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Come cambia il diritto d’autore nell’epoca di internet?
E’ questa la domanda al centro dell’ultimo Occasional Paper dell’Istituto Bruno Leoni curato dall’economista Hal Varian, professore emerito alla University of California at Berkeley nonché chief economist di Google, che ha inteso richiamare l’attenzione delle comunità verso le problematiche di internet e le possibili soluzioni per evitare che la rete possa in qualche modo danneggiare le proprietà intellettuali.
Nel corso dell’incontro dal titolo “Estensione della durata del diritto d’autore e opere orfane”, l’economista ha presentato i risultati di uno studio che prende in esame tre diverse questioni inerenti al copyright: le estensioni della durata della tutela del diritto d’autore; il problema delle opere orfane e i progetti di digitalizzazione di massa.
Per quanto riguarda il primo, Hal Varian ha messo in evidenza come sia il copyright che i brevetti possano essere confrontati su tre dimensioni: lunghezza, larghezza e altezza. La durata di un brevetto (lunghezza) nello specifico, è pari a 20 anni, mentre la durata del copyright negli Stati Uniti è pari alla vita dell’autore più 70 anni successivi alla sua morte. L’entità della protezione (larghezza) di un brevetto dipende dalle rivendicazioni, mentre nel copyright è molto ristretta e riguarda soltanto l’espressione di un’idea, non l’idea stessa. L’altezza invece (indice di novità di questo studio) per i brevetti si concretizza in un requisito esplicito di non ovvietà, mentre nel copyright non vi è alcun obbligo ovvero, al momento della creazione e non è obbligatorio registrare l’opera per godere della protezione.
Per quanto riguarda le ‘opere orfane’, ovvero quelle i cui autori risultato essere introvabili, sempre secondo il rapporto, i criteri che qualificano una ricerca come ‘ragionevolmente diligente’, e quindi l’avere cercato di rintracciare il titolare dell’opera in questione, devono essere valutati caso per caso in base alla quantità di informazioni identificative sulla copia dell’opera stessa; all’anzianità dell’opera o alla data di creazione o comunicazione al pubblico; alla reperibilità in registri consultabili pubblicamente e all’esistenza dell’autore.
Terzo punto specificato nel rapporto, è il fenomeno della digitalizzazione di massa ed in particolare il Google Library Project. “Recentemente Google ha iniziato a collaborare con molte biblioteche per digitalizzare le opere che hanno in catalogo, tutto a spese di Google, grazie a una tecnologia sviluppata ad hoc per il progetto. Il volume totale del corpus – spiega ancora l’economista statunitense – è di circa 25-30 milioni di libri. Il Google Library Project non deve essere però confuso con il programma Google Publisher Partner, nell’ambito del quale gli editori sottopongono volontariamente le proprie opere a Google per la digitalizzazione e l’inserimento in catalogo”.
La differenza sostanziale tra i due, è dunque dovuta al fatto che Google Publisher Partner si basa sul sistema cosiddetto opt-in: “sono gli editori o i titolari dei libri a dover richiedere a Google la digitalizzazione dei libri” afferma ancora Varian che ritiene questo progetto di digitalizzazione di massa la “chiave di volta” nell’adeguamento di due principi. Secondo il chief economist di Google infatti, occorre passare dalla logica dell’opt-in a quella dell’opt-out: “è difficile immaginare come potrebbe essere strutturato un sistema di opt-in per la ricerca sul Web. Pensate a quanto sarebbe difficile stipulare accordi bilaterali con tutti i motori di ricerca e tutti i singoli siti web per ottenere il permesso di indicizzare il materiale. La procedura di opt-out utilizzata sul Web è ragionevole, in quanto minimizza i costi di transazione legati all’indicizzazione dei siti web”. Secondariamente, “non è ragionevole pensare che la rapida crescita dei contenuti, in particolare dei contenuti digitali, subirà una battuta d’arresto nel prossimo futuro e la creazione di barriere arbitrarie per chi cerca di orientarsi in questo oceano di informazioni sarebbe decisamente controproducente”.