Ebook: il futuro prossimo dell’alfabeto. Il libro tra carta e bit? Per Enrico Menduni: ‘Un cambiamento inarrestabile’

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Enrico Menduni

Pubblichiamo di seguito una riflessione sui temi dello sviluppo dell’ebook di Enrico Menduni, professore dell’Università Roma Tre, che parteciperà al workshop di presentazione di “ebook.it: un nuovo modo di leggere, un nuovo modo di scrivere“, che si terrà oggi alla Camera dei Deputati, Sala della Mercede, Via della Mercede, 55, dalle 16,30 alle 19,30.

 

 

Da un punto di vista strettamente economico, ormai non c’è dubbio che distribuire e diffondere oggetti immateriali è infinitamente più agevole e meno costoso che produrre, movimentare, immagazzinare, esporre per la vendita artefatti materiali, ovunque ciò sia possibile: si tratti di biglietti aerei o prenotazioni alberghiere, piuttosto che libri, dischi, giornali. Ovviamente, nel caso della frutta e verdura, o degli autoveicoli non si può evitare che, a un certo punto di una trattativa che può essere interamente immateriale, ci sia la spedizione e la consegna dell’auto o della cassetta di fragole: ma non per un prodotto digitale.

 

I risparmi nella produzione di oggetti immateriali sono molto ingenti e si distribuiscono su tutti i punti della filiera produttiva: in sede creativa, perché viene semplificato l’assemblaggio dei contenuti; in sede di produzione, perché viene del tutto abolito l’aspetto meccanico (tipografia, impianti di stampaggio per dischi, ecc.); in sede di distribuzione, perché vengono annullati i costi e i rischi di trasporto; in sede di magazzino, perché non ci sono più costi di tenuta magazzino e di movimentazione, limiti fisici al materiale stoccabile, rischi connessi (furto, deterioramento); in sede di offerta al pubblico perché, come per il magazzino, perché non ci sono più costi di tenuta del punto vendita, limiti fisici al materiale esponibile, rischi connessi (furto, deterioramento). L’assortimento può essere così illimitato (coda lunga), mentre nel mercato materiale non appena un articolo vende meno deve essere sostituito sugli scaffali e si avvia di diventare malinconicamente ‘resa’, con i connessi costi di smaltimento.

Abbiamo parlato di risparmi di costo, ma ci sono anche quelli di tempo. Il trasporto dei beni immateriali avviene in tempo reale.

 

Il discorso potrebbe continuare ma non vi è dubbio che, dal punto di vista dei creatori, produttori e distributori non dovrebbero esserci esitazioni al passaggio al digitale. In teoria dovrebbe essere così, ma in pratica gli editori di contenuti sono titubanti. Si dice che “il mercato non è pronto, e forse non lo sarà mai“, e si enumerano gli aspetti negativi, tutti correlati direttamente o indirettamente al comportamento del consumatore. Ecco alcune delle cose a rischio estinzione: il piacere di sfogliare la pagina fresca d’inchiostro del giornale al mattino al tavolino di un bar, accanto a una tazzina di caffè fumante; il gusto di leggere un buon libro in poltrona o in treno, sottolineando, mettendo un segnalibro o un fiore appassito ad indicare il punto a cui si è arrivati.

La reverenza nei confronti del volume che ci consegna la biblioteca, dopo paziente attesa tra gli scaffali imponenti pieni di antichi volumi, dove vige un silenzio religioso; la colta conversazione con il libraio amico che ci consiglia una nuova lettura e condivide le nostre ide, politicamente e culturalmente anticonformiste. E ancora, il pacchetto ben confezionato che contiene il libro che stiamo per regalare, con la dedica che abbiamo scritto e che vuol essere originale e intelligente: un libro che abbiamo scelto fra i tanti perché ci aiuta a inviare, alla persona che lo riceverà, un segreto messaggio che non riusciamo a dire. E ancora: il rito della preparazione della valigia per le vacanze, con i libri ‘grossi’ che soltanto ora potremo avere il tempo di leggere, e una macchina da scrivere Olivetti portatile; quello della costituzione di una biblioteca personale, con gli scaffali in cui cresce il numero dei volumi, le incertezze se fare o no un catalogo, se incollarci una etichetta con la segnatura o magari un ‘ex libris‘. E ancora, il gusto di ritagliare articoli e paginate di giornale, segnati con vigore a margine, oppure semplicemente estratti dalla pubblicazione nella speranza di poterli un giorno leggere o riutilizzare; i faldoni con scritto ‘storia d’Italia’ o ‘movimento sindacale’ gonfi di ritagli grandi e piccoli che affollano gli scaffali in alto, da cui ci guardano severamente. Ad ogni trasloco, il problema ricorrente se tenerli o buttarli; prima si pensava che le biblioteche e le università sarebbero state liete di acquisirli in dono, ma anche questa ambizione è tramontata.

