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Convegno Asstel: Tlc e ICT volani strategici per la ripresa. In Italia presto un’Agenda Digitale per tornare a crescere

Italia


Si è tenuto ieri a Roma il convegno “Le Telecomunicazioni per l’Italia“, organizzato da Asstel, l’Associazione delle filiera delle Tlc aderente a Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, per mostrare lo stato del settore delle telecomunicazioni attraverso la presentazione del Primo Rapporto sulla filiera Tlc/ICT realizzato dalla società di analisi Analysys Mason e con la partecipazione dei ministri dell’Economia, del Lavoro e della Pubblica Amministrazione. Al dibattito hanno inoltre preso parte l’Autorità per le Comunicazioni (Agcom), Confindustria, il mondo della politica, dell’industria delle tlc, della manifattura e dell’outsourcing e le rappresentante sindacali di categoria. Una platea di addetti ai lavori e di esperti che è stata però volutamente resa aperta al pubblico, proprio per sottolineare la rilevanza strategica del mondo delle telecomunicazioni e la forte prossimità dell’industria dei servizi alle esigenze del consumatore e del cittadino. In apertura dei lavori, dopo il saluto del presidente Asstel, Stefano Parisi, è stato Federico Ciccone, Associate Partner Analysys Mason, ad introdurre quelli che sono i dati aggiornati del mercato delle Tlc e dell’ICT in Italia e in Europa. Un mercato, quello del nostro paese, che soffre la crisi economica come e più degli altri, con una decisa contrazione economica che pare più strutturale che legata alla crisi scoppiata nel 2008. “Negli ultimi quattro anni, i ricavi degli operatori sono diminuiti di 3 miliardi, di cui 1,6 nel fisso e 1,4 nel mobile. Un andamento che si è ripercosso su tutta la filiera e che anche in questi primi sei mesi del 2010 sembra voler continuare sulla strada della diminuzione, con una flessione del 2,3 % rispetto allo stesso periodo del 2009“. “La penetrazione del mobile si conferma forte, con circa 10 milioni di linee in più e un tasso che sfonda il 150% – ha confermato Ciccone – mentre va diversamente per le linee fisse, che sono calate di 5 milioni, ponendoci agli ultimi posti in Europa con il 77% di penetrazione. Anche per la banda larga fissa le notizie non sono buone, con un timido aumento del 7,3% di accessi in più, tra il 2009 e il 2010, e un dato nazionale che supera appena il 51%“.

 

Un primo quadro non molto confortante, o solo a metà, che vede prezzi tutto sommato proporzionato a quelli europei e un’offerta di servizi a banda larga che copre il territorio per l’88%. Anche la velocità di accesso sembra in linea con gli altri Paesi europei, con i 10 Mbps facilmente accessibili, un’ADSL2+ oltre il 67% e diverse opzioni che già propongono i 100 Mbps. Dati tutto sommato positivi, che ancora non spiegano, secondo il Rapporto, il perché l’Italia mostri una così bassa penetrazione di banda larga fissa, che in Francia è al 76%, in Gran Bretagna al 68%, in Germania al 64% e in Spagna al 56%. Lo studio di Analysys Mason indica inoltre un altro rilevante fenomeno, tipicamente italiano, che è la bassa alfabetizzazione informatica, nell’uso del Pc come di altri device di accesso alla rete. In molti casi dovuta ad uno scarso interesse per la tecnologia delle comunicazioni (25%) e per una difficoltà oggettiva nell’utilizzo dei dispositivi elettronici (41%). Per questo motivo, probabilmente, anche i tassi di utilizzo di servizi di eGovernment, ad esempio, sono tra i più bassi in Europa, 79% contro la media Europea dell’82%.

