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Da qualche giorno, alle sedute del Consiglio di amministrazione della Rai partecipa anche un consigliere della Corte dei Conti con il compito di controllare preventivamente, ad esempio, se gli ingaggi milionari promessi alle star televisive sono compatibili con il bilancio dell’azienda. Ciò in applicazione rigorosa della legge n. 259 del 21 marzo 1958, che all’articolo 12 prevede appunto che un magistrato contabile assista alle sedute dei consigli di amministrazione degli enti pubblici per i quali vi sia un apporto statale al patrimonio.
In verità, nel Cda della Rai siede già un rappresentante del Ministero dell’Economia che potrebbe benissimo esercitare tale funzione di controllo preventivo, ma forse l’idea del governo di attuare finalmente la lontana legge del 1958 non è del tutto peregrina.
E’ da tempo, infatti, che la Corte dei Conti, nelle sue relazioni sui risultati del controllo eseguito sui bilanci della Rai, pone pesanti rilievi sulle modalità di utilizzo da parte della concessionaria delle risorse provenienti dal finanziamento pubblico.
Illuminanti, al riguardo, sono alcuni passaggi della Relazione della Corte sul controllo effettuato sugli esercizi 2002/2007, mai presi in seria considerazione né dalla Rai, nel dal Dipartimento Comunicazioni del Ministero dello Sviluppo economico.
Preliminarmente, la Corte osserva che l’interesse dell’utente, ed in particolare di quello che paga il canone, non è soltanto quello di vedere tutelata l’integrità del patrimonio della RAI, in quanto di proprietà dello Stato, bensì e soprattutto, che sia assicurato che l’utilizzo dei fondi pubblici, destinati al finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo, avvenga nel rispetto dei principi di correttezza e trasparenza e che la relativa gestione sia ispirata ai fondamentali canoni di efficacia, efficienza ed economicità.
L’assetto organizzativo della RAI, inoltre, appare alla Corte eccessivamente rigido e, quindi, inadatto ai mutamenti del mercato. I costi della struttura assorbono quote sempre crescenti delle risorse. Peraltro, trattandosi di costi tendenzialmente fissi, non è ipotizzabile una loro contrazione nel breve periodo, se non con interventi di portata straordinaria. Alcune spese sono influenzate da meccanismi esogeni di crescita automatica e quindi difficilmente governabili dagli organi amministrativi della società.
Per di più, secondo la Corte, l’andamento dei costi aziendali è fortemente condizionato dalla pletorica struttura organizzativa che prevede 20 sedi regionali e 4 centri di produzione. Tale articolazione territoriale, non solo produce l’effetto di un appesantimento del complesso immobiliare della Concessionaria, ignoto agli altri operatori del settore, ma implica l’esigenza di un costante processo di ammodernamento e di rinnovo, soprattutto degli apparati tecnici, e di supporto presso le sedi periferiche.
La contabilità separata, poi – che serve a rilevare i costi ed i ricavi da imputare al servizio pubblico radiotelevisivo, enucleandoli dalla contabilità generale dell’Azienda – andrebbe inclusa, ad avviso della Corte, nel bilancio d’esercizio, al fine di fornire un’informazione assai più completa sull’andamento della gestione della società concessionaria del servizio pubblico, offrendo la possibilità a chi ne ha interesse di confrontare i dati della contabilità stessa con quelli del bilancio d’esercizio cui si riferisce.
Sono, queste, le stesse cose che chiedono da tempo le associazioni dei consumatori che, invece, si sono viste rifiutare più volte l’accesso agli atti della Rai, mirato a verificare il regolare utilizzo delle risorse provenienti dal finanziamento pubblico.
E’, pertanto, l’ora di mettere ordine e garantire trasparenza ai conti della concessionaria e la decisione governativa di prevedere la stabile presenza di un magistrato contabile alle sedute del Consiglio di Amministrazione dell’azienda va interpretata come la reale volontà di agire proprio in questa direzione.