Il nostro dotto lettore, affermavano magari a mezza bocca molti editori di libri e giornali, fino a qualche mese fa, non rinuncerà mai a questi piccoli piaceri di una élite culturale.

Tutte considerazioni fondate, che hanno tutte il difetto di essere conservatrici e abbastanza parziali. I libri possono essere anche maledettamente scomodi, ve lo dice un lettore professionale come me: naturalmente non penso alla lettura de “La montagna incantata” di Mann nella stube di un rifugio alpino, mentre fuori della finestra biancheggiano vette incontaminate, oppure a una rimeditazione dei “Racconti” di Calvino in una bella villa estiva dell’entroterra ligure, con profumi di erbe aromatiche e anziane cuoche che preparano il pesto genovese a mano, con il mortaio di pietra. Penso alla lettura di un testo scientifico pieno di note, che per oscuri ma sempre più frequenti motivi l’editore non ha messo a piè di pagina, come è tanto comodo, ma a pagina 157. Qui serve una cartolina da mettere in quella pagina, e ad ogni piè sospinto devo trasferirmi alle 157 dove le note, testi di rango minore come i passeggeri di terza sul Titanic, sono tutte ammassate, capitolo dopo capitolo. Oppure quella fastidiosissima “notazione americana” per cui invece delle note c’è una parentesi con scritto “Persichetti 2001, 47” e un disgraziato deve andare in bibliografia alla ricerca del volume che Il Persichetti dette alle stampe nel 2001: quando addirittura non si trova di fronte ad una notazione multipla: “Persichetti 2001, 47; Persichetti 2003 (2), 59“, cosa non infrequente quando il Persichetti è molto bravo o uno influente che bisogna tenersi buono. E dunque, lunghe perlustrazioni bibliografiche alla ricerca della plurima produzione del nostro.

 

Queste notazioni sono ipertesti abortiti, fanno ridere chi è abituato ai link della rete e alla rapidità con cui si arriva dappertutto. Ma c’è di più: provate a proporre al vostro editore molte illustrazioni. Magari avete scritto un libro sulla fotografia, o su Piero della Francesca, e beh, qualche icona ci vorrebbe. L’editore freme per il pagamento dei diritti, l’aumento dei costi, la carta più cara, e comincia a sforbiciare la vostra faticosa documentazione. Alla fine rimarrà un “portfolio” di 16 pagg. con minuscole foto in bianco e nero, su carta lucida, oppure delle orribili fotine grigiastre nel testo. Lo stesso vale per grafici, tabelle. Piccole, con pochi colori, statiche: per chi si è abituato alle animazioni in Flash o più semplicemente alle presentazioni in Power Point, una passo indietro verso Gutenberg.

 

Aggiungo, sempre a proposito di lettura scientifica e professionale (non tutti i libri sono romanzi e non tutti si leggono solo per diletto) che se scrivete un libro sulla coltivazione del carciofo e ne tirate 2.000 copie il vostro editore si rifiuterà di farne una edizione aggiornata – anche se hanno inventato una straordinaria e innovativa cultura idroponica – finché non le ha vendute tutte. Un sito Internet potete invece cambiarlo dalla sera alla mattina: se c’è un’importante novità, oppure se avete fatto un drammatico errore. A me è capitato di scrivere in un titolo, quando facevo il comunicatore pubblico, “Le linee giuda del Governo” al posto delle consuete “linee guida“, e ancora ricordo la corsa pazza verso la tipografia per bloccare la pubblicazione che mi avrebbe rovinato la carriera.

