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Street View. Praga blocca il servizio: ‘Non rispetta la privacy’. Cresce intanto la polemica sulle nuove policy del servizio Adwords

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Non c’è pace per il servizio Street View di Google: già nel mirino di diversi paesi, ora anche la Repubblica Ceca ha deciso di impedire alle Google cars di continuare a raccogliere immagini da inserire nelle mappe del servizio. Il garante privacy ceco (UOOU), ha infatti deciso di respingere per la seconda volta la richiesta di Google di poter collezionare dati personali degli utenti del Paese, sottolineando che il processo potrebbe contravvenire alle leggi sulla privacy.

 

La decisione, ha sottolineato il portavoce dell’autorità, non impedisce a Google di utilizzare le immagini già registrate a partire dal lancio di Street View nel paese, avvenuto a ottobre del 2009. In una nota, il responsabile della divisine ceca di Google ha affermato che non si tratta di un pronunciamento definitivo e che la società continuerà a collaborare con le autorità per risolvere al più presto la faccenda.

 

Street View è finito nell’occhio del ciclone dopo la scoperta che per oltre tre anni, gli addetti incaricati di catturare le immagini per il servizio di mapping online, hanno intercettato anche ‘per errore’ il nome e l’indirizzo di tutti modem Wi-Fi sul loro percorso, captando, quindi, anche tutta una serie di informazioni personali degli utenti di questi dispositivi, dalle email alle password. In seguito a questa scoperta, a maggio i Garanti Privacy di Italia e Germania hanno aperto due istruttorie per esaminare la legittimità e la correttezza del trattamento dei dati personali effettuato nell’ambito del servizio e quello britannico ha chiesto espressamente alla società di “cancellare subito i dati raccolti illecitamente”.

 

Ma non è solo Street View a destare preoccupazione: anche le nuove policy relative alla trasformazione dei marchi in semplici parole chiave, utilizzabili nelle ricerche online per le inserzioni commerciali, ha causato forti polemiche da parte delle aziende, che temono la violazione o l’appropriazione indebita dei loro flussi commerciali. La decisione di cambiare le policy sui marchi commerciali – che entra in vigore oggi – fa seguito a un pronunciamento della Corte di giustizia europea dello scorso marzo riguardo gli abusi del “keyword advertising” in casi di contraffazione. La Corte, in sostanza, ha stabilito che Google non ha violato il diritto dei marchi nel consentire agli inserzionisti l’acquisto di parole chiave corrispondenti ai marchi di impresa dei loro concorrenti e da questa mattina, dunque, la società ha autorizzato l’acquisto all’asta di marchi protetti. Chiunque, quindi, potrà acquistare e scegliere come parola chiave un segno corrispondente a un marchio altrui, al fine di offrire agli utenti di Internet un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio stesso.

 

Il sindacato francese SPQN (Syndicat de la presse quotidienne nationale) ha pubblicato una nota per indicare il rischio di un ‘parassitismo dei contenuti’ e di una perdita di valore dei marchi legati all’informazione, mentre l’AACC (Association des agences-conseils en communication) parla di ‘presa in ostaggio’ dei marchi e di rischio per i consumatori, che potranno essere ingannati più facilmente.

 

La società, da canto suo, sottolinea che le imprese hanno la possibilità di contestare, a posteriori, l’utilizzo del loro marchio, ma queste ultime ribadiscono che rimediare al danno fatto è molto più complicato che prevenirlo e hanno chiesto un nuovo incontro con la società per discutere ulteriormente la delicata questione.

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