Europa
Una sconfitta per il libero movimento dei capitali in Europa: così in molti hanno commentato la decisione del Governo portoghese di ricorrere alla golden share per bloccare la vendita dell’operatore mobile Vivo a Telefonica. Un caso senza precedenti per una operazione tra due aziende europee e per lo stesso governo di Lisbona, soprattutto in vista del prossimo pronunciamento della Corte Ue che – dopo aver condannato l’Italia per i ‘poteri speciali’ detenuti in Telecom Italia, Eni, Enel e Finmeccanica – dovrebbe apprestarsi dichiarare incompatibile col diritto comunitario questa forma di controllo ritenuta ormai arcaica e in contrasto con la libera concorrenza.
La decisione del governo di Lisbona, che ha vanificato il voto favorevole alla cessione di Vivo espresso ieri dal 74% degli soci Portugal Telecom, è stata giudicata ‘ingiustificabile’ anche dal Commissario Ue per il mercato interno Michel Barnier, che si è unito al coro di detrattori dei diritti speciali concessi dalla golden share, la quale – ha aggiunto – “rappresenta un impedimento al libero movimento dei capitali, che è uno degli elementi di cui sono responsabile”.
Anche il Financial Times ha criticato l’uso della golden share: il veto, si legge sulla Lex Column del quotidiano economico londinese, è stato dettato da ragioni ‘terribili’: sia che Lisbona consideri l’operazione “un male” per PT, sia che voglia mantenere “un campione portoghese” in Brasile, si tratta comunque di motivazioni insufficienti e in grado di “gettare nel caos l’accordo e al vento la credibilità del governo”.
La Golden Share, continua, “è uno strumento anacronistico che sarà presto obsoleto”, utilizzato generalmente per proteggere le compagnie nazionali da eventuali scalate straniere, non per “interferire con le controllate estere”.
Ieri, il primo ministro portoghese Jose Socrates ha difeso i tentativi del suo governo di fermare l’offerta spagnola per gli asset brasiliani di Portugal Telecom dicendo che è dovere del suo governo difendere “gli interessi strategici” del Paese, ma lo stesso le società coinvolte aspettano il verdetto della la Corte europea di giustizia del Lussemburgo – atteso per l’8 luglio – che dovrebbe rigettare il veto e ridare la parola agli azionisti, che ieri avevano avallato la proposta da 7,15 miliardi di euro di Telefonica.
Telefonica controlla il 38% di Vivo, ma ambisce a ottenerne il controllo totale. Con questo obiettivo aveva presentato al partner portoghese – di cui ha anche ceduto una quota dell’8%, continuando a detenere soltanto il 2% del capitale, per evitare ‘conflitti d’interesse’ – una prima offerta da 5,7 miliardi per rilevare la quota di quest’ultimo nella joint venture Brasilcel che controlla il 60% di Vivo. Offerta respinta perché secondo gli azionisti non rispecchiava il reale valore dell’operatore. Telefonica ha quindi alzato il montante a 6,5 miliardi per poi ritoccarlo ancora nella speranza di vincere le titubanze dei soci, che riunitisi ieri in assemblea avevano infine accettato la terza offerta da 7,15 miliardi.
Al veto di Lisbona, Madrid ha risposto con estrema diplomazia, definendo la scelta di ricorrere alla golden share come una “decisione sovrana”.
Tali situazioni, ha però sottolineato oggi il ministro degli Esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos, potrebbero non verificarsi più, visto il prossimo intervento della Corte Ue.
La determinazione del governo portoghese, dunque, avrebbe avuto soltanto l’effetto di ritardare un accordo che, infine, era stato giudicato conveniente dai soci, oltre che di gettare nella confusione gli investitori.