 

Quindi i libri non hanno solo pregi, ma anche difetti: sia dal punto di vista del fruitore, che di chi li scrive. Ma tutta questa serie di argomenti hanno anche il forte difetto di essere molto generazionali, e di generazioni dai capelli bianchi (o senza capelli affatto). Vi leggo un brano di un testo recente di Giovanni Boccia Artieri (SuperNetwork: quando le vite sono connesse, in: Network Effect. Quando la rete diventa pop, a cura di Lella Mazzoli, Torino, Codice Edizioni, 2009, pp. 21-40, cit. p. 21):

Camilla fa i compiti di latino usando un dizionario online e si confronta con la sua amica Anna via Messenger sulla traduzione di un verbo. Sul cellulare le arriva un sms da Federica che le chiede di aggiornare il blog che hanno sulla loro band preferita, mettendo un’immagine che ha trovato su una rivista per adolescenti e che ha fotografato con la macchina digitale, scaricata sul pc e spedita via mail cinque minuti fa. Prima di uscire di casa Anna propone una versione della frase di latino. Camilla scarica veloce la posta e aggiorna il blog con l’immagine dopo aver velocemente trovato in rete il modo di rendere la foto glittering….”

 

Le tre ragazze hanno 14 anni. Non le vedo, tra qualche anno, a leggere “Le Monde” in un caffè o a comprare rare cinquecentine nelle librerie antiquarie. A meno di sempre possibili conversioni sulla via di Damasco, le vedo proseguire la vita multitasking e il bricolage comunicativo, la rimediazione di contenuti e l’adozione di una visione pop del mondo in cui cultura bassa e alta si mescolano tranquillamente; una vita sullo schermo e “a schermo”, cioè con una capacità nativa di leggere su uno schermo retroilluminato e non su un foglio di carta di Fabriano. Un’esistenza qui e ora in cui le immagini artificiali sullo schermo, i testi multimediali, la comunicazione in diretta hanno un ruolo di cui i libri, con tutti i pregi che hanno, non dispongono.

 

E’ presumibile dunque che tutte le corpose obiezioni alla digitalizzazione totale della cultura alfabetica siano destinate a ridursi e a scomparire. Non so in quanto tempo; sarei tentato di dire in breve, pensando a quanto sta diventando rapido – in un ambiente pienamente mediatizzato – il cambiamento delle opinioni e degli stili di vita, senza che neanche ce ne accorgiamo. Cose come il Bancomat, o il cellulare, o Internet, si sono intrecciati alla nostra esistenza in modo indissolubile, come se ci fossero sempre stati.

 

Comunque vale la pena di mettersi nella schiera di coloro che vogliono accelerare questo tempo. Perché gli eBook non solo tolgono, ma molto aumentano nelle caratteristiche della comunicazione alfabetica. Uso qui volentieri il termine “alfabeto” perché si riferisce sia alla lettura che alla scrittura, due facce della stessa preziosa moneta che non dobbiamo mai separare. Il passaggio dell’alfabeto al digitale, nella forma del libro e del giornale elettronico immateriale, avverrà solo con il “consenso informato” di entrambe le categorie, gli autori e i lettori. Categorie che in parte crescente si sovrappongono, ma sono e saranno ancora a lungo diverse.

 

Per i lettori la lettura “a schermo” produce anche molti vantaggi, non soltanto il risparmio di un bel po’ di carta e di foresta amazzonica. Non siamo affetti da determinismo tecnologico e non vogliamo far discendere tutto quello che sta accadendo dalla diffusione di netbooks, tablet PC, ebook reader e iPad; caso mai, è l’esigenza sociale di digitalizzare anche l’alfabeto stampato a produrre tutto questo. Tuttavia, la lettura a schermo combinata con qualcuno di questi dispositivi genera effetti non trascurabili: potersi portare dietro, in viaggio o in ufficio, un’intera biblioteca, un archivio completo delle nostre cose e, se qualcosa non abbiamo, prelevarla all’istante dalla rete anche a pagamento. Poter ingrandire i testi quanto si vuole, sconfiggendo ogni miopia. Saltare in forma ipertestuale da un testo all’altro, dal libro al sito web, usufruendo di immagini, grafici, animazioni, video in quantità teoricamente illimitata e in alta definizione. Evidenziare, annotare a margine, prendere appunti, trascrivere, condividere con altri, con i soli limiti della licenza DRM (Digital Rights Management).

 

Ma anche scrivere diventa un’altra cosa. Non solo o non tanto una maggiore attitudine alla ri-mediazione di altri testi e contenuti: questo è in atto da quando esiste il personal computer con sistemi di scrittura avanzati, tant’è che il testo di riferimento è del 1999, quando ancora il Web era 1.0 (Jay D. Bolter e Richard Grusin, Remediation: Understanding New Media, Cambridge-London, The MIT Press, 1999. Traduzione italiana, a cura e con prefazione di Alberto Marinelli, Remediation. Competizione e Tintegrazione tra media vecchi e nuovi, Milano, Guerini, 2002. Mi riferisco piuttosto ad una diversa attitudine rispetto alle immagini e ai contenuti multimediali in genere. Farò un esempio: scrivendo un libro sull’Italia nel secondo conflitto mondiale, ad un certo punto si arriva all’8 settembre 1943 e al “Proclama di Badoglio” radiotrasmesso. Lo storico tradizionale riporterà virgolettato nel testo o in nota il breve testo dell’appello; chi lavora ad un eBook troverà naturale inserire un link al testo originale dell’appello (http://www.teche.rai.it:81/radio/1000/badoglio.mp3)  che permette di apprezzare tante altre piccole e grandi cose, come l’accento piemontese del maresciallo, così simile all’attore Carlo Campanini, o i modi dell’oratoria del tempo. E probabilmente avrà il desiderio di far vedere una clip del film “Tutti a casa“, con Alberto Sordi, regia di Luigi Comencini, Italia, 1960 (http://www.youtube.com/watch?v=igje9TdwQkg) scegliendola con facilità fra le molte opzioni offerte da YouTube.

 

Scrivere un saggio diventa sempre più non soltanto fornire una idea, una ricostruzione dei fatti, una teoria, un racconto, ancorandosi con solide note ad altri autori, ma a questa attività speculativa e creativa aggiungere la fornitura al lettore di fonti di vario tipo, link a siti o fotografie, suoni, video. La quantità e qualità di questi riferimenti conferisce un valore aggiunto al saggio, come un tempo le immagini miniate a fianco dello scritto su un codice copiato a mano.

 

Anche queste considerazioni sopra esposte ci dimostrano che abbiamo superato definitivamente il Novecento e la modernità. Nella modernità ciascun medium aveva il suo specifico, la fotografia come la radio, il cinema e la tv, ma anche i libri o i giornali. Ciascuno era geloso custode del suo linguaggio specifico, delle cui tecnicalità artigianali era padrone, pur esercitando una forte intertestualità di temi e di trame. Gli intarsi degli altri linguaggi specifici (ad esempio, le didascalie per una foto, l’immagine fuori testo per un libro) erano modesti, funzionali e subalterni rispetto al testo principe, e considerati nulla più che “paratesti”.

 

Nella post-modernità tutti fanno tutto, prelevando e ri-mediando, o direttamente producendo, contenuti afferenti ai più vari specifici, piacevolmente ignari delle tecnicalità artigianali di ciascuno (la bella inquadratura, il bello scrivere…..), e mixandoli in un contenuto multimediale. Leggere o scrivere un eBook significa trattare un contenuto multimediale a base alfabetica; perché la prevalenza del testo alfabetico permane, pur essendo continuamente messa in discussione. Chi si accosta a questi artefatti cognitivi immateriali legge e scrive in modo ormai del tutto diverso.

 

Continueremo a leggere i libri, quelli di carta; almeno noi, e non so per quanto tempo. Ma lo spirito del tempo, e la cultura più viva e militante, si sposterà sempre più verso l’eBook, contenuto multimediale a base alfabetica.

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