 

A fronte di una consistente diminuzione dei margini di guadagno, le imprese hanno comunque continuato a puntare sulla qualità. In Italia i livelli di investimento sono pari al 14%, ponendoci stavolta al secondo posto dopo la Gran Bretagna, mentre il costo del personale è rimasto invariato da 5 anni a questa parte. La rete, infatti, nonostante la crisi economica, ha visto una flessione del traffico voce su fisso, ma allo stesso tempo una straordinaria e progressiva crescita del traffico dati. Elemento importante per comprendere il perché dell’aumento di risorse per le infrastrutture, elevando li livello di accesso e di capacità delle stesse. In questo modo i servizi possono trovare il giusto spazio, pur a scapito degli apparati, che tra il 2006 e il 2009 hanno perso 1,3 miliardi di euro di fatturato. È quindi l’intera filiera a pagare la crisi e i risultati non brillanti del mercato dei device mobili (3,7 mld del 2009 contro i 3,9 del 2006) non fa che peggiorare le cose, anche a fronte del boom degli smartphone che hanno generato 1 miliardo di euro di valore.

 

Un settore, questo delle Tlc, che deve tornare però a crescere, perché considerato da tutti strategico per la ripresa economica, con un contributo potenziale di oltre 1 miliardo di euro solo dalla banda larga. A tale scopo serve una visione d’insieme più coraggiosa e supportata da un quadro di regole al passo coi i tempi. La realizzazione della NGAN, come raccomanda la Commissione Europea ad esempio, richiede un approccio regolatorio innovativo, che sappia adattarsi alle diverse caratteristiche del territorio. In Italia, a riguardo, ancora non è stato formalizzato un piano normativo per l’avvio degli investimenti privati. La scelta dei nostri legislatori è stata quella di lavorare maggiormente sul digital divide, diversamente dall’Europa dove si è preferito andare avanti sull’Agenda Digitale. I punti su cui si dovrebbero concentrare le energie e le risorse, secondo il Rapporto, sono: l’alfabetizzazione digitale, l’utilizzo di Internet, la banda larga, il mercato unico digitale, l’interoperabilità e gli standard, la ricerca e innovazione, l’inclusione digitale. Il tutto nel più breve tempo possibile, ci ricorda Analysys Mason, con il 50% della popolazione che tra il 2015 e il 2020 deve poter accedere alla banda larga ultraveloce, ai servizi di eCommerce e eGovernment.

 

Proprio sul ruolo delle Istituzioni si è soffermato Franco Bernabè, amministratore delegato di Telecom Italia, a cui non chiede altri soldi, ma certamente dei piani di sviluppo lungimiranti. “La crisi economica la paghiamo anche noi e l’aumento del traffico dati e degli accessi, che bene è stato evidenziato dal Rapporto, parla chiaro, con l’aumento degli investimenti da parte degli operatori nonostante la crisi“. “Sono molte le risorse messe in campo, a fronte di ricavi in diminuzione, e la nostra offerta sulla fibra a 100 Mega è ormai pronta al lancio“, ha spiegato Bernabè . Un piano che dovrebbe partire a Natale, secondo l’ad Telecom, con la copertura di diverse città come Roma, Milano, Catania, Bari e Torino. Ciò che non piace a Bernabè, invece, è il proliferare di soggetti in rete che offrono servizi di P2P diffusissimi in Italia, che da soli consumano i due terzi delle risorse di banda. “Una congestione che consente ad Apple, Google o gli stessi Social Network, di sottrarre risorse a chi invece investe sulle reti. Queste aziende globali sono ormai dei veri e propri operatori di rete o si comportano come tali, offrendo servizi Over The Top e senza però apportare innovazione reale al sistema e fare ricerca, due elementi fondamentali per le economie nazionali. Chiediamo quindi alle Istituzioni di lavorare con noi per ridurre il digital divide, aumentare la copertura in banda larga del paese, magari con un mix di rete fisso-mobile, di liberare il dividendo digitale ora occupato dalle frequenze televisive e di rendere più flessibile l’accesso allo spettro radio“.

