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Rafforzare il dialogo transatlantico sulla protezione dei dati, discutere i valori condivisi e gli obblighi costituzionali, trovare possibili soluzioni comuni: questi i temi al centro dell’audizione svoltasi all’inizio di questa settimana alla commissione per le libertà civili del Parlamento europeo con l’obiettivo di raggiungere un accordo Ue-Usa sulla protezione dei dati personali nel quadro di una cooperazione giudiziaria e di polizia.
All’incontro, alla presenza degli eurodeputati della commissione Libertà civili, di rappresentanti del Consiglio e della Commissione, dell’ambasciatore americano per l’Ue e di diversi esperti di settore, si è cercato di stabilire un quadro comune da cui partire per le successive discussioni e di superare le resistenze che ancora allontanano Stati Uniti e Unione Europea, in particolare sulla retroattività di un eventuale accordo. Posizione che vede gli Usa favorevoli e la Ue contraria.
Distanze che al momento sembrano incolmabili: “Gli accordi precedenti dovrebbero essere rivisti, per non creare un’incertezza dal punto di vista legale”, ha affermato l’ambasciatore Usa William E. Kennard, mentre contraria è la posizione espressa dal deputato socialdemocratico Stavros Lambrinidis. “Se l’accordo non avrà valore retroattivo – ha detto – nasceranno grande confusione e incertezze su quanto si può fare o meno”.
“È molto importante stabilire criteri comuni in un tempo in cui aumentano sempre di più gli scambi dei dati”, ha aggiunto il verde tedesco Jan Philipp Albrecht, autore del rapporto scritto dal Parlamento, esortando a trovare in fretta un accordo.
L’invito a un accordo tempestivo è arrivato anche dal Consiglio, per voce del ministro belga alla Giustizia, Stefaan de Clerck che si è augurato di raggiungere un compromesso entro la fine di dicembre. “Al momento abbiamo sistemi troppo diversi, è un vero e proprio puzzle che complica il lavoro di funzionari e polizia”.
La Commissione ha già espresso la sua posizione al Consiglio. Ora toccherà al Parlamento dare la luce verde all’accordo finale.
Negli Usa, intanto, montano le critiche all’amministrazione Obama e alla scarsa attenzione che questa avrebbe riservato alla protezione della privacy. L’atto di accusa arriva dall’Electronic Privacy and Information Center (Epic) che ha dato i voti all’azione del governo. Voti decisamente bassi – una ‘D’ in materia di protezione delle libertà civili, rispetto alla ‘C’ dello scorso anno, attribuita perché, secondo Epic, Obama aveva ereditato molte grane dal precedente governo che aveva emanato leggi restrittive come il Patriot Act – nonostante l’impegno profuso negli ultimi tempi dall’amministrazione, che ha creato una task force inter-agenzie per la protezione della privacy su internet e sta analizzando due disegni di legge sulla stessa materia.
Ma, lo stesso, l’associazione ritiene che gli Stati Uniti siano nettamente indietro rispetto ai paesi europei in termini di risposta alle crescenti minacce alla privacy legate ai nuovi servizi internet, come i social network e i servizi di geolocalizzazione, dimostrandosi invece eccessivamente aggressivi nel controllo delle persone (dei passeggeri in particolare) e delle reti internet.
Epic ha inoltre spiegato che la Federal Trade Commission ha impiegato più di un anno per avviare inchieste sulla violazione della privacy dopo le segnalazioni del gruppo circa le pratiche illecite di Facebook o delle Google Cars impegnate a raccogliere le immagini per le mappe di Street View. La FTC ha chiuso ieri l’inchiesta, assolvendo la società alla luce dei riscontri che evidenzierebbero come “…Google sta nettamente migliorando le sue policy sulla privacy”. Non saranno quindi prese misure sanzionatorie nei suoi confronti.
Google ha ammesso venerdì scorso che le macchine del servizio Street View hanno collezionato più dati di quanto inizialmente comunicato – incluse email e password – ma la società ha assicurato alle autorità statunitensi di non aver utilizzato i dati in suo possesso. “In considerazione di questi impegni chiudiamo l’indagine” ha affermato David Vladek, direttore della divisione tutela dei consumatori presso la FTC.
Una vittoria per il gruppo di Mountain View che, tuttavia, è ancora nel mirino di 30 procuratori Usa. “Siamo contenti che la FTC abbia chiuso l’indagine e riconosciuto le iniziative intraprese per migliorare i nostri controlli interni”, ha commentato Google in una nota.
In Europa invece – ha notato il Center for Digital Democracy – dopo l’ammissione di Google sulla raccolta illecita di informazioni personali da parte delle Google Cars, la Gran Bretagna ha riaperto un’indagine precedentemente archiviata e in Italia è sceso in campo sia il Garante privacy – per imporre nuovi paletti alla raccolta di immagini – che la Procura di Roma, che ha aperto ieri un’indagine contro ignoti per ‘interferenze illecite nella vita personale’.
Il problema – ha spiegato il Garante Privacy, Francesco Pizzetti – “…non riguarda tanto le immagini prese dalla macchine, quanto piuttosto il fatto che Google ha anche catturato segnali trasmessi da reti wireless, compresi frammenti di comunicazione. Non sappiamo se sono comunicazioni interpersonali; se lo fossero, a maggior ragione saremmo ancora piú coinvolti come privacy”. In Italia per legge non è possibile usare apparecchiature che captino trasmissione di dati senza autorizzazione. ‘Se avviene può costituire illecito penale’, ha confermato Pizzetti.
“Dove sono gli Stati Uniti su questo punto? – si è quindi chiesto Jeff Chester del Center for Digital Democracy – Da nessuna parte. Tutti gli altri, però, stanno facendo passi avanti in materia di privacy e stanno lasciando gli Stati Uniti – la patria di tutte queste società Internet – molto indietro”.
L’ambasciatore Kennard ha però sottolineato che “Non è vero che gli Stati Uniti sono più attenti alla sicurezza che alla privacy…Sono i due lati della stessa medaglia e possiamo averle entrambe”.