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Grazie a Facebook – il sito diventato sinonimo di socializzazione in rete – il 26enne Mark Zuckerberg, con una ‘fortuna’ stimata in 6,9 miliardi di dollari, si è piazzato quest’anno al 35esimo posto della classifica Forbes dei 400 ‘paperoni’ d’America, seguito dai due co-fondatori del social network, Dustin Moskovitz e Eduardo Saverin, con un patrimonio rispettivamente di 1,4 e 1,15 miliardi di dollari.
La classifica è guidata anche quest’anno, il 17esimo consecutivo, da Bill Gates che ha visto aumentare le sue ricchezze di 4 miliardi, a 54 miliardi di dollari. Al terzo posto tra gli uomini più ricchi d’America, un altro magnate dell’hi-tech, il patron di Oracle Larry Ellison, con 27 miliardi di dollari.
Miliardi a parte, Facebook continua ad attrarre l’attenzione del pubblico e dei media sia per le sue strategie di diversificazione che per le conseguenze che un uso superficiale del social network può comportare.
Nonostante le smentite dei giorni scorsi, continuano insistenti le voci del prossimo lancio di uno smartphone con integrati i servizi del sito: secondo Bloomberg, la società sarebbe a lavoro non su uno, ma su due modelli, che dovrebbero essere prodotti dalla INQ Mobile e potrebbero arrivare nei negozi americani – distribuiti da AT&T – nella prima metà del 2011.
INQ Mobile è una società di Hutchison Whampoa e ha già prodotto smartphone con funzionalità Facebook. Nessuna delle società coinvolte nei rumors li ha tuttavia commentati. Resta valida, al momento, la dichiarazione del portavoce della società, Jaime Schopflin, secondo cui la società non sarebbe a lavoro su un proprio smartphone ma su una maggiore integrazione dei suoi servizi su diverse piattaforme mobili.
Ha destato una vasta eco, invece, un’altra notizia legata a Facebook, ma di tutt’altro tenore: tre operatrici dell’associazione francese SOS-femmes – che si occupa della difesa delle donne vittime di violenza domestica – sono state licenziate per ‘colpa grave’ dopo aver postato in bacheca commenti giudicati “ingiuriosi, diffamatori e minacciosi” dal loro datore di lavoro.
Dopo un’udienza di conciliazione svoltasi con esito negativo lunedì, il caso sarà giudicato dal Tribunale del lavoro di Périgueux il 14 marzo 2011.
Secondo l’avvocato Eric Barateau, che difende le tre donne, SOS-Femmes sostiene che le tre operatrici abbiano manifestato sulle bacheche di Facebook – quindi “luoghi privati, il cui accesso è limitato agli agli amici” – propositi “ingiuriosi, diffamatori e minacciosi” e ha avviato una procedura di licenziamento per ‘colpa grave’, un “motivo eccezionale”.
Ma in cosa consisterebbe questa ‘grave colpa’? “Si è avuto il torto di denunciare con forza le devianze della direzione”, ha dichiarato una delle tre operatrici – tutte ragazze madri di età compresa tra 36 e 42 anni – parlando di “insulti ricevuti” e di “gravi carenze nella cura delle donne” che si rivolgevano all’associazione.
Le tre operatrici sostengono, quindi, di aver visto degradare le loro condizioni di lavoro e di aver ricevuto pressioni crescenti fino al benservito finale, arrivato il 6 luglio.
Per l’avvocato Barateau, “…si è in presenza di un caso di intercettazione illecita, visto che al momento i responsabili dell’associazione non hanno ancora spiegato come hanno avuto accesso alle informazioni”.
Si è deciso, di conseguenza, di fare ricorso per “intercettazione illecita di comunicazioni private”, ha spiegato il legale, sottolineando che le prove ottenute illecitamente non fanno testo davanti al Tribunale.
Sempre in tema di privacy e social network, è stato un diciassettenne australiano – Pearce Delphin – a gettare, involontariamente, nel panico gli utenti di Twitter: il ragazzo ha riconosciuto di aver semplicemente fatto un esperimento sfuggito di mano. Il suo intento era infatti quello di verificare l’esistenza di un ‘buco’ nella sicurezza del sito, inserendo dal suo profilo codice JavaScript, in grado di generare ‘tweet’ in automatico e reindirizzare la connessione. I pirati informatici, quindi, hanno colto al volo l’occasione per inserirsi nel sito e ridirigere gli utenti vero siti pornografici.
“L’ho fatto solamente per vedere se si poteva fare, non avevo idea che sarebbe partito in questa maniera”, si è giustificato il ragazzo, che per 5 ore ha gettato nel caos il sito di microblogging. Twitter ha comunicato di aver individuato e chiuso velocemente la falla, che ha contato tra le sue vittime anche Sarah Brown, moglie dell’ex primo ministro inglese Gordon Brown e il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs.