotto e tutti i competitor serrano i ranghi, pronti a uscire con qualcosa di simile e, possibilmente migliore.
Tutti gli occhi, insomma, sono puntati sulle mosse e sulle strategie del gruppo di Cupertino, che l’eclettico Steve Jobs, come la Fenice che rinasce dalle sue ceneri, ha portato a nuova vita con una serie di prodotti e servizi – dall’iPhone all’iPad, da iTunes all’App Store – che hanno rivoluzionato tutti i settori della nuova economia digitale, dalla telefonia mobile all’offerta di contenuti digitali.
L’avvento del ciclone Apple ha sconvolto, insomma, vecchi equilibri e poteri che nessuno pensava potessero essere scalfiti, in primis, lo strapotere delle società telefoniche, che fin qui avevano fatto il bello e il brutto tempo, ma si vedono ora relegati al rango di semplici ‘trasportatori di bit’, eclissati da Apple, ma anche da Google coi suoi Androidi e dalla popolarità di Facebook, proprio nella parte più redditizia del mercato smartphone: quella dei servizi.
E così, mentre i profitti della gran parte dei maggiori operatori telefonici europei e Usa sono stagnanti o in declino, Facebook prevede quest’anno di raddoppiare il giro d’affari, a 1,4 miliardi di dollari, i profitti Apple legati alla vendita di applicazioni, sono cresciuti del 22% nell’ultimo trimestre, a quota 1,2 miliardi, e il fatturato di Google ha segnato una crescita del 23% a circa 7,3 miliardi di dollari.
Gli operatori hanno cercato di correre ai ripari, seppure con un certo ritardo, dopo essere rimasti per troppo tempo legati all’offerta di servizi – come le suonerie o i portali web proprietari – che il pubblico ha praticamente quasi ignorato. E, mentre le compagnie telefoniche, convinte di avere il pieno controllo della ‘user experience‘, si concentravano su questi servizi, si è aperto tutto un nuovo mondo, fatto di applicazioni per il lavoro, di giochi, di intrattenimento: una torta che quest’anno vale 14 miliardi di dollari – saranno 40 miliardi nel 2014, secondo le stime di Booz & Co – e di cui le telco sembrano destinati ad avere solo una piccola fetta.
Nel 2007, quando Apple lancio il suo primo iPhone, aprendo una nuova era per l’industria mobile, Gartner prevedeva che quest’anno sarebbero stati venduti 122 milioni di smartphone: previsioni ora riviste al rialzo – a quota 268 milioni di unità – sulla scia di quella che sembra una fame insaziabile di giochi, video, internet e social network in mobilità.
L’App Store, lanciato da Apple un anno dopo il lancio dell’iPhone, è cresciuto nel tempo fino a includere 250 mila applicazioni (col 70% dei profitti legati alla loro vendita lasciato agli sviluppatori) e ha costretto tutti i maggiori competitor – da Nokia a Google, da Microsoft a Vodafone – all’inseguimento.
Per supportare la crescita esponenziale del traffico dati sulle reti mobili, pensando potesse bastare solo quello, gli operatori hanno, dunque, iniziato a incrementare la capacità di banda, per consentire ai clienti di navigare dal telefonino alla stessa velocità del Pc di casa, ma si sono anche resi conto che di questo boom dei nuovi servizi, loro sembrano destinati a raccogliere solo le briciole.
“Società come Apple – ha affermato il Ceo di France Telecom, Stephane Richard – hanno bisogno dei nostri investimenti per esistere, ma per la nostra crescita questo non basta…dobbiamo trovare nuove vie per essere più utili ai nostri clienti, attraverso, magari, l’offerta di servizi di mobile banking e sanità elettronica”.
D’accordo con Richard, anche Olivier Baujard, CTO di Deutsche Telekom, la maggiore compagnia telefonica europea: “Non è solo una questione di velocità – ha detto – ma di cosa si offre con quella velocità…bisogna garantire servizi a valore aggiunto per mantenere l’Arpu”, ossia il profitto medio per utente.
I tentativi degli operatori di sfruttare la scia di Apple, Facebook e Google, lanciando servizi simili, hanno ottenuto risultati contrastanti: lo scorso anno, ad esempio, Vodafone ha lanciato Vodafone 360, un portale di social networking e applicazioni che ha attirato alla registrazione 790 mila utenti. Un po’ pochi rispetto al mezzo miliardo di utenti Facebook. A settembre, il responsabile del progetto, Pieter Knook, ha lasciato, e Vodafone non ha ancora trovato un sostituto.
“Fondamentalmente, la gente vuole solo Facebook ed è riluttante a iscriversi ad altri servizi o piattaforme”, ha sottolineato l’analista Paolo Pescatore di CCS Insight.
Agli operatori toccherà, dunque, sperimentare nuovi servizi, quali, ad esempio, le piattaforme per i pagamenti mobili – gli operatori Usa Verizon Wireless, AT&T e T-Mobile, che si sono uniti nella joint venture Isis – o l’intrattenimento ‘domestico’ ma, sostengono gli analisti, “con le loro risorse e la loro fame di crescita, gli operatori dovrebbero farsi precursori di qualcosa di veramente nuovo”. Facebook, insomma, avrebbero potuto e dovuto inventarselo loro, ma visto che ormai è troppo tardi, dal loro cilindro dovrà uscire fuori qualcosa di altrettanto dirompente.