 

Per il manifatturiero è intervenuto poi Cesare Avenia, amministratore delegato di Ericsson, che ha confermato il giudizio negativo sui servizi Over the Top e ha mostrato come anche nel mercato degli apparti la crisi è forte, con una diminuzione del fatturato da 4 a 3,2 miliardi di euro. “Dal 2009 il segmento dei servizi prevale su quello degli apparati e la diminuzione dei ricavi va a pesare sui livelli di occupazione nel settore e della ricerca e sviluppo. Già quest’anno i ricercatori sono diminuiti del 17% nel nostro paese, con i soliti centri di eccellenza che riescono a tenere testa ai mercati internazionali e parlo di Ericsson, Alcatel-Lucent e Telecom Italia“. “Credo che tutto sommato siamo davvero alle soglie dell’ICT revolution – ha ribadito Avenia – con una stima di oltre 50 miliardi di device elettronici connessi entro il 2020 e, già da ora, nuovi servizi pronti a partire, tra cui l’eGov, le smart grid, l’eHealth, l’eLearning, l’eCommerce, ma bisogna proteggere la filiera per permettere ai player di portare a termine i piani di investimento e di innovazione tecnologica approntati“. Un chiaro messaggio che è stato raccolto nel successivo intervento da Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, che ha sostenuto come il Governo ha già fatto molto per l’innovazione delle amministrazioni pubbliche e del mondo del lavoro, a partire dall’accordo tra il ministero del Lavoro e della PA firmato a maggio scorso per il Protocollo d’intesa finalizzato all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e la realizzazione dell’innovazione digitale nella Pubblica Amministrazione. Ma ancora molto ancora c’è da fare per quest’industria così importante nel’economica del paese. “All’interno del decreto di prossima presentazione ci sono diversi strumenti per la defiscalizzazione del lavoro di cui le aziende potranno beneficiare – ha spiegato Sacconi – senza infrastrutture moderne e senza la ricerca non si cresce e non si vincono le sfide dei mercati globali. Noi puntiamo molto sulla tenuta dei conti pubblici, dei bilanci e del debito, solo così il paese può tornare a competere“. “L’ICT è un volano insostituibile per lo sviluppo economico e necessità però di un sistema regolatorio di supporto avanzato, in cui lo Stato non deve essere un peso e consenta invece quel ‘people first’ che lascia più spazio vitale alla società, dove il singolo deve impegnarsi in prima persona, in nuovi percorsi formativi che consentano un suo empowerment e una progressiva diminuzione del ruolo dello Stato nell’economia come in altri settori“.

 

Le Tlc hanno reso possibile, nel tempo, anche la nascita di una consistente rete di call center e del loro successivo sviluppo, soprattutto con l’outsourcing, tanto che oggi si parla si un mercato che vale quasi 1 miliardo, come nel caso di Almaviva. Marco Tripi, amministratore delegato dell’azienda, mostra come in poco tempo Almaviva abbia totalizzato una media di 500 milioni di contatti annui e abbia dato lavoro a 60/70 mila persone. “Ovviamente questo è il risultato di una nostra visione del mercato orientata all’innovazione tecnologica e al dialogo con le rappresentanze sindacali. Crediamo che in Italia si possa continuare a fare bene e a crescere, ma è chiaro che la possibilità di delocalizzare c’è sempre, soprattutto se non sono favorevoli le condizioni in cui si lavora in questo paese e non si combattono le storture del sistema“. Un dialogo con i sindacati di categoria che è sempre stato corretto e produttivo, come hanno confermato Emilio Miceli, Vito Vitale e Bruno Di Nicola, rispettivamente segretari Slc-CGIL, Fistel-CISL e Uilcom-UIL. E come ha sottolineato anche il ministro della Pubblica Amministrazione e dell’Innovazione, Renato Brunetta, pur con qualche distinguo: “La crisi economica in Italia c’è stata e c’è ancora, ma sicuramente ha avuto effetti meno deflagranti che in altri Paesi, con un piano di salvataggio del Governo che ha permesso di tenere al riparo capitale umano e aziendale. Pensiamo che la cosa migliore non è aumentare risorse per gli investimenti, che comunque non ci sono, ma gestire meglio ciò che già c’è, intervenendo sulla burocrazia ad esempio. Con la nostra riforma oggi 17,5 milioni di lavoratori potranno utilizzare la rete per moti servizi, tra cui il certificato di malattia, che consentono di ottimizzare tempi e risorse“. “Il problema, semmai, è culturale. In Italia non si vuole cambiare mentalità e molti lavoratori non vogliono accettare i cambiamenti. Ho detto che i sindacati hanno collaborato in molti casi, ma non ad esempio quelli dei medici e del mondo dei tribunali. Le riforme della sanità, con il certificato di malattia online, e dell’amministrazione della giustizia in chiave digitale, ci permetteranno di risparmiare molti soldi e di rendere più efficienti gli organi amministrativi. Dimostreremo che in Italia molto è stato fatto e la pubblicazione dell’Atlante dell’ICT nella Pubblica Amministrazione ne darà prova entro breve tempo“.

