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Pubblichiamo di seguito la sintesi dell’intervento introduttivo di Vincenzo Zeno-Zencovich (Professore ordinario di Diritto Privato Comparato, Terza Università – Roma) all’incontro “La libertà su Internet”, Roma 13 ottobre 2010.
Il tema della libertà su Internet si articola su più piani fra di loro connessi i quali coinvolgono soggetti e aspetti diversi ma tutti rilevanti.
La libertà di accesso ad Internet
Prima ancora che si possa parlare di libertà su Internet, occorre costruire nei suoi contenuti e limiti un diritto di accesso alle reti di comunicazione elettronica. Si coglie subito che tale diritto è limitato da fattori sociali – primo fra tutti l’analfabetismo digitale – da politiche di spesa pubblica – l’investimento sulla costruzione delle reti, ovvero gli incentivi ai privati, ovvero l’inazione – da possibilità economiche – per quanto riguarda i contratti di accesso, le tipologie di terminali.
Visto in rapporto ad altre situazioni, il diritto di accesso si atteggia come altri diritti sociali di eguale, se non maggiore, importanza: il diritto all’istruzione, quello alle cure mediche, la libertà di circolazione.
Partendo da questo piano è possibile comprendere se le libertà su Internet sono di tutti, di molti o di pochi.
Una visione olistica delle libertà su Internet
Nella solida tradizione ottocentesca – che si è tramandata fino ad oggi – le libertà individuali (espressione, corrispondenza, circolazione, riunione, associazione) erano separate fra loro, anche se si riconosceva che esse dovevano essere considerate come un fascio. Nel mondo di Internet queste distinzioni hanno poco senso: chi accede ad Internet si esprime, corrisponde, naviga, si unisce e si riunisce, in forme sempre variabili e lasciate alla scelta individuale. Riesce impossibile separare le diverse facoltà, anche perché esse vengono esercitate con lo stesso mezzo – la rete – e nello stesso tempo o in tempi assai ravvicinati.
Ciò comporta necessariamente l’abbandono di taluni schemi – prima fra tutti la distinzione fra libertà di manifestazione del pensiero e libertà della corrispondenza – per costruire un modello olistico di libertà. Per un verso è ovvio che le libertà sono variabili e riflettono circostanze politiche, economiche e sociali del momento in cui vengono affermate.
Per altro verso costruire una nuova libertà implica necessariamente definirne contenuti e limiti, una operazione nella quale molteplici fattori, esigenze, visioni sono chiamati in gioco.
A tale processo di costruzione si aggiunge un problema di metodo: dal Bill of Rights statunitense (1791) in poi l’affermazione delle libertà si consolida in testi di valenza costituzionale, nel senso che sono posti al vertice della gerarchia delle fonti. Con riguardo ad una rete globale, non solo nella sua infrastruttura ma soprattutto nelle relazioni che crea, come procedere per dare a questa fondamentale libertà quel riconoscimento che necessita? L’incerto cammino del progetto di “Internet Bill of Rights” testimonia delle difficoltà che si incontrano quando si vogliono superare i confini nazionali.
La libertà da Internet
Per quanto Internet costituisca un fattore di libertà straordinario e senza precedenti, esso non è privo di pericoli. Questi non possono essere esasperati ed anteposti, ma non di meno vanno considerati: il diritto, ogni diritto, è in primo luogo equilibrata ponderazione dei molteplici interessi coinvolti.
La lista degli interessi potenzialmente – ma anche concretamente – a rischio è lunghissima: la personalità, l’identità, il patrimonio, i minori, i valori religiosi, la inventività.
Il mondo di Internet – sempre aperto, libero, egualitario, standardizzato – è scarsamente attento alle differenze, alle sensibilità, all’isolamento.
Da questo punto di vista riesce difficile sottrarsi all’invadenza di Internet, come è difficile sottrarsi all’inquinamento atmosferico, ai rumori, al contatto con il prossimo. Come immaginare e costruire una difesa del singolo? La tutela della personalità su Internet richiede in primo luogo che si comprenda come essa si svolga sulla rete, quali sono le possibili difese tecnologiche, fino a che punto può spingersi efficacemente il diritto.
Ma non si tratta solo di tutela di interessi individuali. Lo svolgimento di attività illecite sulla rete – come del resto in qualsiasi altro luogo – pone questioni in ordine agli interventi autoritativi volti a prevenirle e reprimerle. Non si tratta di esaminarli nel dettaglio quanto evidenziare come l’attuale dibattito sullo statuto giuridico di Internet, rifletta una vistosa aporia: ovunque le attività dei privati – e non solo quelle economiche – devono conformarsi ad un articolato complesso di norme e sono sottoposte a penetranti controlli pubblici. Tale spinta non può fermarsi davanti alla rete, sol per via della sua immaterialità, ubiquità, aterritorialità. Sicuramente il diritto si trova in difficoltà, teorica e pratica, nell’intervenire anche perchè le nuove tecnologie si evolvono con una rapidità impensabile per, e inafferrabile dal, giurista. Ma al tempo stesso sarebbe ingenuo pensare alla rete come ad un contemporaneo stato di natura; ed è dunque più produttivo cercare di comprendere come taluni, importanti, interessi pubblici e privati possano essere tutelati con la minor incidenza sulla libertà di tutti.
