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Keyword advertising: aziende, pubblicitari e media ancora contro Google nonostante la pronuncia della Corte europea

Francia


Concorrenza sleale e contraffazione. Sono queste le due ipotesi di reato che hanno portato pubblicitari, fabbricanti e media francesi a schierarsi contro le nuove regole del motore di ricerca Google che permettono a chiunque di potere acquistare all’asta parole chiave corrispondenti a dei marchi commerciali.

Dallo scorso mese di settembre, infatti, qualsiasi persona intende fare pubblicità sul motore di ricerca statunitense in Europa, può selezionare e acquistare all’asta il nome di un marchio di cui non è proprietario per poi sfruttarlo secondo il proprio tornaconto. Regole capestro che se da una parte fanno comodo a chi vuole beneficiare della notorietà altrui, dall’altra crea non pochi problemi a chi ha lavorato affinché quegli stessi marchi rappresentassero qualcosa di esclusivo. Un segno distintivo unico e intoccabile.

 

Poi la ‘felice idea’ di cambiare le policy sui marchi e l’arrivo di nuove regole che ne hanno, di fatto, sconvolto l’esclusività impedendo alle aziende di proteggere i propri marchi bloccandone l’acquisto o l’utilizzo da parte di terzi. Nuove policy che favoriscono i link sponsorizzati e per questo fortemente contestate non solo dai diretti interessati che hanno sin da subito recriminato tale decisione, ma anche dal sindacato francese SPQN (Syndicat de la presse quotidienne nationale) che attraverso la  pubblicazione di una nota ha indicato il rischio di un ‘parassitismo dei contenuti’ oltre che di una perdita di valore dei marchi legati all’informazione, così come della AACC (Association des agences-conseils en communication) che riguardo al ‘caso ‘ ha addirittura parlato di ‘presa in ostaggio’ dei marchi e di rischio per i consumatori che potevano essere ingannati più facilmente.

 

Disagi, problemi, polemiche e denunce che sono già arrivate addirittura sul tavolo della Corte di Giustizia europea che, valutando le istanze delle categorie commerciali riguardo proprio gli abusi evidenziati, ha stabilito che Google nel consentire agli inserzionisti l’acquisto di parole chiave corrispondenti ai marchi di impresa dei loro concorrenti, non avrebbe violato nessun diritto dei marchi.

 

Tutto questo però, non fa che aggravare la posizione dei diretti interessati che, dal canto loro, continuato a temere violazioni e appropriazioni indebite dei flussi commerciali tant’è che hanno deciso di scendere nuovamente in campo, ma stavolta rivolgersi direttamente al presidente del motore di ricerca Google, Eric Schmidt al quale hanno chiesto di “comportarsi come un partner economico leale” per non incappare in tutti quei possibili rischi che la trasformazione dei marchi in semplici parole chiave utilizzabili nelle ricerche online per le inserzioni commerciali, diventino quel mezzo illecito per ottenere un vantaggio sui ‘competitori’. Un mezzo per continuare a creare disagi e danni economici non indifferenti ai titolari di un’etichetta che, in verità, dovrebbe continuare ad essere sinonimo di garanzia di affidabilità.

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