 

In questo scenario di incertezza e di flessione dei mercati, secondo Paolo Gentiloni, membro della IX Commissione della Camera dei Deputati, si avverte la necessità di nuovi modelli di business e di un maggiore impegno da parte del Governo: “Per competere in tutti i segmenti bisogna avere la disponibilità di una rete a banda larga ultraveloce, altrimenti non è possibile. L’Italia, come sentito, è ai primi posti con la banda larga mobile, ma con la rete fissa ci sono molti problemi. L’eccellenza dei nostri centri di ricerca ci ha consentito di sviluppare innovazione e forme di business al passo con i tempi, soprattutto con le reti mobili e in prospettiva futura con l’LTE. Eppure il Rapporto Caio non ha trovato riscontro nelle manovre del Governo e il mondo delle imprese e la PA sono ancora alle prese con dei problemi strutturali“. “La PA deve tornare a sviluppare domande – ha affermato Gentiloni –  e, nonostante non vi siano risorse nuove da investire, cercare di far fruttare al massimo il lavoro già svolto e le risorse precedentemente allocate. Ad esempio si dovrebbe procedere speditamente ad eliminare o a modificare in profondità il decreto Pisanu sul Wi-Fi, portare avanti l’asta delle frequenze, che non deve andare oltre il 2011, e impegnarsi in una vera e propria Agenda Digitale italiana. Su questi tre punti credo ci sia la necessità di confrontarsi e di trovare nell’immediato risposte e soluzioni“.

 

Confronto che il neo ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani, accetta benevolmente e anzi non nasconde che tra governi c’è stata, su questo, una certa continuità di vedute. “L’obiettivo rimane sempre intervenire nelle aree in digital divide – ha sostenuto Romani – e 1300 cantieri aperti testimonia la buona fede del Governo. Su 21 milioni di linee 12 sono in banda larga e 9,9 sono collegamenti in casa, quindi per le famiglie, di per sé già connesse in banda larga mobile. Quindi, andando a stringere, ci si deve concentrare su quell’8,8% delle famiglie che ancora sono in digital divide. A riguardo, a giorni, sarà concluso il Tavolo avviato tra Governo e operatori Tlc per il varo di un Memorandum of understanding per la digitalizzazione finale del paese. E per gli stessi motivi abbiamo pensato ad una Società per le infrastrutture di rete che consenta di portare avanti i progetti più rilevanti per il sistema paese e a cui parteciperanno tutti gli operatori di telecomunicazioni, come Fastweb, Vodafone, Telecom Italia e BT per citarne alcuni“. “Dalla gara per le frequenze ci attendiamo un buon incasso, come in Germania, dove ha fruttato 4 miliardi di euro, e l’asta va fatta a breve, con parte dei ricavi che dovranno essere reinvestiti nel settore da cui provengono. Diciamo che appena finito lo switch-off, che di risorse ne ha già consumate parecchie, partiremo con la gara delle frequenze, anche perché prima non è onestamente fattibile“.

 

Anche Corrado Calabrò, presidente dell’Agcom, ha voluto dare il suo contributo al convegno Asstel e lo ha fatto cercando di mantenere alta l’attenzione sulla limitata diffusione della banda larga nel paese: “Le imprese ICT italiane sono in salute e il settore, pur minato dalla crisi, ha reagito bene, con gli investimenti stranieri che tutto sommato non sono mai mancati. Il volume dei servizi è aumentato e questo è frutto anche di un ottimo livello di know how, con la banda larga mobile italiana ai primi posti in Europa e nel mondo. Questo perché i nostri operatori sono riusciti ad anticipare il mercato e la domanda, dimostrando come il dilemma sulla mancanza di domanda di reti di nuova generazione e di servizi oggi da molti avanzato non sussista. La domanda può essere stimolata in più modi. A noi spetta il compito di dettare le regole e di renderle chiare e certe al mercato. La quota di paese che si trova in digital divide da sola non basta a spiegare i ritardi in cui la nostra rete versa. Servono ammodernamento, innovazione tecnologica e piani di sviluppo. Solo così la Cassa depositi e prestiti potrà valutare l’eventuale ulteriore aiuto in termini di risorse finanziarie“. “Inutile dire, inoltre, che le frequenze televisive in via di liberazione  sono risorse importantissime – ha ribadito Calabrò – e che una gara deve essere fatta in tempi brevi. Chi detiene le frequenze deve essere incentivato a metterle all’asta e tra questi c’è anche il ministero della Difesa. Molte di queste risorse potranno essere reinvestite, ma non sempre sono necessari soldi per ammodernare il paese, molte volte basta solo utilizzare bene ciò che già esiste“.

 

Un convegno che è stata anche la prima occasione pubblica di discutere di Tlc e ICT e di come questi due segmenti di mercato siano assolutamente strategici per il paese. “Il settore ha fatto molto per il benessere dell’Italia – ha detto in sede di conclusioni Stefano Parisi, presidente Asstel – e continuerà a farlo, attraverso un mercato che comunque si presenta tra i più dinamici e concorrenziale in Europa e che  è stato capace, nonostante la crisi, di continuare ad attrarre investimenti stranieri, assicurando entrare al fisco e sviluppando un solido indotto dell’outsourcing. Lo stesso Contratto collettivo nazionale del lavoro, firmato un anno fa, ha contribuito alla diffusione di un modello innovativo di relazioni industriali e sindacali lungo tutta la filiera delle Tlc. Chiediamo al Governo però di fare la sua parte e di dare vita ad un Agenda Digitale italiana che consenta lo sviluppo delle reti e dei servizi di nuova generazione, su cui le aziende possano tornare a contare per generare ricchezza“.

 

A chiusura del convegno sull’importanza delle telecomunicazioni per l’Italia è infine intervenuta Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, che plaude alla nuova veste pubblica dell’incontro e invita ad un confronto il più esteso possibile tra i soggetti di tutta la filiera: “Perché il settore delle Tlc è davvero rilevante per l’economia del paese e andrebbe preso a modello anche in altri segmenti industriali. Sono le sue proprietà a renderlo strategico, che consentono un abbassamento dell’inflazione, un aumento del livello occupazionale e portano soldi nelle casse dell’Erario. Il Governo non deve solo badare al rigore dei conti pubblici, che pure è importante, ma concentrarsi di più sulla ripresa e sulla crescita economica della nazione. Basta convogliare risorse su alcuni punti critici della nostra economica, quelli che garantiscono più sviluppo“. “L’economia digitale – ha quindi concluso Marcegaglia – deve essere messa al centro delle agende politiche, assieme ad argomenti chiave come la NGN, l’NGAN, l’Agenda Digitale Europea, e questo è attuabile a partire da regole chiare e condivise, lasciando spazio agli investimenti privati e diminuendo la pressione fiscale sulle aziende. Da parte nostra, come Confindustria, consideriamo assolutamente strategica un’Agenda Digitale italiana e supporteremo il tavolo del ministro dello Sviluppo Economico dedicato all’economia digitale in ogni modo“.

 

 

Consulta i documenti del Convegno Asstel ‘Le Telecomunicazioni per l’Italia’:

Sintesi del Rapporto Analysys Mason sulle telecomunicazioni in Italia

 

Il primo Rapporto sulla filiera Tlc/Ict in sintesi

 

 

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