Le libertà pubbliche su Internet
Nella misura in cui – nel XXI secolo – la distinzione fra diritto pubblico e diritto privato ha ancora un senso, va evidenziato come è limitativo considerare Internet esclusivamente come luogo di esercizio di libertà private, cioè quelle che costituiscono esplicazione della persona e che indirettamente ed eventualmente incidono sulla sfera pubblica. Sempre di più l’accesso alla rete e lo svolgimento su di essa di attività costituisce il modo con il quale il soggetto si relaziona con i pubblici poteri ovvero esercita i suoi diritti di cittadinanza. A partire dalla fruizione di servizi sociali (sanità, previdenza, istruzione ecc.) per arrivare all’esercizio della porzione individuale di sovranità (il voto elettronico), la cittadinanza è, e non può non essere, digitale. Il che è inevitabile anche in considerazione di molte delle attività pubbliche sulla rete e della significativa riduzione dei costi che ciò comporta.
Non si tratta di una mera trasformazione di rapporti pubblici pre-esistenti: cambiano le qualità e quantità dei rapporti, la loro crescente bi-univocità, l’accelerazione nei processi decisionali, il venir meno della struttura gerarchica (tipicamente: centro-periferia) sostituita da relazioni, appunto, “a rete”.
Ancorchè non si tratta certo di un processo rapido occorre prefigurare, nei suoi aspetti fondanti, i caratteri di questa cittadinanza digitale e attribuire ad essa un rango adeguato e, ove necessario, prevalente sulle forme più risalenti.
L’identità digitale
Approfondendo l’analisi su questo punto ci si rende conto che qualcosa di ancora più profondo dei rapporti pubblici è cambiato con l’avvento di Internet e che si potrà percepire tra una generazione quando la società, nelle sue varie stratificazioni, sarà prevalentemente governata da persone che non hanno mai conosciuto realmente gli attuali archetipi mediatici e sono cresciuti alimentati da Facebook, Twitter, PS3, XBOX, Nintendo, blogs, You Tube, web communities, Sms, Skype, eBooks, I-Pod, I-Pad, lettori MP3 e le loro inevitabili evoluzioni. Persone che passano e passeranno gran parte della loro giornata ed esistenza in un universo comunicativo interconnesso, con una fortissima interazione fra la visione, l’udito, la voce, la digitazione. Ciò non solo comporterà un diverso sviluppo delle capacità cerebrali, ma soprattutto determinerà una concezione tutta nuova e diversa della identità.
Per millenni l’uomo e la donna sono stati costruiti attorno ad una unicità fisica e spirituale: un corpo, un’anima, un pensiero individuali con un nome, un cognome, una serie di legami familiari, comunitari, professionali. Questa identità si è voluta affermare e difendere contro i tentativi, purtroppo ancora recenti, di privare i soggetti di una propria personalità, disumanizzandoli attraverso l’attribuzione, al massimo, di un numero.
Nella società della comunicazione si assiste ad una moltiplicazione della identità con la possibilità – in concreto sfruttata – di essere davvero uno, nessuno, centomila, con nomi diversi, sembianze diverse, interlocutori diversi a seconda delle tante – o poche – sfaccettature della propria personalità.
Il punto viene qui sottolineato non certo per proporre teorie psico-evolutive o di psicologia sociale ma per rimarcare come una volta il pensiero – e la sua espressione – era legato ad un singolo soggetto. Oggi questo si articola in tante e mutevoli identità. Il “proprio” pensiero si disarticola a seconda dei luoghi, dei contesti, degli interlocutori, e, soprattutto, delle scelte identitarie che si compiono.
La prevalenza della identità digitale finisce poi per portare con sè una ulteriore conseguenza: il sorgere e l’affermarsi del diritto al corretto trattamento dei dati personali nasce quando questi costituiscono solo una minuscola parte dell’identità del soggetto il quale esiste ed agisce eminentemente nella sua dimensione fisica. Ma quando il soggetto si trasferisce sulla rete egli è, neanche tanto metaforicamente, esclusivamente un insieme di dati personali i quali non sono un “altro da sè” ma sono la carne, le ossa, la mente del suo “corpo virtuale”. Ciò richiede un profondo ripensamento della disciplina che si è venuta formando negli ultimi 40 anni, non certo per affievolire la tutela della persona, ma per adeguarla al mutamento. Non è difficile immaginare il riproporsi di una ricorrente dialettica fra principio di autodeterminazione e esigenze di protezione generalizzata, etichettati dai fronti opposti come nichilista o paternaliste. Mentre si ricerca un nuovo assetto non sfugge, tuttavia, che l’attuale pervasiva disciplina europea finisce per giuridificare ogni minimo gesto della persona digitale, come se, nel mondo materiale, muovere un passo, bere un bicchiere d’acqua, aprire un libro fossero atti disciplinati dal diritto nella forma e nelle conseguenze.
La libertà economica sulla rete
Da più di due secoli i discorsi sulla libertà tout court e sulla libertà economica si intrecciano, anche se non seguono necessariamente percorsi paralleli. E’ difficile però ignorare che, nei tempi attuali lo sviluppo di Internet si fonda al contempo su una grande libertà individuale e su una altrettanto grande libertà di iniziativa economica privata. Non si può dunque ignorare la peculiarità del suo modello economico confrontandolo con quello in cui è inserito. Nel mercato delle comunicazioni elettroniche il rapporto è un tipico scambio sinallagmatico: l’operatore offre servizi (voce, dati, connessione) in cambio di un corrispettivo variamente determinato (a tempo, a capacità, a unità, flat). Nella prestazione di servizi su Internet – in generale e fatte salve le ovvie eccezioni – il modello è quello del c.d. “mercato a due versanti”, di cui i precedenti più evidenti sono la televisione commerciale e la “free-press”: gli utenti usufruiscono di un servizio senza esborso monetario, mentre le risorse finanziarie sono fornite dagli inserzionisti cui l’impresa cede spazi pubblicitari. Dunque le aziende che operano su Internet pescano nel bacino delle risorse pubblicitarie che non è nè infinito nè senza rivali ed è largamente condizionato da fattori congiunturali. Questo significa da un lato che gli altri tradizionali mezzi pubblicitari (radiotelevisione e, in modo sempre più recessivo, stampa) si pongono in concorrenza. Dall’altro che mentre i consumi – essendo “gratuiti” – non conoscono limiti, l’offerta di servizi (ed in particolare di quelli innovativi ed il cui aggiornamento richiede significativi investimenti) può essere frenata o addirittura decrescere.
Proprio perchè sono effettuati senza corrispettivo monetario e dunque sono fruibili teoricamente in quantità illimitata, tutti sono posti in una posizione paritaria e possono trarre da ciascuna informazione che reperiscono quelle utilità necessarie per lo svolgimento di altre attività economiche. La materia prima è dunque reperibile immediatamente, da qualsiasi punto, in qualsiasi momento, senza costi di intermediazione (fatta salva la frazione del costo di connessione). Il valore di tutto ciò può essere, se non calcolato con precisione, immaginato ipotizzando che in un qualsiasi giorno lavorativo i motori di ricerca (di siti, di luoghi, di immagini, di testi) smettano di funzionare; ed osservando il rallentamento se non il blocco di una molteplicità di attività. Questi servizi costituiscono dunque un potente agevolatore di altre e ben diverse attività economiche che ne beneficiano tutte in maniera più o meno significativa. In un ipotetico modello macro-economico tali esternalità non possono essere ignorate. Considerata la natura di “beni pubblici” (nel senso che gli economisti attribuiscono a tale termine) della maggior parte delle entità acquisite attraverso i servizi di Internet, appare importante garantire che il modello funzioni perchè esso contribuisce ad un benessere comune (‘social welfare’) e, per quanto valore si voglia attribuire al termine, egualitario.
Ma vi è un ulteriore aspetto che solo apparentemente è non economico, e dunque fuori dal modello. La rete è divenuta in pochi anni il principale punto di incontro personale e di aggregazione sociale. La facoltà di uso, la ubiquità, la permanenza, l’assenza di costi fanno sì che sulla rete si costituiscano comunità più o meno estese. Quale che sia il significato che si intenda attribuire alla generica espressione “social forum”, è evidente che in generale si tratta di servizi nei quali un soggetto imprenditoriale offre solo un luogo virtuale di incontro e programmi che consentono agli utenti di interagire fra di loro. Ovviamente non interessa indagare sulle ragioni che portano soggetti diversi a comunicare ed aggregarsi ad altri: ciò che a taluno può apparire fondamentale ad altri appare futile; non è possibile stabilire una gerarchia fra “lavoro” e “tempo libero”. Quel che preme sottolineare è che mai come oggi (e comunque oggi meno di domani) i singoli sono meno isolati e le differenze economiche, sociali e culturali pesano assai meno che in passato. La rete poi si aggiunge – e dunque non elimina – i luoghi di incontro e aggregazione tradizionale, dalla strada alla spiaggia, dallo stadio al concerto.
Prescindendo da valutazioni – positive o negative – su questo nuovo e pervasivo sistema sociale, la vita che un numero crescente di persone – e che finirà per costituire il gruppo dominante nel giro di pochi decenni – conduce sulla rete diventa uno stile di vita, di consumo, di interazione con il resto del mondo. Nelle scelte economiche la persona “virtuale” appare assai più concreta di quella “reale”. Esse possono essere ricostruite, misurate, razionalizzate. Certo si è ben lontani dai modelli economici neoclassici sui quali si è costruita per anni la dominante micro-economia, ma non può essere bollata come banale empirismo la considerazione che bastano alcuni commenti dettagliatamente critici per minare la immagine di un prodotto o di un marchio; vanificare una costosa campagna pubblicitaria. E in senso opposto decretare il successo – effimero o duraturo – di un concorrente. I “social forums” hanno dunque una significativa, anche se indiretta valenza economica. Ignorarli sarebbe come ignorare la comunità familiare come nucleo centrale della spesa individuale.
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